Capitolo undici ~ Di ripetizioni e bugie svelate

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Per carità, il Natale e le vacanze che esso portava erano fantastici.
Era il suo periodo preferito dell'anno – anche l'estate non le faceva schifo, per carità, ma con l'atmosfera natalizia le pareva di tornare bambina.
Peccato che avesse diciotto anni, non fosse più una bambina da un po' e ad attenderla a gennaio c'erano i compiti in classe e le interrogazioni di fine quadrimestre.
«Voglio morire.» mugolò Amelia lasciandosi andare nel comodo divano di casa propria. I libri aperti stavano sul basso tavolino di legno, praticamente intonsi; aveva provato per mezzora a studiare: non c'erano stati risultati.
«Avanti Ame, non distrarti.»
La voce della madre la richiamò e fece una smorfia.
«Non ce la posso fare, non ci sto capendo nulla.» continuò a piagnucolare sempre sul divano.
Pochi secondi dopo sentì la madre che si avvicinava e, dopo aver ricevuto una carezza sulla testa, le poggiò di fronte una tazza colma di cioccolata.
«Questa è per darti la carica.»
Immediatamente Amelia alzò gli occhi adoranti verso la cara Serena, che la guardava con finta aria esasperata.
«Ti ho mai detto che ti voglio bene?» tubò schioccandole un bacio sulla guancia.
«Sì, e anche che sono una strega. Questo quando ti ho messo il coprifuoco.» la canzonò la madre.
Amelia arrossì ma fece finta di nulla.
«Era solo una battuta, mamma adorata.» continuò con un sorriso luminoso.
«Ah ah.» disse solo la madre sedendosi a fianco a lei.
Mentre la mora iniziava a tuffare il naso nella tazza di cioccolata, la donna lanciò un'occhiata ai libri poggiati in disordine sul tavolo.
«Matematica, fisica, chimica... Hai problemi con le materie scientifiche, tesoro?»
Amelia alzò gli occhi al cielo.
«Non sono mai stata una cima, lo sai.» bofonchiò mentre si gustava la cioccolata e riscaldandosi al contempo.
La madre le lanciò un'occhiata penetrante.
«Spero tu non ti stia distraendo troppo.»
«Non iniziare, mamma, lo sai che mi impegno. Ma io con matematica e fisica, soprattutto, proprio non riesco a farcela.» disse Amelia ponendosi sulla difensiva.
Per qualche istante ci fu silenzio mentre la ragazza si gustava la propria cioccolata e la donna la osservava assorta.
«Va bene.» disse all'improvviso Serena «Allora non ti distraggo ulteriormente, studiati e impegnati, mi raccomando.» disse solo, per poi farle un sorriso, darle un bacio sulla guancia e andarsene.
Amelia le lanciò una veloce occhiata.
Ha lasciato perdere in fretta. Questa cosa non mi piace...


Era il quattro gennaio e, come il giorno prima, Amelia non era riuscita minimamente ad andare avanti con quelle materie infernali.
Le odiava.
Aveva pensato di chiamare Nicole o Daniele per darle una mano, ma non c'era stato risultato: Nicole era troppo impegnata con i propri impegni e studi per avere il tempo di darle una mano, mentre Daniele...
Daniele stava facendo lo stronzo e Amelia si era già trattenuta un paio di volte dal mandarlo a quel paese – aveva fatto appello a tutta la propria pazienza pur di non farlo, e ci era anche riuscita; solo che quando aveva osato chiedergli di studiare assieme, il ragazzo l'aveva sbolognata senza alcun riguardo e là non aveva resistito a fare una delle solite uscite pungenti.
Se l'è meritato, pensò imbronciata Amelia, seduta sul letto e gli occhi persi sul libro di matematica senza vederlo realmente.
Sospirò.
Non capiva proprio cos'avesse il proprio amico, all'inizio pensava riguardasse la sua famiglia ma ultimamente non ne era più tanto sicura. Di solito, anche se non in maniera troppo approfondita, il ragazzo finiva per accennarle dei problemi anche solo per avere un po' di sostegno, ma quella volta non gliene aveva parlato e Amelia, se da un lato era preoccupata che fosse qualcosa di grave, dall'altro era infastidita di venire esclusa così platealmente dalla sua vita.
A tirarla fuori dalle proprie elucubrazioni mentali fu il basso ticchettio alla porta.
«Avanti.» disse ad alta voce, prendendo in fretta un libro sul grembo per sembrare più impegnata di quanto non fosse – fingere, fingere sempre con i genitori!
Dall'uscio sbucò il volto sorridente di Serena.
Troppo sorridente, pensò con orrore Amelia costringendosi a non guardarla in ansia.
«Tesoro!» tono zuccheroso uguale pericolo.
«...sì?» mugugnò la mora poco convinta.
La donna entrò definitivamente in stanza mostrandosi non con la solita tenuta da casa (ovvero una semplice e comoda tuta), ma in jeans e maglioncino color cipria, truccata e con il cappotto in mano.
«Stai uscendo?» chiese ancora Amelia – Serena non l'aveva avvisata che sarebbe uscita, ma in fondo non che le comunicasse tutti gli spostamenti.
«Sì.» iniziò allegra la donna «Con Margherita, è al piano di sotto.» fece poi, il sorriso che si illuminava sempre di più.
Margherita? La madre di Alessandro?
«Oh, ok.» si ritrovò a dire confusa – perché glielo stava dicendo?
«C'è anche il tuo prof al piano di sotto.»
...cosa?
«Eh?»
Non si poté impedire di lasciarsi sfuggire quel singolo suono con tono misto di isterismo, confusione e qualcos'altro di indefinito.
«Sì, Alessandro, o prof Angelis, quello che è.» continuò la madre tranquilla «Ho finito per parlare a Margherita della tua difficoltà con le materie scientifiche, e ha così insistito per chiedere al figlio di darti una mano che proprio non ho saputo dire di no.» spiegò sempre allegra.
Amelia aveva smesso di pensare.
Cosa cazzo sta succedendo?
«Non hai saputo neanche dirmelo, suppongo.» finì per sibilare.
Meglio mostrarsi irritata che farle capire che aveva una cotta per il professore – e che lei stessa le stava offrendo la possibilità di starci per qualche ora assieme senza nessun altro intorno.
Oddio. Io e lui. Da soli. Insieme. Per qualche ora a studiare. Non so se è un sogno o un incubo.
Il suo cervello sembrava in stand by e non riusciva a riavviarlo.
La madre però aveva preso quella frase acida con irritazione.
«Tesoro, mi è sembrata una buona occasione per aiutarti a studiare e prendere qualcosa di più di quelle misere insufficienze.» frecciò la donna. Amelia sollevò gli occhi al cielo.
«Non ho bisogno delle ripetizioni di quello lì. Posso farcela da sola.» disse irritata – il fatto era che si sentiva talmente tanto agitata da riuscire a reagire solo in quella maniera.
«Beh» iniziò la donna con un vario tono sarcastico «Peccato che sia qui sotto insieme a Margherita, è già stato abbastanza gentile da accettare e non chiedere nemmeno dei soldi, quindi adesso tu ti mostrerai gentile e lo ringrazierai dell'aiuto che ti ha offerto.» ordinò la donna.
Amelia aprì la bocca per replicare, ma la madre fu più veloce.
«E non mi farai fare brutta figura, ok?» fu l'ultima frase detta con un neanche tanto lieve tono minaccioso.
Ah, le madri. Loro che con le occhiate sapevano farti provare la primordiale paura che ti spingeva alla sopravvivenza più istintiva.
«Ok.»
La risposta era proprio frutto di quell'istinto di sopravvivenza sopracitato.
«Bravissima, amore.» tubò Serena ritornando amorevole.
Spalancò poi la porta, aspettando che Amelia uscisse per prima – non voleva darle occasione di lanciarsi dalla finestra, pensò la ragazza – e lei riuscì solo a darsi una sistemata allo specchio prima di prendere i libri e scendere al piano di sotto con l'aria da martire.
Era la sua camminata verso il patibolo, già lo sentiva. Nella sua testa però una parte era occupata a pensare che Serena le avrebbe potuto dare almeno il tempo per cambiarsi, dato che indossava dei leggins neri con un buco all'altezza del ginocchio e un maxi maglione grigio fumo; i capelli, manco a parlarne, erano tenuti insieme da una molletta a forma di farfalla verde fosforescente.
In pratica, era inguardabile.
Dio aiutami, pensò – in quei momenti di necessità anche il suo essere atea passava in secondo piano.
Al piano di sotto sentì le voci di Margherita e Alessandro bisbigliare qualcosa senza però capire l'argomento della conversazione.
Quando entrò nella stanza con la madre fu anche peggio di quanto si era aspettata – questo perché l'adorabile professore era seduto mollemente sul divano, manco fosse casa sua, e la osservava annoiato nei suoi vestiti casual composti da un paio di jeans scuri e un maglione bordeaux da cui spuntava una camicia bianca.
Ma perché lui sembra sempre uscito da una copertina e io una barbona trovata per strada?, pensò tragica.
La sua aura da funerale non fu mascherata dal sorriso tirato che si costrinse a fare.
«Ciao.» disse solo.
«Amelia, tesoro, tanti auguri di buon anno! Come stai?»
La cara Margherita si precipitò da lei con un enorme sorriso stampato in volto per poi darle due baci sulle guance.
«Buon anno anche a te. Sto alla grande, e tu?» disse falsa come una moneta da tre euro – la madre dovette accorgersene perché la guardò con gli occhi lampeggianti, mentre anche Alessandro si lasciò sfuggire un sorrisino ironico. Lei ci provava a non guardarlo, ma sembrava che il proprio corpo captasse ogni singolo movimento dell'uomo peggio di un'antenna!
«Anche io bene, cara.» disse la donna, poi si voltò con un sorriso orgoglioso verso il figlio «Dato che tua madre mi ha spiegato di alcune delle tue difficoltà con lo studio, ho pensato che Alessandro potesse darti una mano, no? Qualche ora da soli potrà farti bene.» chiocciò allegra – evidentemente era convinta di aver avuto un'idea fantastica.
Farmi bene? Io sto per andare in autocombustione!, pensò isterica la ragazza ma riuscì a mascherare l'idea con l'ennesimo sorriso tirato.
«Sei stata molto gentile a pensarci, grazie mille.» rispose docile – tanto ormai, aveva altre possibilità?
Assolutamente no.
«Non si preoccupi, Serena, ci penserò io a lei.» intervenne a quel punto Alessandro, dando più cortesemente del lei alla madre della ragazza.
Solo Amelia parve cogliere una strana intonazione minacciosa e sarcastica in quella frase, motivo per il quale non poté impedirsi di rabbrividire.
«Allora perfetto!» esordì Serena sfiorando la spalla della figlia come incoraggiamento «Io e Margherita andiamo a farci un giro al centro commerciale, forse ci fermiamo al cinema, torniamo per cena.» spiegò a entrambi, poi si voltò verso Amelia «Tuo padre dovrebbe passare qui a metà pomeriggio per prendere la lista della spesa, gli ho già detto che sarai qui a studiare con Alessandro e farà attenziona a non disturbarvi, ok?» continuò tranquilla.
E certo, mica era consapevole della tempesta che imperversava nella testa della povera Amelia.
«Va bene.» mugolò la mora con aria sofferente.
Non ci fu altro tempo sprecato in conversazioni: Serena trascinò la figlia e Alessandro nel soggiorno dove il tavolo era più comodo per studiare, diede un bacio alla mora sfruttando l'occasione per sussurrarle "mi raccomando" e poi prese il volo insieme a Margherita – quelle due sembravano essere diventate migliori amiche, e che cazzo!
Ritrovarsi improvvisamente da sola con lui, nel proprio territorio che ora sentiva minacciato, tra di loro solo i libri e uno scarso spazio a dividerli... Beh, fu atroce e fantastico assieme.
«E così hai problemi con matematica e fisica, eh?»
Amelia alzò gli occhi – ormai spalancati e colmi di terrore, non riusciva più a nasconderlo – verso Alessandro, che la squadrava con un ghigno molto poco affidabile.
«Non me n'ero accorto.» aggiunse perfido e sarcastico.
Amelia arrossì imbarazzata e spalancò il libro con un gesto secco.
«Forse i miei problemi sono colpa di qualcuno che non sa spiegare.» frecciò recuperando in fretta la propria lingua lunga.
L'uomo non dovette apprezzare quella frase – e anche quella presa di controllo da parte della ragazza – perché il suo sguardo si fece gelido e sprezzante.
«O forse qualcuno perde troppo tempo a scambiarsi occhiate con il proprio compagno di classe piuttosto che seguire la lezione.» fu la pronta risposta.
Amelia si morse un labbro e prese un bel respiro, cercando di non arrossire.
Merda, pensò irritata. Era vero: ascoltava ben poco delle sue lezioni, le materie le trovava incomprensibili e noiose, era molto meglio chiacchierare con Daniele.
«Se magari qualcuno rendesse le lezioni più interessanti...» bofonchiò, abbassando lo sguardo e concentrandosi sul libro colmo di formule matematiche di dubbia utilità.
«Tesoro, è matematica, che pretendi?» fu la risposta acida e ironica al contempo.
Tesoro?
«Tesoro?» ripeté Amelia, non riuscendo a impedirsi l'occhiata scettica verso l'uomo.
Per un attimo Alessandro parve interdetto, quasi avesse compreso solo in quel momento cosa avesse detto, poi riacquisì in fretta la patina da bastardo e il suo solito ghigno.
«Non siamo a scuola, quindi siamo in veste di "amici".» snocciolò come scusa.
«Mi stai facendo ripetizioni.» puntualizzò Amelia, riuscendo finalmente a riprendere il solito comportamento sferzante – il fatto che si sentisse gelatina era un altro discorso, per fortuna era seduta.
«In qualità di amico di famiglia. Quindi ora taci e prendi il quaderno.» le ordinò con aria annoiata.
Amelia si morse la lingua per non rispondere e si limitò a fare come le era stato detto.
Di fronte agli inesistenti appunti, Alessandro inarcò un sopracciglio.
«Quindi parlo al vento, in classe.» commentò per niente impressionato.
Amelia ebbe la decenza di arrossire.
«Non è nelle mie corde.» bofonchiò a mo' di scusa.
«Beh, cerchiamo di farti entrare in testa almeno il minimo necessario per un sei, se no tua madre ammazza tutti e due.» borbottò l'uomo con una smorfia.
«E tu che colpe avresti?»
«Sarei un pessimo insegnante.»
Amelia si frenò dal fare la battuta "ma tanto lo sei già", ma fu inutile perché l'altro comprese al volo i suoi pensieri.
«Risparmiati le tue battute scadenti e concentrati.»
Inizia l'inferno.

La fisica dell'attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora