-Papà sono incinta- Sottolineo, cercando di capire perché anche lui ora ce l'ha con me. Stringo il telefono più vicino all'orecchio e deglutisco sentendo sotto la voce di mia madre che urla, se la prende con lui, ma più che altro con me. Urla cose tipo "non è in grado di badare a se stessa e avrà una figlia tra un mese, ti rendi conto?" e a me viene da piangere. Solo da piangere.
-Sì, incinta, non malata. Tua madre faceva tutto sia quando aspettava te, sia quando aspettava Checco!- Esclama un po' duro. Sospiro, lasciando scendere una lacrima sul viso e Rebecca mi poggia una mano sulla spalla, perché probabilmente riesce a sentire ciò che mio papà dice, o forse addirittura percepisce le urla di mia madre, tengo sempre il volume del telefono molto alto.
-Mia madre- Sussurro, cercando di non fargli capire che sto piangendo. -Papà, non nominarla per favore. Non m'interessa che cosa faceva lei- Cerco di andare avanti, ma il magone in gola, non mi permette di parlare. -Se mi fosse rimasta accanto magari sarebbe stato più semplice, non credi? Magari mi avrebbe potuto dire come fare!- Esclamo, cercando di non agitarmi, anche se dubito di riuscirci. -In più sai perfettamente tutti i rischi che corro con questa gravidanza- Aggiungo, piuttosto sconvolta dalla sua durezza nei miei confronti. Non dice più nulla, sta in silenzio, per cui io metto giù, perché sono stanca di sentirmi dire che cosa ho sbagliato e che cosa dovrei fare. Non sono loro a vivere questa cosa, sono io, e non capisco perché tutti cerchino di giudicare le mie scelte, di dirmi che ciò che faccio è sbagliato. Non so quanti di loro avrebbero preso la mia stessa scelta, non so in quanti sarebbero riusciti a tenere questa bambina e quanti non avrebbero già dato di matto molto più di quanto sto facendo io.
-Emma, posso aiutarti in qualche modo?- Mi chiede Rebecca, che tiene ancora una mano sulla mia spalla. Scuoto la testa per fare no, e lei mi sorride.
-Emma io non posso di certo entrare nella tua testa, ma lasciati aiutare, non pensare che stai affrontando tutto questo da sola, non sei da sola. So che hai degli amici, so che hai tuo fratello, penso anche Marco, anche se di lui io non saprei se fidarmi. Ci sono anche io, se vuoi, e sono certa che Paolo ci sarà sempre- Sospira, cerca di dire qualcosa per farmi sentire meglio, ma forse io non voglio sentirmi meglio. -Sei la persona più forte e determinata che io conosca. Hai deciso di tenere questa bambina, non farti fermare da nessuno, okay?- Mi sorride di nuovo, mi stringe, mi abbraccia, anche se fa caldo, anche se io sono enorme e se siamo sedute su una panchina. Appoggio il viso sulla sua spalla, e la stringo anche io, anche se io e lei non siamo mai state così intime anche se io e lei non c'entriamo niente. -Sono stata malissimo Emma- Mi confida, sciogliendo l'abbraccio, mi stringe le mani. -E ancora non sto bene-
-A me non sembra...- Sussurro, abbassando lo sguardo e tirando su con il naso. Lei ride, allora rialzo lo sguardo per capire cosa ha scaturito questa sua reazione, anche se penso siano state le mie parole.
-Non sto bene- Ripete -Ma sto guarendo, mi stanno aiutando- Spiega, smette di ridere e mi stringe più forte le mani. -Lasciati aiutare. Non fare il mio stesso errore, non pensare che lasciarti aiutare sia da debole. E' semplicemente umano e puoi permettertelo- Continua, facendomi notare per la prima volta quanto siamo simili. -Sto lottando con me stessa da così tanto tempo, solo per paura degli altri, perché ho paura di affrontare le cose, quando invece farmi aiutare le renderebbe ancora più semplici...- Sospira all'improvviso malinconica.
-C'entra Miriam?- Le chiedo, all'improvviso incuriosita.
-Te lo racconterò...Prima devo raccontarlo a me stessa- Risponde, piuttosto determinata ad uscirne. Le sorrido e mi alzo, dicendole che forse è ora che vada. Mi saluta con due baci sulle guance, poi me ne dà un terzo e mi dice "è un porta fortuna", io rido e le dico che tornerò. Tornerò di sicuro, perché ormai siamo amiche, perché può contare su di me. Lei mi sorride ancora, riprende il suo libro dalla panchina.
-Anche tu puoi contare su di me, Emma- Mi dice. -Per qualsiasi cosa--Ti prego Marco, non puoi tornare a casa?- Domando al telefono, per l'ennesima volta.
-No amore, non posso tornare- Risponde, sbuffando per la mia insistenza.
-Non so se hai capito. Hanno detto che mi bocceranno. Ho bisogno di te- Spiego, sdraiata sul divano del suo salotto.
-Ho capito piccola- Dice, con una punta di dolcezza. -Ma lo sapevamo già- Ammette, cercando di non essere troppo duro, ma non gli riesce troppo bene, non oggi almeno, non so perché.
-Sono stata da Rebecca- Sbotto, mettendomi seduta sul divano, prendo un bicchiere d'acqua che era appoggiato al tavolino e bevo un po' mentre aspetto la sua risposta che non arriva.
-Ora non posso parlare- Dice soltanto -Devo lavorare-
-Lavori da tuo padre- Commento, poggiando di nuovo il bicchiere. -Sa perfettamente in che situazione sei, non penso che ti licenzierebbe-
-Emma, io non sto giocando- Ribatte serio. -Sto lavorando, e non m'interessa se è mio papà, qua è il mio capo e non penso che esiterebbe a licenziarmi.- Spiega, piuttosto duro. -E farebbe bene- Aggiunge.
-Okay, sì, scusami, hai ragione...- Sussurro un po' giù di morale.
-Stai tranquilla piccola, stiamo insieme stasera. Ora devo andare-
Ci salutiamo e metto giù, sospiro e mi sdraio di nuovo sul divano, poggiando le mani sulla pancia.
-Isabel, ma a te non piaceva di più quando ti chiamavo noce?- Domando, accarezzandomi la pancia. -Mi piace questo nome eh...Però per me tu sarai sempre noce, okay?- Ribadisco, come se lei potesse sentirmi. Forse può, ma non se lo ricorderà mai. -Quanto vorrei che potessi parlare, potresti decidere tu- Continuo, chiudendo gli occhi.
-Appena parlerà, non vedrai l'ora che smetta se prenderà da Marco- La voce di Graziella mi fa riaprire gli occhi, mi metto seduta e la guardo, in un tailleur bordeaux, con in mano un enorme mazzo di piccoli fiori bianchi. -Non volevo disturbarti- Mi dice, sedendosi accanto a me. Avvicina il vaso che c'è al centro del tavolino e toglie un mazzo di fiori un po' rinsecchiti, mettendoci il mazzo che tiene tra le mani.
-Non mi hai disturbata- Le dico con un sorriso. -Sono io che disturbo, è casa tua- Aggiungo, osservando i fiori che con cura sistema nel vaso, ravvivandoli un po'.
-Non disturbi Emma- Mi dice subito. -Sai io non sono mai stata molto affettuosa, con nessuno- Inizia a raccontare. -Nemmeno con i miei figli. Non perché non li ami...- Sussurra, guardandomi. -Sono semplicemente sempre stata così-
-Graziella non devi spiegarmi niente- Dico, stringendole una mano. Lei sospira, guardando di nuovo i suoi fiori.
-Quando ho partorito la prima volta, è stato devastante, non te lo nascondo- Inizia a raccontarmi, sorridendo a quei fiorellini bianchi. -La cosa più bella è stata quando ho aperto gli occhi dopo tutta quella fatica e c'era il faccino tondo di Marco, accanto a me e su una sedia c'era Marcello che teneva in mano un mazzo di tulipani appassiti. Faceva troppo caldo, ad agosto è pieno di fiori, ma fa troppo caldo e recisi non durano niente. E' stata la prima volta nella mia vita in cui non importava se i fiori si fossero afflosciati. Avevo il mio bambino, il mio fiore più bello- Racconta con un filo di malinconia, poi torna a guardarmi. -Non penso di aver abbracciato Marco molte volte nella sua vita, ma io lo amo...E' il mio bambino. Quando vedrai Isabel non avrai nessun dubbio neanche te- Aggiunge, accarezzandomi un po' imbarazzata la pancia.
-Che fiore sboccia a giugno?- Le chiedo, pensando al termine della gravidanza che è ai primi di luglio, ma sicuramente partorirò prima, visto che sono così piccola.
-Rose rifiorenti, gigli, clemantidi, ortensie, aquilegie, lavanda...- Risponde, vagando nella sua memoria. -Ci sono tanti fiori a giugno-
-Quale ti piace di più?- Chiedo, improvvisamente incuriosita dall'argomento.
-I gigli, sicuramente- Risponde con un sorriso. -Perché?- Domanda richiamando l'attenzione di Lucia e dandole i fiori secchi da buttare.
-Così...Si vede che ti piacciono i fiori, li conosci così bene- Mi guarda e ora si fa un po' seria.
-Tuo papà mi ha detto che l'ha chiamato la scuola- Mi spiega, sospirando, non credo che voglia affrontare l'argomento, ma penso che mio padre l'abbia pregata di farlo. Lei mi sta facendo più da madre della mia vera madre e questo mi fa sorridere. Isabel l'ha sbloccata, l'ha resa più dolce, più attenta ai suoi figli. Le ha ricordato quanto amore si può dare.
-Graziella, non dobbiamo parlarne per forza- Le dico, pregandola di non rimproverarmi anche lei.
-Non voglio sgridarti Emma, non mi permetterei mai, non sono tua madre- Mi rincuora. -Ma vai da Marco, stai con lui, così lo vedi lavorare, ti assicuro che è proprio bello quando lavora- Mi suggerisce con un sorriso. -E non lo dico solo perché sono la sua mamma eh!- Esclama facendomi ridere.
-Hai ragione, ma non c'è un autobus per arrivare là e avrei bisogno di un passaggio e Chiara è fuori con Simone oggi e non voglio disturbarla, fa già così tanto per me- Spiego sospirando.
-Ti dà un passaggio Alfonso, dai- Propone lei. -Non ti preoccupare, esci e ti distrai un po'-Entro in questo palazzo fatto di vetrate, salgo sull'ascensore e arrivo al ventiduesimo piano, così come mi ha detto Graziella. Le porte si aprono con un suono gradevole e davanti a me si presenta un piccolo salottino, con l'insegna dell'azienda del papà di Marco, del nonno della mia bambina. Sorrido, avvicinandomi al bancone della reception. Un ragazzo castano mi sorride, chiedendomi di cosa ho bisogno.
-Dovrei vedere Marco, sono Emma...- Sussurro un po' imbarazzata e lui si alza.
-Oddio allora tu sei la famosa Emma!- Esclama lui, entusiasta quando un po' agitato, mi saluta e mi abbraccia, come se ci conoscessimo da sempre. -Piacere, Gianluca, sono il segretario- Si presenta poi, stringendomi la mano. -Ora Marco non può vedere nessuno- Mi dice categorico.
-Come nessuno?- Chiedo un po' delusa. -E' con qualche cliente?- Domando un po' confusa.
-Cliente? No no, Marco non si occupa ancora dei clienti!- Esclama quasi divertito dalla mia idea del lavoro di Marco.
-Emma!- Esclama Marcello salutandomi. -Che ci fai qui?- Domanda stampandomi un bacio sulla guancia.
-Sono venuta a fare un salto, ma Gianluca qui non mi lascia andare dal mio fidanzato- Commento, indicando il segretario, visibilmente agitato. Marcello lo prende un po' in giro, ride e mi accompagna al piccolo ufficio in cui ha segregato suo figlio.
-Io vado a continuare il tuo lavoro, tu fai come se fossi a casa tua- Mi dice, per entrare poi in un corridoio e sparire. Io busso, ma non ricevo nessuna risposta, allora apro la porta. E forse non avrei dovuto mai aprirla. C'è Marco, e ci sono i capelli rossi di tinta di Elena e c'è la sua schiena nuda, appoggiata alla scrivania e Marco con i pantaloni abbassati, con una mano sul suo seno, l'altra le tiene il fianco. Lei volta il viso, apre gli occhi e mi vede. Raggela. I loro fianchi si staccano, Elena lo frena, tirandosi su, mettendo le mani sulla sua maglietta, i loro corpi smettono di scontrarsi. Lei mi guarda e si nasconde dietro di lui, lui non capisce, la guarda, dandomi le spalle. Si ritira su i pantaloni e cerca di chiudere la cintura, mentre Elena gli tocca la spalla, lo scuote finché non si volta e mi vede. Io lo fisso e non avrei mai dovuto aprire la porta.
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La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]
FanficEmma ha diciotto anni, una vita piuttosto normale, un migliore amico iperprotettivo e una strana relazione con Marco, il più bello della classe.