Capitolo sette

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Paolo mi guarda, io cerco di essere il più normale possibile. Ieri sera non ce l'avrei fatta a parlare con lui, sarei crollata e gli avrei detto tutto e non penso di poterglielo dire così di getto. So che glielo dirò prima o poi, è il mio migliore amico, ma non conoscendo ciò che lo spinge ad odiare Marco in questo modo, preferisco aspettare, trovare il modo giusto, e pregare che lui non mi giudichi e reagisca meglio di come immagino.
-Posso sapere di che condizioni parlava Marco?- Chiede, guardandomi insistentemente. -Non voglio essere pesante e neanche iperprotettivo e so che puoi parlarci liberamente e che io non posso vietarti anche solo di scambiarci due parole davanti alla macchinetta-
Magari ci fossimo scambiati solo due parole. Non sono fatta per i rimpianti, ma in questo momento sono talmente spaventata da pensare che forse non ci avrei mai dovuto parlare, non avrei mai dovuto accettare che si sedesse accanto a me al corso di recupero, non sarei dovuta andare a casa sua.
-Stavamo solo parlando di cose inutili, non ricordo nemmeno...Era qualcosa riguardo i figli di Gigi, infatti era appena tornato alla sua scrivania quando sei tornato- Invento, cercando di sorridergli il più possibile. -Non preoccuparti per me, davvero- Dico, accarezzandogli un braccio. Lui sospira e abbassa lo sguardo. Non gli chiedo niente: non penso che mi risponderebbe, magari non mi spiegherà mai perché odia Marco, gli lascio i suoi spazi, non sono nella posizione di obbligarlo a parlarmi.
-Paolo, dio santo!- Urla una voce femminile tentando di aprire la porta, che però è chiusa a chiave. -Ti ho già detto che finché condividiamo la camera non puoi chiuderti dentro- Spiega, continuando a far fare su e giù la maniglia, come se all'improvviso dovesse aprirsi.
Paolo si alza, un po' scocciato e apre la porta della sua camera. Sua sorella è alta quasi quanto lui, è sempre vestita bene proprio come lui e i suoi capelli castani farebbero invidia a chiunque.
-Ciao Emma!- Esclama felicissima, buttandomisi addosso. Mi abbraccia e mi bacia le guance.
-Ciao Rebecca- La saluto non felice quanto lei, ma stringendola anche io e il suo profumo alla rosa mi si infila violentemente nelle narici. Se dovessi aspettare una bambina vorrei che avesse il suo profumo, la sua felicità, il suo stringere gli occhi quando sorride, quasi come anche i suoi occhi sorridessero.
-Dai, devi rompere ancora a lungo?- Chiede Paolo, alzando gli occhi al cielo.
-Signorino fino a prova contraria questa camera è di tutti e due e posso starci quanto tempo voglio- Sottolinea indicando il suo letto spinto contro il muro, le coperte disfatte, un cartellone che le sue amiche le hanno fatto per il suo recente compleanno, un gigantesco diciassette e un sacco di foto. Se dovessi aspettare una bambina vorrei che fosse come Rebecca, sicura di sè, ma non orgogliosa. La mia testa inizia ad immaginare il viso della mia ipotetica bambina, le sue guance, il suo nasino, gli occhi grandi, i capelli uguali a quelli di Marco. O forse no, forse il mio bambino o bambina che sia, non avrà niente di suo e potrò fare finta che sia tutto mio o mia. Paolo e Rebecca continuano a battibeccare, finché non mi alzo dal letto di Paolo.
-Devo andare- Dico, fissando un punto imprecisato tra di loro. Entrambi mi guardano, io infilo le mani nel tascone davanti alla felpa che ho appositamente messo per non far vedere questo mio nuovo vizio di tenermi le mani sulla pancia.
-Scusa se aspetti due minuti andiamo a scuola insieme...Ma è comunque presto- Dice Paolo, dando un'occhiata all'orologio che segna le sette e venti.
-No, non vengo a scuola- Spiego, come se lo ricordassi all'improvviso. -Ho una visita dal medico-
-E ti sei svegliata all'alba solo per venire qui a sentire le mie paranoie?- Domanda, controllando stranamente sua sorella con la coda dell'occhio. Annuisco abbassando lo sguardo e lui si avvicina abbracciandomi così forte che mi riesce difficile anche togliere le mani dal tascone della felpa. -Grazie- Sussurra, baciandomi la testa. -Grazie- E ripete il bacio. Vorrei non mentirgli. All'improvviso vorrei piangere e dirgli tutto, ogni cosa e buttarmi per terra e dirgli che io non voglio crescere un bambino da sola a diciotto anni e che ho bisogno del suo aiuto. Solo che lui scioglie l'abbraccio. Le mie mani tornano sulla mia pancia. Io mi limito a sorridere e con una calma paradossale esco da casa del mio migliore amico.

Stringo la borsa vicino alla pancia, che ormai proteggo come se contenesse tutto l'oro del mondo. E forse un po' può esserlo. La mia pancia contiene la cosa più preziosa e pericolosa del mio mondo. La sala d'attesa si è riempita di vecchietti e io sono la più piccola e già due volte ho avuto la tentazione di alzarmi ed andarmene.
-Marrone- Mi chiama Carla, sorridendomi. -Tocca a te- Mi dice, e io fatico ad alzarmi.
La mia dottoressa mi conosce da quando ho compiuto sedici anni e ho dovuto lasciare la mia pediatra. Mi siedo davanti a lei, che aspetta impaziente che io dica qualsiasi cosa.
-Io- Balbetto, un po' spaventata. -Io- Prendo un respiro profondo e lei aggrotta la fronte. -Potrei...Nel senso- Cerco di formulare una frase di senso compiuto, ma riesco solo a piangere, fino a singhiozzare.
-Emma, calmati!- Esclama lei un po' spaventata. Si alza e mi viene vicino, aiutandomi a smettere di piangere.
-Credo di essere incinta- Bisbiglio e giro subito lo sguardo da un'altra parte per non vedere il suo sguardo, per non vedere il suo giudizio personale che il suo viso trasmetterà nonostante la sua preparazione medica.
-Le mestruazioni?- Mi chiede, pensierosa.
-Ritardo di una settimana- Rispondo -Ho fatto due test e sono risultati entrambi positivi- Spiego, tenendo lo sguardo basso.
La sento sospirare e mi chiede di mettermi sul lettino, avvicinando l'ecografo.
-Emma è stato il tuo primo rapporto?- Scuoto la testa per dire no.
-Hai fatto un controllo ginecologico? Tua mamma lo sa?- Continuo a dire no e a mordermi un labbro. L'ecografo si accende e finalmente mi passa un po' di gel sulla pancia. Dopo non molto gira lo schermo verso di me e mi indica un piccolo pallino grigio avvolto dal nero e altro grigio. -Sei di un mese e mezzo- Mi spiega, continuando a controllare il pallino che ho nella pancia. -Vuoi sentire il suo cuore battere?- Domanda poi, sorridendomi all'improvviso. Io annuisco e in dopo pochi secondi un suono ritmato e ovattato si spande nel piccolo studio. E' così bello che non mi sembra nemmeno reale, forse è solo un sogno. Il resto della visita mi appare confuso. Tutto ciò che sento e risento nelle orecchie è il battito del suo cuore, il battito del mio pallino nella pancia. La dottoressa mi passa una cartellina, mi prescrive delle cose, mi dà delle foto di quel pallino e mi scrive il nominativo di una ginecologa. Io non ascolto, non sento più niente, quel cuoricino mi è entrato nella testa e non penso se ne andrà via facilmente.

Massimo mi apre la porta, mi dice che Chiara è in camera sua e io mi precipito da lei.
-Ciao piccola, che ci fai qui?- Mi chiede, fissando la cartelletta che tengo stretta tra le mani come se potesse scapparmi, volare via, e io non voglio più perdere quella sensazione, quel senso di onnipotenza che ho sentito. Ho perfino pensato di potercela fare.
-Devo farti vedere una cosa- Rispondo, osservando sua sorella seduta accanto a lei.
-Giulia puoi lasciarci un attimo sole?- Le chiede Chiara, cercando di essere il più cordiale possibile. Giulia mi guarda, non molto convinta, inizia a discutere con Chiara, ma alla fine, dopo qualche mia preghiera, finalmente prende il libro che aveva davanti e va in cucina. Apro la cartelletta davanti a lei, poggiandola sulla scrivania. Lei mi guarda stupita, poi osserva quelle foto in bianco e nere, sgranate, in cui c'è solo quel pallino grigio.
-So che è un casino- Mi dice -Ma è un casino che potrebbe rivelarsi meno brutto di quanto immaginassimo- Continua, stringendomi una mano. -Devi solo dirlo ai tuoi e a Marco-
-Oppure no, posso andarmene e basta, nessuno saprà mai niente, troverò un lavoro da qualche parte e crescerò il mio bambino- Spiego, spinta da un'improvvisa follia. -Vieni con me-
-Amore, non puoi scappare dal padre del tuo bambino e dai tuoi genitori...- Sussurra, un po' preoccupata. -E io non posso prendere e mollare tutto per questa cosa e hai bisogno di una mano, e io non sono di certo in grado di aiutarti...-

La stella più fragile dell'universo [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora