Dio, spiegami perché mi stai punendo in questo modo.
Questo era l'unico pensiero che Amelia aveva in testa ormai da mezzora, mentre vagava per il cottage come un'anima in pena, lo sguardo mogio e triste, le spalle curve come sotto il peso di un masso troppo grande per il suo corpo fragile.
Dopo la tremenda decisione presa, tutti erano rimasti in silenzio per alcuni minuti, in imbarazzo, senza sapere bene cosa dire. Amelia era di certo quella più in crisi, anche se non poteva di certo sapere quello che frullava nella testolina del caro professore, che teneva i denti così stretti da far pensare che stesse trattenendo tutte le bestemmie possibili e immaginabili.
Alla fine, però, era stato proprio lui a prendere in mano la situazione – non Amelia, atterrita e ghiacciata sul posto, né Nicole, incapace di trovare una situazione in quel casino. Con un tono che a malapena nascondeva l'irritazione provata, Alessandro aveva affermato che "per fortuna" aveva in macchina i compiti in classe da correggere, motivo per il quale si sarebbe rintanato in una delle stanze al piano superiore e sarebbe rimasto rinchiuso lì fino al giorno successivo, promettendo che non li avrebbe disturbati e che si sarebbero dovuti sentire comunque liberi di fare quello che volevano.
«La fa facile lui.» aveva bofonchiato Stefano, che in quella situazione si sentiva ancora parecchio in colpa per non aver accompagnato il professore fino in città.
«Fregatene, non è un tuo problema.» l'aveva ripreso Daniele con aria seccata.
Mentre gli altri stavano nel salotto a godersi il tepore del camino elettrico, Amelia sbatteva la testa sul tavolo della cucina, nella speranza che prima o poi potesse svenire e non assistere al disastro annunciato.
«Suvvia, Ame, riprenditi! Capisco che non era esattamente quello che avevi programmato, però non puoi nemmeno lasciare che vada tutto a rotoli solo per questo inconveniente.»
La voce di Nicole la fermò per un attimo dalla sua ritmica penitenza.
«Inconveniente?» mormorò isterica «Tu questo lo chiami "inconveniente"? Questo non è un "inconveniente", è un fottuto disastro!»
Mancò poco che strillasse quella frase, ma fu ben presto linciata da un'occhiata di Nicole, che dopo ciò si avvicinò a lei e la costrinse a stare dritta.
Poi, prima che la mora potesse dire o fare qualcosa, un sonoro schiaffo le arrivò sulla guancia destra – il pizzicore fu recepito solo dopo qualche istante, prima la mente della festeggiata dovette registrare il movimento dell'amica.
«Senti» il tono della castana ora era fermo, duro e irremovibile «posso immaginare come tu ti senta: il deficiente che ti ha respinta solo qualche settimana fa ora è qui, e non solo: è il tuo professore, sì, ma anche quello dei tuoi amici che stanno proprio di là e che tu stai mollando soli come dei cani.» tacque un attimo, per vedere se l'amica la stava ascoltando. Dopo aver pensato che lo sguardo perso di Amelia fosse un responso sufficiente, continuò.
«Non puoi farci nulla. Né tu, né io, né gli altri. So che ti senti in qualche modo responsabile, ma non ne hai motivo e di certo gli altri di là non pensano che questo sia colpa tua. Però comportandoti così, lasciandoli soli mentre questa dovrebbe essere la tua festa – e sottolineo festa – di compleanno, di certo non migliori la situazione. Quindi riprenditi e vai da loro: mettiamo della musica, mangiamo, beviamo e ci divertiamo come dei liceali privi di preoccupazioni. Sono stata chiara?»
Il silenzio improvviso che ne seguì fece pensare a Nicole che Amelia non avesse minimamente seguito il suo discorso, ma appena un attimo prima che le urlasse addosso di ascoltarla, la mora la fissò con una nuova luce negli occhi.
«Hai ragione. Mi sto comportando di merda.» ammise a bassa voce, per poi sfumare la propria espressione in un sorriso tiepido «Ho invitato te e i miei amici e voglio farvi passare una bella serata, anche se Alessandro è di sopra e potrebbe sentire tutto quello che succede.» tacque un attimo, facendosi pensierosa «Comunque, non credo che la situazione possa andare peggio di com'è ora, quindi direi che l'unica opzione che ho è quella di fregarmene.» concluse.
A quelle parole Nicole non poté impedire un sorrisino soddisfatto.
«Sapevo che hai un cervello in quella testa piena di ricci.» chiocciò soddisfatta.
«Però direi che devo salire e portargli qualcosa da mangiare, non credi?»
«Sì, ottima id- cosa?!»
Nicole strillò quella singola parola appena recepì il messaggio dell'amica.
«Cosa hai intenzione di fare?» sibilò infuriata. Amelia abbassò gli occhi, le guance che si imporporavano di imbarazzo.
«Beh, qua non c'è nulla da mangiare tranne quello che ho portato io, e dovrà pure cenare, no?»
La voce era sottile come uno stelo d'erba e carico di imbarazzo – imbarazzo dovuto dalla consapevolezza di cosa aveva in testa.
«...Ame, ammettilo che vuoi salire solo per parlarci.»
La frase fu più tagliente di come voleva in realtà essere, ma Nicole non ritrattò: le bastò vedere il bordeaux nel voltò della migliore amica per ringhiare come un cane con la rabbia.
«Ma dico, sei scema? Cioè, ti ha rifiutato, ti ignora da settimane, è uno stronzo e pezzo di merda e tu vuoi salire a portargli la cena solo per stare un po' con lui? Ma ti senti quando parli?» sibilò sconvolta la castana. Ormai non sapeva più come gestire quella ragazza, povera.
Amelia mugugnò qualcosa.
«Non è sempre uno stronzo, mi ha sorriso prima.» bofonchiò.
La risata acida di Nicole valse più di mille parole.
«Gli sarà partito un tic.» frecciò sarcastica. Poi però, notando come Amelia chinasse sempre più la testa a quelle parole rabbiose e ironiche, tacque e sospirò.
Come poteva aggredirla in quel modo se assumeva quella espressione?
Conosceva bene il sentimento che albergava nella mora... Era lo stesso che provava lei per Tommaso, in fondo, e sapeva bene che in certi momenti la parte più razionale di sé stessi veniva soffocata da quella più irrazionale, che spingeva a voler vedere l'altro pur sapendo di rimanerci solo più male.
Era come premere su un livido, alla fine: appena si percepiva la pressione faceva male, ma più si forzava più il dolore veniva attutito da qualcos'altro, qualcosa che si riscopriva stranamente piacevole.
Ecco cosa era, per Amelia, Alessandro: un livido. Grande, violaceo, doloroso. Uno che al minimo movimento doleva, ma che si finiva sempre per premere con forza, perché quel dolore acuto si trasformava in un sordo piacere.
Fu con quel pensiero in testa che Nicole si sforzò di dire quelle parole, nonostante avrebbe preferito che Amelia rimanesse il più distante possibile da quell'uomo.
«Vai pure, di certo non posso impedirtelo. Ma cerca di fare in fretta, e se torni giù triste salgo e lo distruggo.» si arrese la castana.
Amelia parve illuminarsi come un albero di natale – aver avuto il benestare dell'amica sollevava in qualche modo il peso che sentiva nel petto, come se la sua idea in qualche modo non fosse una completa idiozia.
«Certo, ci metterò pochissimo!»
Detto questo si affrettò a prendere un paio di piatti e riempirli con i vari stuzzichini preparati da Serena, afferrare un paio di tovaglioli e infilarsi sotto braccio una bottiglia d'acqua. Sotto lo sguardo ancora poco convinto di Nicole, si affrettò verso le scale immergendosi nel buio del piano di sopra.
Non era ancora salita e quindi non aveva avuto modo di rendersi conto di come fosse, ma al buio e con le mani troppo occupate per accendere l'interruttore, fu costretta a muoversi a tentoni nel corridoio appena rischiarato dalla luce del piano di sotto.
E ora dove sarà?
Un suggerimento le venne subito in soccorso: tra le varie porte chiuse, da una di esse filtrava appena la luce artificiale di una lampada da sotto la porta.
Con passi leggeri si avvicinò alla stanza, e più la distanza diminuiva più sentiva il cuore fare una casino così infernale da farle pensare che si potesse sentire anche dall'interno della camera.
Avanti Amelia, smetti di fare la ragazzina!
«Emh... Alessandro? Posso entrare?»
Per quanto si fosse sforzata, non riuscì a impedire alla propria voce di suonare affannosa dall'ansia. Avrebbe più volentieri bussato, ma non sapeva come fare con le mani occupate.
La risposta non arrivò subito, anzi. Ci furono attimi di silenzio che ebbero il potere di far riflettere Amelia su quanto fosse idiota, ma infine la porta si aprì di scatto facendola sobbalzare, e la luce artificiale aranciata fu così improvvisa che il viso le si contrasse in una smorfia di fastidio – ma con la stessa rapidità un'ombra alta e scura si pose tra la fonte di luce e lei, in modo tale da oscurarla e farle rilassare il viso.
«Amelia?»
Il tono di Alessandro era un misto tra il dubbioso e il sorpreso e, sebbene controluce, la ragazza notò gli occhi allargati dell'uomo.
«Io...» silenzio, pausa imbarazzante, e poi schiaffo mentale che le permise di riprendersi «Sono venuta a portarti qualcosa da mangiare: ho immaginato che non avessi cenato e qui non c'è altro cibo oltre quello che ho portato io, quindi...» si interruppe, la parola sfumò come una voluta di vapore nell'aria e rimase sospesa tra di loro, leggera ma allo stesso tempo densa e pesante.
Si sentì andare a fuoco sotto quello sguardo, soprattutto ora che non lo poteva vedere chiaramente. Le sembrava di essere cieca e nuda sotto quegli occhi metallici che ormai costituivano quasi una punizione.
«Grazie.»
La risposta fu appena soffiata, fragile e debole, ma le mani che corsero ad afferrare i piatti che teneva in bilico erano forti e sicure e Amelia si ritrovò ben presto con la sola bottiglia in mano mentre il suo sguardo finiva inevitabile all'interno della stanza.
Fu con amara consapevolezza che si accorse di come l'uomo avesse fatto attenzione a non sfiorarle le mani neppure per sbaglio.
La camera era piuttosto anonima, ma non dubitava che anche il resto delle stanze lo fosse, se quello era comunque un cottage in cui la famiglia Angelis andava occasionalmente. C'era un letto a una piazza e mezzo nell'angolo in fondo a sinistra, sotto la finestra coperta da una tenda bianca; il resto dell'arredamento consisteva in un armadio a muro, una scrivania e un ampio tappetto di pelo sintetico sui toni del ramato, che occupava buona parte del parquet. Sul letto dalle coperte verde scuro stavano sparpagliati dei fogli che Amelia riconobbe come i famosi compiti in classe.
«Ti ho portato anche una bottiglia d'acqua.» continuò a parlare e dicendo questo fece un passo in avanti, entrando nella stanza con vaga curiosità; quando però Alessandro si voltò verso di lei e la vide dentro, la giovane si accorse dell'errore.
Il passo indietro fu più scontato di quanto potesse sembrare.
«Scusa.»
Ma Alessandro taceva, continuando a fissarla con quegli occhi deliziosamente metallici che le fecero percepire la freddezza del piombo lungo la fronte, poi sulla guancia e poi ancora nel collo, per perdersi nelle trame del suo vestito che la faceva sentire straordinariamente nuda di fronte a lui.
Esattamente lo stesso percorso che gli occhi di lui fecero sul suo corpo.
«Mi pareva di avertelo già detto, no?»
Quella domanda suonò con un tono piuttosto ovvio, eppure Amelia non riuscì a capire a cosa l'altro si riferisse.
«Di che parli?»
Il volto di Alessandro, dapprima impassibile, si sciolse in uno sguardo amaro.
«Che non dovresti essere in una camera da letto da sola con me.»
Non dovresti essere in una camera da letto da sola con me, sai?
Quella frase le risuonò nella mente e in un istante i suoi ricordi la riportarono a quella lontana cena a casa degli Angelis, in cui per una serie di casualità era finita nella stanza di Alessandro, entrambi brilli, mentre i loro genitori ignari continuavano a conversare piacevolmente al piano di sotto.
Ma se quella volta aveva un pigolato un imbarazzato "non sto facendo nulla di male", in quel momento Amelia non poté che lasciare che le proprie labbra si aprissero in un sorriso triste.
«Lo so.» disse solo.
E dopo quelle parole appena soffiate, si girò e se ne andò.
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La fisica dell'attrazione
RomanceREVISIONE IN CORSO (potete trovare la versione non editata su EFP) 1 -- editato 2 -- editato 3 -- editato 4 -- editato 5 -- editato STORIA COMPLETA STORIA PRESENTE ANCHE SU EFP - AUTRICE Sapphire_ Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolar...