Fisso la versione di greco davanti a me, rossa quasi ovunque, gli occhi mi si riempiono di lacrime che ricaccio indietro, ché di piangere non me lo merito. Il due sul foglio mi si pianta nella testa: forse ad un certo punto smetterà di importarmene così tanto, ad un certo smetterò di trattenere le lacrime per la scuola. Però oggi no: oggi è un altro due e il secondo quadrimestre è appena iniziato e io mi ero ripetuta che mi sarei messa in riga, che essere incinta non mi impedisce di studiare, che la testa è rimasta quella, magari il problema è proprio questo, è la mia testa il problema. La professoressa mi guarda con un'espressione che non riesco a decifrare, le ridò la versione.
-Hai domande Emma?-
Io scuoto la testa e le dico di no, lo so già che è uno schifo, non ho bisogno di chiedere il perché e non voglio nemmeno saperlo. Paolo cerca di stringermi una mano, appena mi risiedo al banco accanto al suo, ma mi scanso, gli sto lontana, non voglio che mi tocchi. Lui è giusto così, mica aspetta un figlio a diciotto anni, mica ha sotto tre materie da recuperare e ne ha appena tirata giù un'altra, lui ha tutti sette e poi ha sei in italiano, lui è una persona costante, io continuo a muovermi come una montagna russa impazzita, ad infilarmi magliette che sembrano rimpicciolirsi ogni giorno di più, ma non sono loro: sono sempre io. Ancora non si nota. O meglio, la gente pensa che io sia ingrassata, alcuni, quelli più attenti, agli altri non frega niente. Mia mamma ha pensato di mettermi a dieta, le ho detto che io non voglio nessuna dieta, che è solo lo stress per la scuola. Nessuno pensa che ci sia noce, nessuno dice niente.
-Emma, potevi chiedermi, io potevo aiutarti, lo sai che l'avrei fatto- Dice Paolo, un po' preoccupato. Io non mi giro nemmeno a guardarlo in faccia, sbuffo un po' divertita e avvicino il diario confinato all'angolo del suo banco. Io non la voglio la sua carità, mi dà fastidio fare le cose a metà, ho sempre fatto da sola tutto: soprattutto gli errori.
La campanella suona e finalmente infilo il giubbotto, la sciarpa, sistemo lo zaino ed esco da quella scuola. Paolo cammina accanto a me come sempre, ma Marco ci ferma.
-Scusami- Dice, poggiandomi una mano sulla schiena, Paolo sbuffa, io lo guardo aspettando che dica qualcosa. -Volevo solo chiederti se vieni comunque in gita- Spiega, guardandomi la pancia, come ci fosse una calamita o un grosso cartello illuminato.
-Oddio, sinceramente non ci avevo pensato...- Rispondo, guardando Paolo, che batte ritmicamente un piede a terra piuttosto scocciato.
-E' che essendo il rappresentante devo consegnare tutti i bollettini con il saldo della gita, tu avevi pagato l'acconto ad ottobre- Continua a giustificarsi, pescando un bollettino e un foglio con tutte le informazioni dallo zaino.
-Paolo non so, che pensi?- Gli chiedo, piuttosto in imbarazzo.
-Non lo so Emma che penso, dovresti discuterne con i tuoi genitori visto che pagano loro. Non so se riuscirai a venire, sarai al quinto mese- Risponde un po' freddo, anzi, forse quasi glaciale, senza nemmeno guardarmi.
-Oh Paolo, cazzo, non puoi trattarmi così solo perché Marco mi ha rivolto la parola. Per quanto lui non ci creda, è il padre di noce e tu lo sai- Lo riprendo, piuttosto accigliata. -Quindi gli porti rispetto, qualsiasi cosa sia successa tra voi!- Esclamo, prendendo i fogli che mi porge Marco.
-Noce?- Domanda Marco un po' confuso, smettendo finalmente di fissarmi la pancia. Arrossisco e abbasso lo sguardo, Paolo sbuffa e se ne va.
-E' solo un nome stupido con cui chiamo nostro figlio- Spiego, calcando bene il "nostro". -Ora scusami, ma devo inseguire quel cretino- Dico, andandomene anche io e lui non si sforza nemmeno di salutarmi.Paolo è tornato a casa da solo. Io mi sono stufata di seguirlo, chiedergli di aspettarmi e di smetterla di fare il bambino. Lui ha continuato a camminare a passo spedito. Credo di avergli anche urlato che non sarà un problema crescere un bambino, visto che sto già appresso a lui ogni giorno. Si è fermato, mi ha guardata e mi ha fatto vedere il suo dito medio. Ha aumentato il passo, allora io ho smesso di seguirlo, l'ho lasciato andare da solo, ché oggi non ho la testa per stare dietro a nessuno, non dopo l'ennesima insufficienza e ora questa storia della gita a cui probabilmente non andrò, anche se ci tenevo particolarmente, alla fine è l'ultimo anno. Il telefono mi squilla in tasca, nemmeno guardo chi è: lo so già.
-Emma, ti muovi?- Chiede Chiara, con la voce tremolante e agitata.
-Sto facendo più in fretta possibile, mi ha fermata Marco prima che uscissi e Paolo si è preso a male, l'ho inseguito per un po'- Rispondo con il fiatone.
-E?- Mi chiede improvvisamente incuriosita dai miei continui drammi.
-E niente, è un cretino- Dico, scuotendo la testa da sola un po' sconsolata, come se lei potesse vedere il mio sconforto anche dalla telefonata.
-Oh che cazzo, ma c'ha il ciclo? Cioè io capisco che magari ci ha litigato con Marco, ma addirittura prendersela così tanto, mio dio- Si lamenta, quasi come ci fosse lei al posto mio.
-Ma che ne so, non penso mi spiegherà mai cos'è successo...- Bisbiglio, un po' rattristata da questa prospettiva. Condividiamo tutto da anni e la sua mancanza di fiducia in me, tanto da non dirmi cos'è successo tra lui e il padre di mio figlio mi lascia l'amaro in bocca.
-Chiedilo a Marco- Propone all'improvviso.
-Sei pazza? Io a Marco non chiedo niente- Rispondo un po' accigliata.
-A lui dai e basta?- Scoppio a ridere, entrando nel cancello del suo condominio.
-Dai cretina, sono sotto casa tua, scendi- Mi mette subito giù e io mi siedo sui gradini ad aspettarla, per ben dieci minuti. -Scusami eh- Dico, ridacchiando già. -Mi hai chiamata perché ero in ritardo di un minuto e tu ci hai messo dieci minuti a scendere?- Domando un po' sconvolta, rialzandomi con fatica dal gradino a cui ormai mi ero appiccicata.
-Oh che palle che sei- Mi tira uno schiaffetto sul braccio e io rido, mentre ci incamminiamo per andare a mangiare da qualche parte.
-Io voto McDonald's- Le dico, con un sorriso a trentadue denti, pregustando già il mio solito menù che prendo ogni singola volta, senza mai variarlo.
-Sì, tu vuoi sempre mangiare da McDonald's, non possiamo mangiare qualcosa di più salutare?- Propone, giocando con una ciocca di capelli.
-No, non con me tesoro- Le rispondo con un sorriso soddisfatto, so già di vincere, con lei vinco sempre, in questo periodo più del solito. Sbuffa e accetta la mia proposta, forse anche perché non ha nessun'altra idea.
-Vi ha ridato la versione?- Mi chiede per cambiare discorso. Si stringe nel giubbotto, oggi fa particolarmente freddo. Abbasso lo sguardo ed evito di rispondere, lo sa com'è andata. -Piccola, mi dispiace, vedrai che ce la farai...- Sussurra stringendomi una mano, sospiro un po' consolata e le dico "spero".
-Adesso proviamo a richiamare Simone, visto che ieri pomeriggio non ci ha risposto- Propongo, facendo abbassare il suo di sguardo. Mi fermo in mezzo al marciapiede, tenendola per la mano. Mi guarda un po' confusa e io le poggio le mani su entrambe le spalle. -Amore- Le dico, sorridendo sinceramente. -Non importa cosa succede fuori, ci siamo solo io e te, okay? Sempre. Anche quando il mondo crollerà, sarò qui, anche quando nascerà noce e non avrò tempo per niente. Me lo inventerò il tempo per te, okay?- Mi guarda, deglutisce e poi annuisce, per dirmi che ha capito. -Vedrai che è stato solo un malinteso. Magari non era Valeria- La conforto, abbracciandola. Sciolgo l'abbraccio e mi sorride, forse davvero convinta dalle mie parole, sicuramente rincuorata.
-Devo chiederti una cosa un po' seria- Le dico, mentre riprendiamo a camminare una accanto all'altra. -Marco mi ha dato il bollettino per pagare la fine della gita in Sicilia- Le spiego, un po' pensierosa.
-L'ultima settimana di marzo giusto?- Annuisco e mi mordo un labbro, sperando che capisca da sola di cosa ho bisogno. -Amo non puoi farla pagare ai tuoi genitori e poi magari rischiare di non andarci per noce- Dice subito, pensando ad una soluzione.
-Lo so! Ma non voglio dirglielo, non ora, io non sono pronta, lo sai anche tu che reagiranno malissimo- Esclamo un po' disperata.
-Amore, io credo che tu debba dirglielo però, penso che sia proprio questo il momento, tra due settimane hai l'ecografia del quarto mese e la pancia ti si vede ogni giorno di più, non crederanno per sempre che sei solo un po' ingrassata- Spiega, continuando a stringermi la mano. La guardo per un po', pensando a che cosa fare, a come comportarmi.
-Glielo diciamo domani- Azzardo, sapendo che me ne pentirò tra due minuti.
-Diciamo?-
-Sì, voglio che ci sia tu, solo tu- Rispondo, deglutendo già spaventata.
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La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]
FanficEmma ha diciotto anni, una vita piuttosto normale, un migliore amico iperprotettivo e una strana relazione con Marco, il più bello della classe.