17. Aprire gli occhi

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Gabriel fissò la schiena di Callan sentendo l'eco delle poche ultime parole che gli rimbombavano nel sangue. Raramente ne aveva sentite di più crude e sgradevoli. Di così cattive. Avrebbe voluto dargli fuoco con gli occhi ma non sapeva cosa era successo e non era quella la sua priorità in quel momento. Quando Callan si allontanò a grandi passi, il suo sorriso tronfio stampato in faccia, l'unica cosa che gli venne in mente fu correre verso la ragazza. Era rossa in faccia e tutto dalla sua postura al modo in cui respirava indicava che non stava affatto bene. Riddock era la peste del campo, e Gabriel l'aveva sempre pensato. Tuttavia, le cose stavano molto peggio di quanto pensasse.

Quando aveva saputo che Sia era stata eletta capocasa era stato molto felice per lei ed era andato a farle le congratulazioni. I loro contatti si erano più o meno interrotti lì. In tre anni avevano combattuto assieme, cantato assieme, fatto allenamento assieme, e ora partecipavano alle riunioni dei capicasa assieme. Poteva dire che erano in rapporti amichevoli, ma non avrebbe saputo dire cosa pensasse Sia di lui o come si potessero definire. Conoscenti era riduttivo. Amici era un'esagerazione. Sapeva poco o niente di lei a parte il fatto che veniva dall'Alaska e che era come una sorella di sangue per Rob. Le piaceva cantare, certo, tutti conoscevano la sua voce angelica. Ma pochi conoscevano cosa ci fosse davvero dentro di lei.

"Sia, tutto bene?"

La ragazza ebbe un sussulto e abbassò le mani dietro cui aveva nascosto il suo volto tumefatto dalle lacrime. Guardò Gabriel terrorizzata, e la sua espressione peggiorò quando si rese conto di quanto bene il figlio di Zeus la stesse osservando. tesse

"Sì" bisbigliò, staccandosi dalla porta per raccogliere la bottiglietta d'acqua, ormai vuota e infangata.

"Sei sicura? Andiamo a prendere una bottiglietta nuova". Provò a guardare oltre il viso gonfio di lacrime, tentò di osservare oltre la patina di "tranquillo tutto bene" che si trovava davanti. E sorrise, nel modo più semplice che riuscì. Non voleva compatirla, voleva ascoltarla.

Però Sia sembrava spaventata da quella gentilezza. Gli lanciò uno sguardo preoccupato, scosse la testa e tentò di sorridere, ma il sorriso si trasformò in una smorfia quando si portò una mano al fianco e premette le dita in un punto preciso.

"Scusa, il... il lavoro..." indicò confusamente la fucina, dopodiché gli diede le spalle e si sbrigò ad aprire la porta.

"Allora posso chiederti se dai un'occhiata anche a questo?" chiese, seguendo la sua stessa intonazione e alzando il pettorale della sua armatura. Aveva un lungo squarcio al centro e a quello si poteva vedere corrispondente uno strappo nella maglietta arancione appena accennato. "Mi sono allenato con Rob e... le cose gli sono sfuggite di mano".

Sia si asciugò nervosamente il viso e un pesante sospiro le sfuggì dalle labbra.

"Certo" bisbigliò, facendo cenno a Gabriel di seguirla dentro.

L'ambiente era illuminato da grande lampade a led montate direttamente sulle assi del soffitto. La loro luce scarna faceva sembrare tutto ancora più pericoloso e tagliente di quanto non fosse già. Le fucine della casa otto odoravano di limatura di metallo, acquaragia e cuoio bruciato. La fucina mandava un bagliore morente dall'angolo e volute di vapore si alzavano da una piccola schiera di secchi in un angolo vicino alla finestra. Abbandonata sul tavolo c'era una lama non finita e svariati tipi di martelli, tenaglie, mantici e oggetti sulla cui natura Gabriel non era pienamente certo. Correva voce avessero anche una pressa idraulica, ma Rob aveva sempre negato. Era tutto a misura di ingegno. E proprio per questo il figlio di Zeus non capiva nulla. Era un po' soffocante.

"Ti posso dare una mano se vuoi... se mi dici cosa posso fare".

"Mettiti lì" rispose Sia, indicandogli il punto più lontano dal bancone.

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