21 ◌ κλίμακα αδυναμιών

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—La scala delle debolezze.

Il suono che i cancelli fecero mentre si aprivano davanti a noi, non fu ovattato come solitamente dovevano essere i suoni in acqua. Non vennero spinti con forza contrastante a quella del mare, semplicemente vennero aperti e lo stridere del metallo sulla terra risuonò nettamente nelle mie orecchie. Sentii le mie labbra schiudersi in un'espressione di puro stupore, mentre lentamente avanzavamo all'interno della zona reale, seguendo quel ragazzino dalle scarpe alate tutto pepe. Avevo il mio libro stretto sul petto, i miei occhi non guardavano un punto fisso per più di dieci secondi, troppo curiosi e bisognosi di fotografare ogni angolo di quel mondo affascinante.

Allora il mare non è così cattivo come credevo.

Camminai a debita distanza da Calum, ancora innervosita -e non poco- dalla sua stupida presenza. Mi resi conto in quel momento di silenzio che quando era sul punto di farmi ricredere e farmi eliminare totalmente l'etichetta cazzone dalla sua fronte, decideva di attaccarla con la super colla.

«Quanto ci vuole?» chiese Calum poco dietro di me, come se avesse avuto l'impressione di esser tirato in causa dai miei pensieri e allora voleva dar voce ai suoi. Io feci una smorfia indefinita, senza rivolgergli la parola. Anche perché, se avessi dovuto rivolgere lui la parola, non certamente avrei risposto alla sua domanda.

«Il mondo è di chi ha pazienza» annunciò Hermes davanti a noi, senza però girarsi per rivolgersi direttamente a Calum. Avevamo camminato lungo un ampio giardino dove persone lavoravano senza fatica e piantavano fiori marini dai colori vivaci, mentre fischiettavano felici e si scambiavano a volte parole tra loro. Era confortante sapere che almeno una volta, nella storia dell'umanità, c'erano persone felici anche solo di lavorare, anche solo di piantare un fiore.

«Che diamine vuol dire?» borbottò lui in modo infantile.

«Vuol dire che devi stare zitto finché non arriviamo, grazie» parlai io al posto dei Hermes, leggermente urtata dalla voce di Calum. Stavo diventando seriamente intollerante agli stupidi, e stavo quasi preferendo l'Antico al Moderno Mondo. Non c'era, che ne so, l'opzione di rimanere sola nel passato?

Davanti alle nostre minute figure ci ritrovammo senza preavviso un enorme palazzo brillante, fatto di un materiale strano che sembrava vetro, e rifletteva la luce dei raggi solari che filtrava attraverso l'acqua. L'effetto era sbalorditivo. Hermes bussò al grande portone in vetro e nell'attesa si girò verso di me, sorridendomi e dandomi fiducia. Gli ero davvero grata di ciò che stava facendo per me.

Le porte si aprirono velocemente, e ad accoglierci trovammo una sirena... maschio. Avevo letto da qualche parte che si chiamassero tritoni, ma non volevo sbagliarmi e fare figuracce, quindi preferii osservarlo di sottecchi. Aveva uno sguardo illuminato dalla luce del sole e la sua pelle leggermente tendente al verde brillava. Sembrava un ologramma.

«Benvenuti nel palazzo del più grande e potente-»

«Risparmiatelo, Tritone» la mano di Hermes sventolò a mezz'aria, bloccando le parole del tritone sul nascere. La creatura marina infatti sporse il labbro all'infuori apparentemente triste, prima di sorriderci rassicurante.

«È il mio lavoro, Hermes» puntualizzò.

«Lo so bene. Ma come per te è noioso ripeterlo ogni volta che si apre questa porta, per me è noioso sentirlo ogni volta che vengo qui» ragionò Hermes battendo i sandali alati tra loro, mentre ancora galleggiava sott'acqua. Io e Calum eravamo ancorati con i piedi nella sabbia, come spaventati che la corrente ci potesse spingere via e allontanare dall'enorme fatica che ci aveva portato fin lì. Il ragazzo con la coda si inchinò davanti a noi in modo plateale, portandosi il braccio sul ventre per piegarsi con regalità.

AGAPE ❀ 5SOS - L.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora