Capitolo quaranta

176 6 0
                                    

-Secondo te devo organizzare una festa?- Chiedo, mentre Marco prepara lo zaino e continua a ripetere letteratura latina, perché oggi ha l'ultima interrogazione prima della maturità, dopo saranno tutte simulazioni. Ormai è maggio, dovrei fare anche io questa interrogazione, anzi, l'avrei dovuta fare la settimana scorsa ma l'ho saltata perché hoavuto un problema con la pressione e sono stata a casa per riposarmi. Il termine è esattamente per il 25 giugno, un mese dopo il mio compleanno, ma la percentuale di parti prematuri nelle gravidanze adolescenziali è molto alto, per cui in realtà ho già tutto pronto da un po'.
-Amore il tuo compleanno è tra due settimane, ci puoi pensare più avanti- Mi risponde un po' scocciato, sfogliando agitato il libro di latino. Non parlo d'altro, forse perché il mio compleanno mi è sempre piaciuto da morire, ma quest'anno non sono sicura di cosa fare. Sono all'ottavo mese, ormai, e io non sono sicura di niente, nemmeno se voglio festeggiare i miei diciannove anni, cosa potrei fare poi? Sarebbe la festa più triste della storia, non posso bere, non mi posso agitare e devo anche seguire la dieta più salutare per Isabel. -Non vieni a scuola?- Domanda poi, guardandomi ancora stesa sul suo letto in pigiama, io tiro il lenzuolo sulla faccia e sbuffo.
-No, non ci vengo, sono stanca- Rispondo, aspettandomi già un suo rimprovero, che però stranamente non arriva.
-Okay, allora cerca di riposare- Dice solo, sbuffando un po', ma senza riprendermi, senza obbligarmi ad andare con lui. Tiro via il lenzuolo dalla faccia e mi metto seduta, guardandolo un po' stranita, mentre sistema il libro di latino nello zaino. -Che c'è?- Mi chiede cercando di interpretare la mia smorfia.
-Non mi obblighi a venire?- Domando un po' confusa, giocando con il bordo del lenzuolo.
-Per poi sentirti che ti lamenti tutta la mattina perché sei stanca, ti fanno male i piedi, hai sete, non vuoi stare a seguire le lezioni? No grazie!- Esclama piuttosto infastidito, ricontrollandosi allo specchio.
-Marco sono incinta, non sto giocando- Sottolineo un po' stizzita. Lui scoppia a ridere e mi guarda.
-L'abbiamo capito, che sei incinta. Ma appunto, sei incinta. Non malata- Commenta forse un po' troppo duramente, mentre mi alzo dal letto. -Dove vai?- Mi chiede, vedendomi indirizzata verso la porta, io sbuffo con la mano sulla maniglia e non mi giro nemmeno a guardarlo in faccia.
-Nella mia camera- Gli spiego, cercando di fargli capire che vorrei essere fermata. Ma lui non capisce, e io non vengo fermata proprio da nessuno. Continuo a sbuffare nel corridoio, reggendomi la schiena con una mano. Non è mica colpa mia se non mi sento bene, non è colpa mia se questa gravidanza mi sta sfinendo. Ci sono dei motivi per cui non bisognerebbe fare un figlio così presto, davvero tanto ed uno di questi è che è sfibrante, soprattutto se non l'avevi ancora mai immaginato o desiderato seriamente. Di solito Marco capisce, è molto comprensivo, ma negli ultimi giorni è sempre più strano. Io sono pesante, ma lui mi ha sempre sopportato bene. Venerdì è tornato a casa dopo il lavoro e ha iniziato ad essere più freddo, pensavo fosse la scuola che sta mettendo tutti sotto pressione, perfino lui e Paolo che sonobravissimi, ma non credo. È distante. O forse soltanto meno dolce. O forse, mi faccio troppe paranoie e sono solo terrorizzata che lui venga in qualche modo a sapere che quasi un mese fa ho ribaciato Paolo, dopo aver fatto la pazza perché lui aveva baciato me. Ancora non ho capito perché l'ho fatto, so solo che quando lo vedo, adesso, ci penso sempre, e ci penso anche quando sto con Marco. Ne ho parlato con Pablo e tutto il gruppo e loro mi hanno detto che aspettare la bambina di Marco non mi limita ad amare Marco, che dovrei ascoltare il mio cuore. Solo che il mio cuore non dice niente. O almeno niente di certo.
-Cosa devo dire a scuola?- Mi chiede Marco, interrompendo le mie riflessioni. Tiene lo zaino su una sola spalla, ha una felpa grigia della Nike e gli stessi occhiali da sole di quando mi ha portata a letto la prima volta. Ogni tanto penso di amarlo, ad esempio amo il suo toccarsi sempre i capelli. Amo il suo preoccuparsi di me, perfino quando si incazza. Però non sono sicura di amare lui.
-Che sono incinta- Rispondo ridacchiando, lui scuote la testa, alzando gli occhi al cielo. -Che non mi sono sentita bene. Non lo so, inventati qualcosa! Tanto ormai...- Commento un po' desolata, lui si avvicina e mi stampa un bacio veloce, eppure per un secondo sento che sono una stupida ad evere tutti questi dubbi su di lui.
-Studia con Elena almeno- Mi consiglia, stringendomi una mano. -Me l'ha detto che fai di tutto per rimandare ogni cosa!- Esclama puntandomi il dito contro e io mi imbarazzo un po'. Lui è bravo a scuola, ci si impegna e riesce praticamente in tutto, io no, io posso stare anche dieci ore sui libri e avrò sempre difficoltà.
-Buona interrogazione- Gli sussurro, prima di stampargli un bacio anche io. E poi scende le scale, salutandomi con la mano, lasciandomi da sola nel corridoio di casa sua, che ormai è un po' anche casa mia. Vado nella stanza di noce, ormai pronta, e fisso una parete, su cui Marco ci ha scritto Isabel con un rosa un po' più scuro di quello che abbiamo usato per le pareti. Non l'ha scritto benissimo, è un po' storto, un po' sbavato, ma nel complesso non si nota. Nel complesso, sembra quasi fatto da un professionista. L'amore che prova per sua figlia è senza dubbio sconfinato.
-Emma- Mi saluta Elena, con un piccolo sorriso, rimanendo sulla porta che lasciamo sempre spalancata, visto che io e Marco facciamo sempre avanti indietro, e lei non è nemmeno nata. -Marco mi ha detto che non vai a scuola- Mi dice entrando anche lei nella stanza di mia figlia. Le sorrido, sedendomi sul divano bianco. Il primo mobile di questa stanza, il primo mobile di mia figlia.
-Sono stanchissima- Spiego, poggiando le mani sulla mia pancia spropositata.
-Lo so. Ma non sono sicura che tu stia capendo che così, perderai l'anno- Dice piuttosto dura, rimanendo in piedi di fronte a me. Io abbasso lo sguardo sospirando.
-Lo so- Le dico solo. -Cosa posso farci? Ho fatto di tutto per questa bambina, ora non so nemmeno più se voglio crescerla- Ammetto, cercando di farle capire a pieno la mia paura, anche se non è semplice per chi non lo vive.
-Che stai dicendo?- Domanda piuttosto sconvolta. -E' tua figlia-
-Sì, lo so, ma tu non sai com'è!- Esclamo, tornando a guardarla. -Non credo di essere in grado di crescerla- Spiego, guardando la parete su cui Marco ha scritto, molto deciso, il nome di nostra figlia.
-Penso che tu sia facendo l'egoista- Dice, lasciandomi un po' stizzita.
-Scusami ma non credo che tu possa giudicarmi- Rispondo, poggiandomi al bracciolo del divano, cercando di non reagire male.
-Scusami ma non credo tu possa dare via la bambina per i tuoi dubbi!- Esclama, con tono sempre più accusatorio. -Guarda!- Urla, alzandosi e avvicinandosi alla parete davanti a noi, accarezza la scritta fatta da Marco. -Lui l'ama, non puoi portargliela via!-
-Elena, io ti stimo davvero tanto, ma non puoi intrometterti in questa cosa. A Marco non si è stravolta la vita, vive in casa sua, fa le stesse cose di prima, ci ha pure guadagnato una relazione. Lavora, sì, hai ragione, si fa in quattro per sua figlia, ma lui non rischia la vita per portarla in grembo, e non si sente già responsabile della sua vita, mentre io sì! Se mi agito, non faccio più male solo a me, ma anche a lei, da così tanto tempo che mi sembra una vita. Ho rinunciato a mia madre, alla mia casa, alla mia famiglia. Mi spiace se ho fallito con la scuola, ma non sono invicibile, anzi, tutt'altro! Pensate tutti che io mi stia divertendo, che sia una figata essere incinta a diciotto anni, ma non lo è, fa schifo. Vorrei poter uscire il sabato sera, bere un po' di alcool, o solo un caffé senza sballarmi la pressione, mi basterebbe anche solo dormire! E non perché io non ami questa bambina, io sono stata la prima ad amarla, ma sto cercando di valutare quale sia la scelta migliore per lei. Lo so che siamo i suoi genitori, ma siamo piccoli, così piccoli e ho semplicemente paura che lei non stia bene con noi. L'unica cosa che voglio è che lei stia bene, e se dovesse significare separarmene, lo farò- Butto fuori tutto quello che mi frulla nella testa e lei mi guarda un po' spiazzata per la mia sfacciataggine, o forse per le lacrime che mi inondando il viso. -Non ho più bisogno di ripetizioni, non credo serva a qualcosa- Concludo, uscendo dalla stanza e andando nella mia. Elena è una brava persona, non so perché si sia permessa di giudicare le mie scelte e i miei dubbi, non ha mai fatto così, ma è anche vero che non la conosco bene.

-Emma- Mi saluta Rebecca, ha su un vestitino bianco, fin troppo corto e sbracciato, ma la capisco, fa davvero caldo. Tiene tra le mani una copia de "il buio oltre la siepe", proprio come Miriam la prima volta che l'ho vista. Ho deciso di venirla a trovare qui in clinica perché penso che abbia bisogno di tutto l'aiuto possibile e mi fa piacere darle una mano. In più, vista la mia relazione con Marco, Paolo ha pensato che fosse importante che lei chiarisse la situazione anche con me e lo psicologo della struttura era d'accordo. Per cui, dopo quasi un mese mi sono decisa a presentarmi. Le schiocco un bacio sulla guancia e lei mi stringe, io rimango un po' spiazzata. Non mi aspettavo questo abbraccio, ma Paolo mi aveva avvisata che Rebecca sta cambiando davvero tanto. -Hai davvero un pancione enorme!- Esclama, toccandomi la pancia e io non riesco a fare meno di notare le cicatrici sporgenti sui polsi e sulle braccia. Lei nasconde la più grande con una mano e abbassa lo sguardo. -Lo so che attirano molto l'attenzione- Ammette, iniziando a camminare su un piccolo sentiero di ciottoli e io la seguo.
-Scusami- Le dico mordendomi un labbro.
-Non fa niente, è stata una mia decisione- Spiega, facendo un sospiro. -Aspetta sediamoci qui, chissà che fatica che farai a camminare- Mi dice, indicandomi una panchina di legno sotto un'enorme quercia. La ringrazio e ci sediamo, in silenzio, io quasi in imbarazzo, perché non so davvero cosa dirle.
-Mi dispiace tanto se per qualche motivo io possa aver incrinato il tuo rapporto con Miriam- Sussurro, guardando questo immenso giardino. La madre di Paolo e Rebecca ha speso un mucchio di soldi per portarla in questa clinica, perché dicono sia davvero buona. Io non lo so dire, sicuramente è una struttura davvero bella e curata e sfiderei chiunque a non sentirsi meglio solo stando in questo giardino immenso, immersi nella natura. Rebecca si incupisce un po' sentendomi nominare Miriam, poggia il libro che teneva in mano accanto a se e sforza un sorriso.
-Non sei stata tu Emma- Mi spiega, prendendomi una mano. Non so perché, ma semplicemente me la stringe e per un attimo mi sento rincuorata, come se tutta la tristezza e la malinconia, ma soprattutto la rabbia che mi era rimasta addosso dalla conversazione con Elena si fossero dissolti nel nulla. Quanto può essere potente il contatto umano, quanto. -Ma non ne voglio parlare, davvero- Ammette, farfugliando un po' e per la prima volta da quando sono entrata qua dentro la vedo in difficoltà. Mi piacerebbe sapere cosa le è successo, non solo per curiosità, ma anche per poterle dare una mano. Non la conosco bene, e mi spiace perché sembra, nonostante tutto, una ragazza speciale.
-Perché hai accettato di vedermi?- Le chiedo, mentre mi lascia una mano. Lei continua a sorridere, quasi come se fosse ovvio.
-Paolo mi ha raccontato che hai avuto un po' di dubbi sulla bambina dopo che io sono finita in ospedale- Mi confida, mostrandosi gentile e comprensiva, quasi fosse un'altra persona, ma in senso buono. Un cambiamento positivo, seppur radicale.
-E perché te l'ha detto?- Chiedo un po' confusa.
-Perché non avrebbe dovuto?-
-Perché eri in un brutto momento, non ti serviva sapere che il tuo gesto aveva causato dubbi a me. Chi se ne frega, no?- Le spiego, cercando di captare la sua reazione. Ma ora è ferma e pensa attentamente a cosa dirmi, scioglie i capelli che teneva legati in una coda e scopro che la tinta scura ora è solo su metà capelli e che la ricrescita del suo biondo naturale è sempre più evidente.
-Penso sia importante la verità e il confronto. Ho fatto un casino, perché avevo un casino nella testa. Avevo paura della verità e di confrontarmi con il passato, per poi andare avanti. Ora lo sto facendo, grazie alle splendide persone che ci sono qui e sono per la prima volta dopo anni, davvero, davvero felice. Parlerò anche con Marco. Parlerò con tutti- Mi sorride e le sorrido anche io, perché alla fine si è ripresa davvero tanto e non potrei essere più felice di così.
-Anche con Miriam?- Le domando, anche se non le va a genio.
-Prima o poi- Sussurra lei, quando la suoneria del mio cellulare ci interrompe e sullo schermo appare una vecchia foto del mio papà e la scritta "papi".
-Scusami, ci metto davvero un secondo- Le dico, prendendo la chiamata. Vorrei allontanarmi un po' per non disturbarla, ma per alzarmi ci impiego un quarto d'ora e così rimango seduta.
-Emma- Dice piuttosto agitato mio padre.
-Ehi papà!- Lo saluto piuttosto felice, ma lui non ricambia.
-Non sei a scuola?- Mi chiede un po' duro, fin troppo per essere lui.
-No, sono da Rebecca...- Rispondo, sperando si ricordi chi è, visto che comunque gli ho raccontato tutto, ma non è molto bravo a ricordare le persone che non ha mai conosciuto di persona.
-Emma mi ha chiamato la scuola- Mi dice, e il tono non è per niente buono. -Anzi, pensa che hanno chiamato tua madre, che sta sbraitando e urlando da mezz'ora, sono riuscito a capirci qualcosa solo ora, per questo ti sto chiamando-
-Dimmi, allora- Dico, abbassando lo sguardo, immaginando già ciò che vuole dirmi.
-Hanno detto che non ti ammetteranno agli esami. Hanno detto che ormai è troppo tardi ed è praticamente impossibile che tu recuperi-

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora