Uno.

4.2K 121 51
                                    

Mise una mano in tasca, camminando il più lentamente possibile mentre l'altra cercava di allargare il nodo troppo stretto della cravatta legata al collo. Nemmeno lui sapeva perché aveva deciso di vestirsi da pinguino, quell'abito lo stava soffocando.

Salutò con un cenno della testa qualche presente che aveva riconosciuto e si sedette in una delle sedie più lontane dall'altare.
Portò le braccia al petto, il viso non trapelava nessuna emozione, solo finta indifferenza. Gli occhi erano volutamente coperti da un paio di occhiali neri marcati come sempre da profonde occhiaie violacee.

Quando tutti i presenti girarono la testa verso l'entrata della villa, lo vide.
Era bellissimo, sembrava un principe.
Si limitò ad abbassare lo sguardo e a non fare caso alla sua camminata verso l'altare dove non c'era di certo lui ad aspettarlo.

I ricci si mossero leggermente non appena la sua testa si girò completamente verso di lui, i suoi occhi sembravano felici, forse troppo.Gli rivolse un occhiolino continuando a sorridere per poi voltarsi nuovamente verso il prete.

Era teso, si poteva percepire.
Però era felice.
E a lui bastava.

Non aveva seguito nemmeno una parola pronunciata dal sacerdote, era rimasto nella medesima posizione per tutta la durata del suo discorso, odiava i matrimoni.
Odiava i matrimoni all'aperto.
Odiava quel dannato matrimonio.

«Sì, lo voglio.» disse sicuro, la voce non gli era sembrata nemmeno un po' titubante.

Al contrario il suo cuore perse un battito, o forse, anche due. Si portò una mano sul cuore, improvvisamente sembrava che volesse uscirgli dal petto mentre batteva all'impazzata, tanto da fargli male.
Abbassò la testa, respirando più veloce del solito per tentare di calmare il suo corpo che stava per cedere.
Si passò il dito sotto l'occhio per evitare che la prima lacrima scendesse lungo il suo viso e riportò lo sguardo avanti concentrandosi sulla cerimonia.
'Non adesso' si ripeteva stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche.

La testa aveva iniziato a pulsare, le gambe sembravano esser fatte di plastellina quando il bacio tra i due sposi fu accolto dai sorrisi di tutti i presenti, accompagnati da qualche lacrima di commozione e da commenti fin troppo azzardati.

La fastidiosa suoneria del suo iPhone lo fece sobbalzare dal letto, lo prese con una mano spegnendolo velocemente, già troppo innervosito per essere solo le nove del mattino. Se fosse stato per il suo istinto l'avrebbe già scaraventato contro il muro.
Si era passato la mano sul viso, fino a tirare leggermente qualche ciuffo che gli era caduto sulla fronte.
«Vaffanculo cazzo!» imprecò sotto voce rigirandosi sul letto singolo, era solo come sempre. Chiuse nuovamente gli occhi, strizzandoli un paio di volte prima di metabolizzare di aver fatto nuovamente l'ennesimo sogno.
Era talmente reale che il suo cuore continuava a battere come se fosse ancora lì, a quella dannata cerimonia. Si passò entrambe le mani sulla faccia, ogni risveglio era così da quando Ermal era andato via.

Anche se di sogno, in fin dei conti, c'era ben poco. Sapeva bene che era solo questione di qualche mese e quella vicenda l'avrebbe vissuta in prima persona. Sarebbe volentieri scomparso da quel mondo che lo stava distruggendo nel vero senso della parola. O forse aveva solo bisogno di una vacanza lunga qualche mese, per staccare la presa e ricominciare una nuova vita.

Una nuova vita; era spesso che sperava in un nuovo inizio che purtroppo non arrivava mai. Avrebbe voluto riiniziare tutto da capo, innamorarsi, comprare casa insieme, prendere un cane e fargli conoscere i suoi bambini.

I suoi pensieri furono interrotti nuovamente dalla suoneria del telefono.
Sbuffò teatralmente prima di prenderlo nuovamente tra le mani ed accettare la chiamata.

«Che voi Robè?» domandò senza nemmeno salutare.

«Ammazza oh! Simpatico oggi!» aveva ridacchiato il suo amico «Movite a prepararte che sto passando a prendere un po' de roba.»

«T'ho già detto che non ho bisogno di nessun aiuto.» rispose stizzito mettendosi seduto sul letto «Devo portare due cose contate e ci stanno nella mia macchina, non disturbarti.» cercò di essere più calmo, anche se di quei tempi gli veniva difficile parlare in modo pacato.

Era stato già difficile spiegare ai bambini che non avrebbe più vissuto con loro e con la loro madre, con semplici parole gli aveva detto che il loro papà aveva bisogno di stare da solo, per il lavoro e perché con la mamma non andava più tanto bene.

Con lei, era rimasto in buoni rapporti, anche perché si trovava ancora in quella casa.
Non capiva come da un giorno all'altro si fosse ritrovato a dormire nella camera degli ospiti e non nel suo letto matrimoniale.

«Ti aiuto a mettere le cose in macchina Fabrì.» gli sorrise la donna afferrando il suo borsone mentre lui si inchinava per prendere in braccio la sua figlia minore, portando le labbra sulla sua fronte.
«Accompagnate papà fuori?» domandò facendo annuire entrambi i suoi bambini.
«Quando torni papà?» chiese la più piccola.
«Amore papà cambia solo casa, ma verrà a trovarvi ogni volta che può.» sorrise leggermente passando una mano sui suoi capelli morbidi.
«Te l'ho detto Fabrì che potevi rimanere qui.» gli sussurrò Giada al suo fianco.
«Lo so Giadì, ma non è giusto né per loro e né per noi.» circondò il suo corpo con le braccia e lei si accomodò sul suo petto, proprio come avevano sempre fatto.

Non era cambiato niente, a parte l'amore.
Fabrizio non era una persona che amava litigare, preferiva trovare un compromesso.
Giada era intelligente e dopo avergli comunicato che da parte sua non c'era più amore, lei l'aveva capito, senza rancore o altri inutili sentimenti d'odio.
Aveva semplicemente capito che un amore può finire proprio come inizia.

Il loro era finito, ma era stato bello fino alla fine.

Poi gli aveva domandato se nella sua vita fosse subentrata un'altra donna ricevendo in risposta solo un 'no' con la testa.
Non era andata oltre con le domande e lui non si era sentito di raccontare altro di ciò che più lo stava tormentando.

Ermal.

Era da quel giorno che non lo vedeva, nonostante fosse passato un mese.
L'estate era ormai terminata e settembre stava giusto iniziando.
Aveva rifiutato ogni tipo di invito dopo aver scoperto che era presente anche lui, aveva detto che aveva la febbre, un impegno di famiglia, un raffreddore di Anita, una visita all'ospedale.
Non era pronto a sentirsi dire quanto Silvia fosse bella incinta o quanto fosse agitato per il matrimonio.
In realtà non era pronto nemmeno a vederlo, a scrutare i suoi occhi, a non poterlo stringere come voleva, a non baciare le sue labbra fini e rosa, a non mettere le mani tra i suoi capelli.

Semplicemente non era pronto e probabilmente non lo sarebbe mai stato.
'Devi reagire' si diceva ogni giorno, promettendosi che alla prossima ospitata insieme a lui avrebbe risposto positivamente, cosa che puntualmente non accadeva.

Aprii la porta del nuovo appartamento, pensando che forse era fin troppo grande per una persona sola. Scaricò dalla macchina i pochi bagagli che si era portato, lasciandoli davanti alla porta di ingresso per uscire nuovamente a fare una spesa veloce.

La casa era talmente vuota che il senso di solitudine era ancora più intenso.
Forse avrebbe dovuto iniziare ad arredarla un po'. Ermal sicuramente l'avrebbe aiutato e preso in giro per i suoi gusti leggermente particolari. Poi per farsi perdonare l'avrebbe abbracciato, gli avrebbe baciato il collo per poi arrivare alle sue labbra.
Scosse la testa per quegli stupidi pensieri da ragazzino e iniziò a mettere la spesa nel frigo e nei mobili.

Si portò una mano alla fronte quando vide il frigo pieno di alcolici e afferrò la prima bottiglia che gli si presentò davanti.
Ne prese un lungo sorso, facendola scendere a fatica dato che era ancora abbastanza calda per poi riportarsela alle labbra constatando solo dopo di star bevendo tequila.

«Che cazzo ti guardi?» urlò puntando il dito allo specchio che rifletteva la sua figura.
Scoppiò a ridere pochi secondi dopo e si aggrappò al lavandino quando la testa iniziò a girare più del dovuto.
Aprii il rubinetto dell'acqua bagnandosi una mano per poi cadere rovinosamente sul pavimento. Gli occhi si chiusero automaticamente e il respiro iniziò a rallentare.

Non c'è niente di più fragile di una promessa. «MetaMoro»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora