Capitolo trentasette

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"Pensai che finché avessimo potuto tacere era come se nulla fosse accaduto, quello che non viene nominato quasi non esiste, il silenzio va cancellandolo fino a farlo scomparire"
(Eva Luna; Isabel Allende)

Mi pianto su una sedia di plastica un po' mangiata dal tempo, di un verde che sicuramente non era il suo colore originario. Sei sedie in cerchio, tutte equamente distanti l'una dall'altra, le pareti bianche, un cesto con uncinetti e gomitoli di lana al centro. Sono la prima e mi sento dannatamente fuori luogo, come mi sento fuori luogo da quando Rebecca si è tagliata le vene ed è finita in ospedale, quando ho iniziato a pensare che forse sto prendendo troppo sotto gamba il mio ruolo di madre. Marco e Chiara non hanno voluto che ne parlassi più con loro, mi hanno detto che stavo dando di matto, che sapevano che sarebbe successo, ma che loro non sono in grado di capire a pieno quanto la gravidanza stia influendo sulla mia vita. Mi hanno trovato un gruppo, penso che sia anche a pagamento, Marco non me l'ha voluto dire. Mi ha fatto vedere il volantino ed era bello, c'erano su due ragazzine, una con il pancione e l'altra con un bambino tra le braccia, dentro c'erano scritte un mucchio di scemenze sulla psicologia, sulla gravidanza, sulle ragazze madri. Poi c'era spiattellata la foto di un vecchio, con la barba ispida e i capelli bianchi, con scritto sotto "psicoterapeuta di gruppo" e ho sbuffato. Ma a Marco e Chiara non è importato quanto sbuffassi ed ora, una settimana dopo che Rebecca ha tentato il suicidio svegliandosi ore dopo come se nulla fosse io sono qui, in una stanza fin troppo vuota, con le mani sulla pancia ad aspettare di condividere i miei sentimenti con persone che non conosco. La guida del gruppo, questo dottor Romero è in piedi all'ingresso, mi ha sorriso quando mi ha vista e io ho scosso la testa. Non ci voglio stare qui, dovrei stare a casa a studiare, a dare ripetizioni a qualche ragazzino. Non a parlare dei miei stupidi sentimenti. Noce è ancora nella mia pancia, avrò il diritto di avere dei dubbi?
La stanza si riempie in fretta, non che sia difficile vista la scarsità delle sedie e mi ritrovo in poco a guardare le facce di queste ragazze, tutte anonime, alcune con il pancione, altre senza.
-Ciao ragazze, io sono il dottor Pablo Romero- Si presenta lo psicoterapeuta. -Chiamatemi solo Pablo- Dice cercando di metterci a nostro agio, anche se forse solo una ragazza lo è, una ragazza magrissima, sicuramente più piccola di me, lo guarda un po' accigliata, come se anche lei fosse contretta a stare qua. Come me. -Vi va di presentarvi? Di dire come mai siete qui e poi se volete posso rispondere a qualsiasi domanda, così almeno rompiamo il ghiaccio- Ci guardiamo tutte. Cinque sconosciute sedute in cerchio e all'improvviso ci rintaniamo tutte negli occhi delle altre, cercando qualcuno che parli per pirma. La ragazza accigliata prende la parola, piuttosto scocciata.
-Mi chiamo Asia- Sbuffa, arriccia il naso come infastidita da qualcosa. -Sono qua perché ho sedici anni e un bambino di due anni- Spiega, abbassa lo sguardo per la prima volta. -Si chiama Noah e lo amo...Lo amo davvero- Rialza lo sguardo e ha gli occhi un po' lucidi. -Ma mi ha rovinato la vita- Si ammutolisce, il dottore, o meglio Pablo le sorride, la ringrazia. La ragazza accanto a lei prende la parola, una ragazza di colore, forse della mia età, che a giudicare dalla pancia sarà quasi al termine. Si presenta anche lei, si chiama Maya, lei lo voleva un figlio, più o meno. Cioè che non le fa schifo l'idea di avere un figlio a diciotto anni, e nemmeno ai suoi genitori, solo che il suo fidanzato se n'è andato. Stavano insieme da anni e lui non ha preso per niente bene la notizia, l'ha lasciata ed è sparito e quelle poche volte in cui si incrociano fa finta di non conoscerla. Le presentazioni continuano. C'è Viola, che ha quindici anni e aspetta un bambino, ancora non sa se maschio o femmina. I suoi genitori l'hanno buttata fuori di casa ed è finita in comunità. E' solo al terzo mese ed è indecisa se tenerlo o darlo in adozione, sicuramente ha escluso l'aborto, poi c'è Mia, lei ha appena fatto diciotto anni e vive già con il suo bambino di quattro anni e il suo fidanzato, ci ha mostrato anche una foto, ci ha detto che è terrorizzata. Si è corretta, ha detto che lui non è il suo fidanzato, che è suo marito, si sono sposati quando ha scoperto a quattordici anni di essere incinta e semplicemente pensa di aver sbagliato tutto. L'ultima a parlare sono io. Mi stringo nella sedia e prendo un respiro profondo, come se la mia storia non fosse all'altezza delle loro.
-Mi chiamo Emma- Sussurro cercando di captare qualche reazione. Pablo sorride, le altre ascoltano senza troppo interesse. -Sono rimasta incinta di un mio compagno di classe, non avevamo una storia...E' successo e basta- Spiego all'improvviso un po' imbarazzata. -Mia madre mi ha cacciata di casa- Aggiungo, cercando di capire cosa dire e cosa no. -Il papà della bambina mi fa stare da lui, lui lavora e io do ripetizioni a qualche bambino e tiriamo avanti- Concludo e Pablo mi ringrazia. Continuiamo a chiacchierare, parliamo di tutto senza grandi problemi, per loro la mia situazione è normale. Per alcune di loro, come Mia e Asia, io sono addirittura grandissima. Mi fanno sentire meno il peso di questa situazione e per un momento mi sembra che sia fattibile. Gli racconto anche di Rebecca, di quanto io sia terrorizzata che a mia figlia la vita che le potrei dare non basterà, che forse merita di più. Non mi danno delle risposte, semplicemente mi raccontano delle risposte che loro si sono date. Due ore volano, Pablo tenta di farci fare qualcosa all'uncinetto ma siamo incapaci. Io mi arrendo facendo ridere Maya.
-Dai, non è importante che venga bene, solo che liberiate un po' la mente- Mi sprona Pablo, guardando i fili di lana attorcigliati sui miei uncinetti.
-Non ci riesco, è un casino, è tutto ingarbugliato- Gli faccio notare un po' sconosolata.
-Vedrai che ci riuscirai...Ci riuscirete tutte- Ci rincuora, mentre rimettiamo tutte i gomitoli e gli uncinetti nel cesto al centro del cerchio. Asia sbuffa per l'ennesima volta e tutte ridiamo, compresa lei che si rende conto di essere sempre piuttosto scocciata.
-A che ci serve fare l'uncinetto? Abbiamo problemi più rilevanti- Fa notare lei.
-Lo capirete da sole, al momento giusto- Ci alziamo e ci salutiamo, dico a tutte "alla settimana prossima", le bacio su una guancia, come se ci fossimo sempre conosciute. Io mi trattengo un po' di più, aspetto che se ne siano andate via tutte e mi avvicino a Pablo.
-Emma- Dice lui ricordandosi alla perfezione già tutti i nostri nomi. -Hai bisogno di qualcosa?- Mi chiede con un sorriso cordiale e per un attimo quegli occhi, quel sorriso, i capelli bianchi, tutto di quell'uomo mi rasserena.
-Crede che ce la faremo? Intendo a non arrenderci- Lo chiedo un po' titubante, cercando di guardarmi le punte dei piedi, però sono ostacolata dal pancione.
-E tu? Tu credi che ce la farete?- Domanda lui un po' enigmatico. Io faccio una smorfia di disappunto e poi rialzo lo sguardo.
-Non sono sicura di poter crescere una bambina- Gli spiego un po' malinconica. -Io non ho finito di crescere, come posso insegnarle una cosa che nemmeno io ho ancora imparato?- Lui sorride ancora più di prima, prende la sua valigetta e la apre per terra, rivelandone il contenuto molto, molto disordinato. Rovista tra i fogli, i volantini, i biglietti da visita. Tira fuori un libro, la copertina sgualcita e un disegno approssimativo di una donna. Me lo porge, sempre con quel suo sorriso sincero e io lo prendo senza capire.
-Leggilo- Mi dice semplicemente.
-Perché?- Gli chiedo ingenuamente.
-Emma tu sei libera di fare quello che vuoi, il corpo è tuo, la vita è tua, le scelte sono tue. Puoi tenerla, puoi darla in adozione, darla in affidamento. Ovviamente parlandone con il padre. Ma è una bambina e hai ragione è difficile insegnare una cosa che ancora non si ha imparato.- Si ferma, batte una mano sulla copertina del libro che ho in mano. -Questo libro parla di una madre e di una figlia...E ti insegnerà che in realtà non solo tu non sai come si fa a crescere- Mi spiega mentre leggo il titolo. "Eva Luna", e sopra, in grande, il nome dell'autrice Isabel Allende.
-Chi altro non lo sa?- Chiedo completamente rapita dalle sue parole. Lui ride, risistema le sue cose.
-Emma, nessuno sa come si fa a crescere-

Paolo mi guarda, mi scruta come se fossi un'estranea. Non so bene cosa dirgli, ci siamo baciati, poi sua sorella si è quasi ammazzata e abbiamo lasciato perdere. Ma noi non siamo più gli stessi e si sente, come se all'improvviso tra noi ci fossere mille miglia di distanza, un vuoto incolmabile.
-Che hai fatto oggi?- Lo chiede solo per rompere il silenzio, una volta non me l'avrebbe mai chiesto. Lo fa perché ormai non abbiamo più argomenti, tutto sembra forzato e smorzato da un imbarazzo e una tensione che si possono addirittura respirare.
-Niente, parliamo di qualcosa di più interessante- Gli rispondo cercando di essere più naturale possibile. -Rebecca?- Azzardo, facendolo smuovere. Si morde un labbro, cerca qualcosa da dire.
-Starà bene. Ora è in clinica, l'aiuteranno- Mi dice, senza dilungarsi e di nuovo cala il silenzio e io cerco invano un nuovo argomento. Siamo seduti su una panchina, guardiamo la gente passaggiare. Fa dannatamente caldo, finalmente. E' metà aprile e il sole fino a qualche giorno fa sembrava un miraggio, mentre ora si riesce a stare anche in canottiera. -So che ho fatto un casino- Ammette lui. -Non dovevo baciarti, forse-
-Se l'hai fatto avrai avuto i tuoi motivi- Fingo di non saperne niente, di non averci capito niente, che semplicemente ha fatto una cazzata per la foga del momento. Entrambi sappiamo però che non è così. Lui sembra più rilassato, poggia una mano sopra gli occhi per proteggersi dalla luce del sole e io lo guardo e per qualche secondo, forse di più, forse dieci minuti. Lo fisso e lui ride mi chiede "perché mi guardi così?" e io non gli rispondo. Non dico assolutamente niente. Nella mia testa continua a girare la frase di Pablo. Il corpo è mio, la vita è mia, le scelte sono mie. Mi getto sul viso di Paolo, appiccicando le mie labbra sulle sue e lui non mi respinge, rimane lì, mi accoglie. Io non so che cosa sto facendo, non so che cosa mi stia passando per la testa, ma rimango sulle sue labbra.

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora