16. La tortura del Sole

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 Il ritorno di Robert al Campo aveva reso felici un sacco di persone, ma solo Sia poteva essere comparata al livello di euforia - opportunamente implicito - che aveva colto Shoshanah. Rivedere suo fratello, ormai sempre impegnato a infoltire le schiere dei collegiali, era diventato un evento prezioso, unico nel suo genere, non solo per l'emozione in sé di rivedere una delle persone più amate, ma anche per tirare un sospiro di sollievo dal lavoro.

Essere capocasa non era facile. Non era un compito che Sia aveva desiderato, proprio no. Però non aveva saputo dire di no a Rob, quando lui l'aveva scelta tra tutti i loro fratelli, per prendere le redini della casa di Efesto mentre lui era assente. Era un compito difficile, pieno di preoccupazioni e impegni, ma aveva avuto il pregio di spostare la concentrazione di Sia sui suoi fratelli, più che su se stessa. Pregio e difetto allo stesso tempo, in realtà: dimenticare i propri problemi a favore di quegli degli altri non è una soluzione. E piano piano, un mese dopo l'altro, la ragazza si trovava sempre più a rendere conto di questa verità.

Le cose al Campo non erano migliorate, dopo New Troy. Molti suoi amici avevano guadagnato il rispetto di persone prima avverse, alcuni avevano trovato la persona adatta a loro, come era successo con Shoshanah e Rob. Altri ancora erano semplicemente loro stessi, come sempre.

Sia era l'unica ad aver subito un peggioramento. Non se ne rendeva davvero conto, ma la sua vita aveva subito una drastica battuta d'arresto in termini di gioie da quando Robert era partito per il college e lei era assurta al ruolo di capocasa, perché nonostante la sua posizione di prestigio, non era affatto rispettata.

Tempo prima, quando ancora New Troy era solo un mistero nella mente degli dei, Sia aveva avuto un bullo con cui confrontarsi.

Ora ne aveva un'intera banda.

Eh, già! Da grandi responsabilità derivano grandi grattacapi, semicitazione. Assumendo il ruolo di caspocasa, Sia si era esposta un po' troppo nell'ambiente del Campo Mezzosangue. In una riunione aveva fatto presente che uno dei nuovi arrivati della sua cabina, un bimbo asiatico leggermente sovrappeso di nome Eric, era costantemente preso di mira da alcuni bulletti delle case di Nike, Apollo e Tyche. Quella sera aveva ufficialmente firmato la sua condanna.

I ragazzini, probabilmente cresciuti da famiglie che non avevano brillato per educazione, avevano trovato una guida nel più arrogante semidio degli States: Callan Riddock.

A Callan non era parso vero di poter disporre di una piccola legione di sgherri, di cui usufruire liberamente per portare avanti il suo intento, e cioè punire quella stupida, sciocca, insipida figlia di Efesto. Considerando poi che la pubertà non era stata clemente con Sia, mentre aveva invece trasformato Callan nella fotocopia di un belloccio di Abercrombie, si poteva ben capire che la situazione della piccola figlia di Rob iniziava a virare verso una sempre più grigia fine.

Callan odiava Sia. La odiava con tutto il suo cuore. Se una volta praticava la sua tortura solo quando la incontrava per caso, ora la questione si era fatta quasi quotidiana. Era lui che l'andava a cercare, come se fosse diventata una droga. Se non poteva o non aveva voglia, chiamava a sé i suoi accoliti e insegnava loro un nuovo scherzo da farle, poi si sistemava da qualche parte ad osservare soddisfatto la reazione di quella ragazzetta inutile. Pensava fosse estremamente divertente, tanto più che Sia non apriva mai bocca con Robert. Callan era al sicuro, lo sapeva e faceva buon uso di questa certezza. Ormai talmente radicata da renderlo spavaldo anche quando Hart si trovava al Campo. Non c'era più nulla tra lui e il suo diletto quotidiano. Solo il rintracciare la stupida prole di Efesto e pensare con cura alle parole da dirle.

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