3 ◌ βιβλίον

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— Libro.

Non ricordo precisamente il momento in cui ero uscita dal bagliore di luce che mi aveva accolto nel corridoio, per conto del libro. Avevo aperto gli occhi e mi ero ritrovata all'aperto, sulla cima di una collina dove l'aria era pura e ben diversa da quella australiana. Continuavo a guardarmi intorno e le case erano basilari, come quelle dell'antichità, non c'erano finestre né porte, il paesaggio non era ancora stato rovinato dallo zampino dell'uomo. Era tutto così puro, vero.

Ah giusto, e c'era anche Calum Hood.

«Sto per avere una crisi» scandii ogni singola parola e mi passai una mano sulla fronte, iniziando a camminare nervosamente attorno a quel pozzo troppo rudimentale per essere solo di abbellimento.

«Stai zitta un attimo?» Calum si stava massaggiando le tempie con gli occhi chiusi, poggiato con la schiena al pozzo nella speranza di arrivare ad una conclusione.

Ma a quale conclusione doveva mai arrivare con la sua scarsa intelligenza?

«Sto per avere una crisi!» Quasi urlai girandomi volontariamente verso di lui per alimentare la mia agitazione, prima di guardarlo meglio. Notai che la sua divisa da basket aveva lasciato spazio ad una tunica bianca, perfettamente in contrasto con il colore della sua pelle ambrata, e dei sandali di cuoio ai suoi piedi anziché le sue amate sneakers. Sgranai gli occhi e, di conseguenza, diedi un'occhiata al mio outfit, palesemente cambiato: indossavo una tunica bianca corta appena sopra il ginocchio legata in vita con una treccia di cuoio, dei sandali simili a quelli di Calum ma con dei lacci che si incrociavano a metà polpaccio e i miei capelli si erano magicamente legati in una morbida treccia poggiata sulla mia spalla destra, intrecciata a delle piccole margherite.

«Hood, guardami» sussurrai ancora con lo sguardo rivolto verso il mio corpo, non avevo altro da aggiungere, non volevo parlare, solo... tornare a casa. Ma qualcosa mi diceva che probabilmente non saremmo tornati presto.

«Book, che schifo no» gemette il ragazzo in segno di disapprovazione ed io non sapevo se considerarmi offesa oppure tremendamente irritata dal suo modo di fare. Probabilmente io e Michael, il mio migliore amico, eravamo gli unici a non credere alla balla dell'essere omosessuale, come invece sosteneva lui. Borbottai qualche parolaccia sconnessa prima di avvicinarmi a lui e togliergli con poca delicatezza le mani dalle tempie e lui, per lo spavento, fu costretto ad aprire gli occhi e ad osservare il mio cambio repentino di look. Calum boccheggiò, prima di far scorrere lo sguardo sul mio corpo e subito dopo sul suo.

«Cosa diamine-»

«Hey! Chi siete voi? Dove sono i miei genitori?» Una voce maschile bloccò l'orlo della crisi di Calum, non più mia, ed entrambi ci girammo verso la direzione da cui provenivano le parole dette, ritrovandoci davanti un ragazzo splendido ed alto, con la stessa tunica di Calum e con dei ricci splendidi.

«Oh Dio» sussurrammo all'unisono mentre il ragazzo in questione si avvicinava a noi con il volto confuso quanto preoccupato. Aveva le sopracciglia increspate in un'espressione agitata, le labbra ricurve in un broncio quasi adorabile e notai i suoi occhi, davvero splendidi. Forse la mia esclamazione sussurrata aveva un significato ben diverso, poteva più significare un "Merda, che bel ragazzo". Riccioli d'oro iniziò a voltarsi e a controllare ovunque, a protendersi verso il pozzo, senza trovare la minima traccia di quelle persone che stava cercando.

«Hārry, Louīs» piagnucolò l'adone ed io non sapevo se arrossire e svenire un minuto dopo, oppure prendere tutto il coraggio del mio corpo e della mia anima per parlargli.

Optai per la seconda.

«Hey, va tutto bene... chi stai cercando?» chiesi gentilmente, avvicinandomi a quel ragazzo che emanava una strana luce, ma confortante, quasi ti invitava a cadere ai suoi piedi.

«I miei due padri, sono scomparsi! Erano qui, mai avrebbero lasciato questo posto, io- un momento» il ragazzo dai morbidi ricci biondi drizzò la schiena e si ricompose, deglutendo in modo regale prima di abbassare il suo sguardo verso il mio, naturalmente posto molto più sotto data la sua possente statura. «Non vi ho mai visto qui ad Atene. Siete dei viaggiatori?»

Atene? mi chiesi mentalmente dandomi un'occhiata intorno. Poi guardai il mio libro rilegato poggiato sul muretto in pietra del pozzo e lo afferrai velocemente, iniziando a sfogliarlo nella speranza di ritornare a casa.

«Cos'è quello?» il ragazzo dai ricci lucenti diede voce alla sua curiosità ed io alzai lo sguardo su di lui, notando che i suoi occhi erano passati dall'essere tristi all'essere stranamente incuriositi. Io e Calum ci guardammo confusi, ma io collegai subito e diedi nuovamente un'occhiata al libro, sperando di poter prendere parola prima del mio compagno di scuola che, sfortunatamente, era stato più veloce.

«Non sai cos'è un fottuto libro?» Quasi lo urlò, esasperato. Alzai gli occhi al cielo, volevo dargli uno schiaffo per la sua impulsività e successivamente urlargli quello che di più ovvio si presentava ai nostri occhi: non eravamo nel ventunesimo secolo. E questo probabilmente doveva farmi urlare, farmi preoccupare e farmi ragionare sul miglior metodo per ritornare indietro a casa nostra, non sapevo però per quale motivo un oggetto moderno come il libro era rimasto lì nelle mie mani, ed invece i nostri abiti o peggio, i nostri telefoni, erano svaniti.

«Uhm, libro. Mi è famigliare» masticò le sue parole pensieroso il ragazzo senza nome, continuando a guardare incuriosito l'ammasso di fogli rilegato che tenevo in mano. Poi alzò lo sguardo su di me, vidi una strana luce nei suoi occhi, come se stesse pensando a qualcosa, come se stesse collegando vari pezzi.

«Io, beh, mi perdoni se non mi sono presentato. Sono Ashtōn, incantato di conoscere questo dono di Afrodite» prese con delicatezza la mia mano portandosela davanti al viso e baciandone il dorso, sentii le mie guance colorarsi violentemente e diedi un'occhiata fugace a Calum, che guardava la scena alquanto schifato, prima di tossire.

Mi ripresi subito dopo.

«Ok, d'accordo, io sono Calum e lei è- uhm»

Davvero, Calum? Beh, effettivamente non mi aveva mai chiamata diversamente da Book o Langdon, quindi non mi sembra più di quanto tanto sorprendente il fatto che non ricordasse il mio nome, o il mio secondo nome, con il quale ero solita farmi chiamare.

«Brooke Diana» sbuffai, forse per il fatto che non lo ricordava lui, o forse semplicemente perché probabilmente tutta la Rowville Secondary School non sapeva il mio vero nome. Poi pensai che non mi era mai fregato nulla di nessuno in quella scuola, se non di quelle poche persone che il mio nome lo conoscevano per intero.

Lui annuì, come se si fosse ricordato improvvisamente.

«Giusto, Dia-»

«Diana, celeste, luminosa, divina. Il significato perfetto per una creatura splendida come te» continuò con tono adulatorio Ashtōn, il quale fece solamente peggiorare il rossore sulle mie guance e il nervoso del giocatore di basket al mio fianco. Sospirai, gli occhi del ragazzo greco in quel momento erano risaltati dalle luci del tramonto, rendendoli mozzafiato.

«Ok, pronto? Possiamo tornare alla realtà?» borbottò Calum prima di poggiare una mano sulla mia spalla, lasciando che tornassi bruscamente in me. Il greco dai capelli biondi aveva uno strano sguardo magnetico, ipnotico, e aveva probabilmente il doppio dell'effetto su una ragazza dell'epoca moderna.

«Sì, Calum, hai ragione. Ashtōn, noi siamo... viaggiatori, come dici tu, ma ci siamo persi. Dobbiamo tornare necessariamente a casa» non sapevo di poter avere tutta quella calma in corpo, avevo scandito ogni parola con cura cercando di farmi comprendere al meglio dal ragazzo che probabilmente non avrebbe capito se gli avessi chiesto: "Qual è il primo volo per l'Australia?".

Lui guardò prima me e poi Calum -sicuramente non gli stava poi così simpatico-, prima di voltarci le spalle e sussurrare un «seguitemi», incamminandosi subito dopo, nella speranza che la meta fosse un luogo dove trovare risposte.

AGAPE ❀ 5SOS - L.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora