13. Interpretazione degl'incubi

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L'intero campo giaceva sotto una fitta coltre di neve compatta e ghiacciata come quella che aveva visto a casa di Sia un paio di anni prima quando avevano passato assieme le migliori vacanze di Natale di entrambe le loro esistenze. Il cielo era basso e grigio come un incudine, pesante di nuvole color piombo. Il vento che tirava era elettrico come prima di una tempesta sull'oceano, ma non c'erano lampi. La visione da incubo era torneggiata da una montagna che Rob era sicuro non ci fosse mai stata prima d'allora. Le vibrazioni facevano tremare l'aria elettrica, lontane ma percettibili. La cosa più strana di tutto il sogno era la sensazione di vedere così tutto chiaro e perfetto come non era abituato a fare. Da oltre la montagna si sentivano urla distanti e la cima si perdeva oltre il cielo stesso come se la volta celeste si piegasse per incontrare il picco bianco.

D'improvviso il vento si faceva sempre più forte e insostenibile, tanto da costringerlo a ripararsi il viso con le braccia. Una dopo l'altra le cabine alloggio venivano divelte dal vento e si alzavano a pezzi in cielo dove venivano poi smembrate dalla furia della tempesta che non era ancora nemmeno arrivata. Il palladio e la casa grande furono gli ultimi a levarsi da terra tra nubi di detriti che si polverizzavano andando a sciamare come un nugolo di api impazzite avanti e indietro nell'aria irrequieta. Poi la terra iniziava a vibrare e...

"E poi mi sveglio. Sempre nello stesso punto, quando inizio a vedere le crepe sul terreno e mi sento cedere le gambe".

Rob tacque e con lui tutte le persone presenti al secondo piano della casa grande, nello studio personale di Sue, dove un tempo c'era stata la soffitta della Sibilla (o di quello che ne era rimasto per anni). Le pareti erano state riverniciate, erano stati appesi un sacco di poster che invitavano i ragazzi a una giusta alimentazione e a stare attenti alla postura, assieme a foto di gruppi di persone sorridenti in magliette arancioni. Le poltrone erano più piccole e meno comode di quelle del piano di sotto. In tutto e per tutto aveva l'aspetto dell'ufficio di una preside, se non fosse stato per la scrivania di Scarlett e il tavolino dove Grant organizzava i suoi occhi confusissimi documenti (per lo più appallottolati o mangiucchiati agli angoli). Argo li aveva lasciati soli ma poteva immaginare che fosse nella sua stanza dall'altro lato del corridoio a cercare di capire cosa si stessero dicendo. Avevano optato per quella stanza e non il soggiorno del piano terra per una semplice questione di privacy. Sue e Scarlett si erano fermamente opposte anche alla sola piccola possibilità che uno qualsiasi degli altri ragazzi venisse a sapere di un sogno premonitore così spaventoso.

"Non c'era davvero nessuno nel tuo sogno?" chiese Scarlett accavallando le chilometriche gambe su cui aveva appoggiato una tavoletta su cui stava distrattamente prendendo appunti. Sue, dal canto suo, aveva invece incrociato le braccia e fissava il ragazzo come se potesse trapanargli via la verità dal cervello con uno sguardo.

"No. Solo io e nemmeno sono sicuro che fossi io... ci vedevo e anche molto bene".

"Bhe, immagino nei sogni ti capiti sempre" disse Shoshanash fissando distratta il fondo del suo bicchiere di té freddo che aveva appena finito di sorbire con malgrazia dalla cannuccia.

"Sì, in generale. Ma questa volta è diverso, non mi era mai sembrato così vero. Non è un sogno normale".

"Su questo possiamo trovarci tutti quanti d'accordo e ritengo che sia bene che tu tenga in mente tutto quello che hai visto. Anche solo in forma simbolica hai visto la previsione di un grandissimo disastro che potrebbe portare distruzione al campo. L'ultima volta siamo stati fortunati e abbiamo avuto una profezia. Gli dei soli sanno cosa ha in serbo il destino per noi in questo momento".

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