Capitolo ventidue ~ Di ricordi e decisioni

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A svegliare Amelia, quella mattina, non fu il suono fastidioso della sveglia.
Non fu neanche sua madre, che apriva la porta con poca delicatezza informandola che era in ritardo.
Piuttosto, si svegliò a causa di un sottile brivido sulla pelle che le causava la pelle d'oca, e aprendo un occhio con aria assonnata vide la finestra socchiusa da cui l'aria pungente di quella domenica di marzo entrava e le provocava brividi sulla pelle nuda, lasciata scoperta a metà da una coperta verde scuro.
Era ancora intontita e i ricci scuri le offuscavano la vista mentre con una mano si allungava verso la coperta, attirandola verso di sé in modo tale da coprirsi anche le spalle.
Fu in quell'attimo, mentre si rendeva davvero conto di essere totalmente nuda, che si rese conto di dove fosse, di cosa fosse successo, e soprattutto con chi.
Oh, cazzo.
Si sollevò così in fretta che per un attimo la sua vista fu offuscata da una miriade di puntini bianchi e la testa le girò mentre il cervello, fino a un momento prima in totale stand-by, si attivava alla velocità della luce.
Si guardò intorno: la stanza era illuminata dalla luce del sole che filtrava dalla finestra. Sembrava che non fosse successo nulla di male, se non per una tuta abbandonata con scarsa importanza sul tappeto, le lenzuola attorcigliate e la sua presenza lì, sempre e ostinatamente nuda.
Oddio. Oddio. Amelia, mantieni la calma.
I ricordi della notte appena trascorsa le invasero la mente e fu inevitabile arrossire mentre passava una mano sul proprio corpo, come a ricordare i gentili tocchi di qualcun altro, ma durò ben poco; il lato destro del letto era vuoto e Amelia, allungandosi per tastarlo, notò che era freddo.
Se n'è andato.
Il pensiero la colse come uno schiaffo e il suo corpo si irrigidì dall'ansia.
E ora cosa doveva fare?
Ma prima che potesse anche solo fare qualcos'altro, altri dettagli le vennero in mente, incendiando il suo corpo nel fuoco dell'ansia e della paura.
Gli altri. C'erano gli altri, in quella casa. E lei era lì, nella camera in cui si presupponeva ci fosse il loro professore, totalmente nuda. Non era nel divano in cui era stata lasciata per dormire. Si trovava lì, da sola, lasciata al proprio destino.
Cosa devo fare. Cosa devo fare. Cosa devo fare.
I suoi neuroni girovagano per il cervello senza trovare soluzioni, il suo istinto le irrigidiva il corpo e il suo cuore sembrava voler saltare fuori dal petto mentre il respiro si faceva più accelerato. La testa iniziò a girarle.
Fu con un mastodontico sforzo di volontà che si costrinse a respirare piano – inspira, espira – riuscendo a far battere il proprio cuore in un moto quasi normale. Sentì l'ansia sopirsi, ma era sempre lì, onnipresente, a farla tremare impercettibilmente mentre cercava di analizzare la situazione con un minimo di razionalità.
Ok, prima cosa: mettersi qualcosa addosso, pensò con un vago tono isterico.
Si alzò in piedi con lentezza e, cercando di far meno rumore possibile – cosa facilitata dalla presenza del tappeto che assorbiva i rumori – si chinò per terra alla ricerca degli slip e del reggiseno che trovò nell'angolo vicino al comodino. Li infilò rapidamente, temendo che da un momento all'altro qualcuno aprisse la porta, e in maniera simile afferrò i pantaloni e la maglia della tuta usata come pigiama – o che, perlomeno, avrebbe dovuto essere usata come tale.
Ok, seconda cosa: controllare che ore sono.
Quello fu più difficile, dato che si accorse in fretta di non avere il telefono con sé – probabilmente l'aveva lasciato giù la notte prima, mentre usciva a fumarsi una sigaretta, e di certo dopo non aveva pensato di portarselo con sé.
Si mise a frugare in giro, alla ricerca di un orologio o, magari, del cellulare di Alessandro, ma non trovò nulla e si arrese all'idea di rimanere nell'ignoranza. Cercando di intuire qualcosa, spalancò la finestra e si affacciò fuori: il sole era ovviamente spuntato ma non era troppo alto, cosa che le fece ipotizzare fosse abbastanza presto – e questo dettaglio fu confermato anche dalla propria stanchezza: si rendeva conto di non aver dormito abbastanza.
Ok, terza cosa: che cazzo faccio?
Il terzo punto arrivò con dubbio e la stessa ansia di prima, mentre gironzolava per la stanza con gli occhi sgranati e le mani che si tormentavano fra loro.
Non posso rimanere qui, devo uscire. Ma se esco e ci sono gli altri, mi chiederanno dove fossi, e che cazzo rispondo? No, no, devo aspettare qui... Alessandro arriverà prima o poi, no?
Piccola pausa.
Ma che cazzo sto pensando. Non posso rimanere qui. Devo uscire. Mi inventerò una scusa in qualche modo. Magari gli altri sono ancora a letto. E poi, non è detto che Alessandro torni...
L'ultimo pensiero fu percepito più con tristezza che con ansia.
Si era svegliata e lui non era lì. Perché non era lì? L'aveva abbandonata?
Si morse un labbro per impedirsi di piangere e si strofinò la faccia con la manica della maglia. Dopo un sospiro, si decise ad uscire dalla stanza – anche perché, effettivamente, non aveva altre opzioni: rimanere lì dentro ad aspettare non aveva senso, anche perché avrebbe destato più sospetti e poi non era per niente sicura che sarebbe arrivato qualcuno – qualcuno, ovvero lui.
La porta si aprì con un leggerissimo cigolio che Amelia percepì come un urlo nelle proprie orecchie e dopo essersi affacciata sul corridoio lo trovò vuoto e silenzioso. Fece un passo all'esterno, sempre cauta e con le orecchie tese al massimo per percepire anche il minimo rumore, poi dopo un attimo azzardò anche l'altro piede e uscì del tutto, richiudendo con assoluta attenzione la porta dietro di sé.
Il silenzio era ancora profondo e per questo si costrinse ad attraversare il corridoio con piccoli ma veloci e silenziosi passi, arrivando così in cima alle scale e buttando un occhio di sotto: sembrava non esserci nessuno.
Con altrettanta cautela, passo dopo passo, scese i gradini uno alla volta e arrivando al piano di sotto tutto continuava a essere in totale silenzio, cosa che finì per far salire ancora di più l'ansia ad Amelia.
Possibile che tutti fossero ancora addormentati?
Continuò la propria silenziosa camminata fino al salotto, lanciando un'occhiata alla cucina e trovandola vuota; nella sala tutto era com'era stato lasciato: il tavolino con bicchieri e bottiglie vuote, ciotole di cibo con qualche avanzo, il divano con un cuscino un poco stropicciato e una coperta tirata tutta da un lato. Lì, immobile, stava il cellulare abbandonato la notte precedente.
Amelia non ci mise molto: in tre passi lo raggiunse e cliccando come una forsennata per far attivare lo schermo vide che ore fossero. Con stupore si rese conto di quanto presto fosse.
Sono appena le nove...
Tirò inconsapevole un sospiro di sollievo: data l'ora, era perfettamente plausibile che tutti i suoi amici stessero ancora dormendo profondamente, ma rimaneva ancora un dettaglio. Dov'era Alessandro?
Si guardò intorno e non vide segno del suo passaggio.
Possibile che sia in bagno?, pensò dubbiosa. Eppure, al piano di sopra, il bagno era vuoto perché aveva visto la porta aperta. Magari era al bagno del piano di sotto, eppure Amelia non se la sentiva di andare a controllare.
Con un sospiro arrendevole, si rese conto di avere la necessità di prendere una boccata d'aria fresca – forse quella l'avrebbe calmata, pensò mogia.
Dopo aver preso una giacca – quella volta non sarebbe stata stupida – e messo il cellulare nella tasca della tuta, si diresse verso la porta, e fu in quel momento che notò qualcosa di strano: era socchiusa.
Si bloccò, in ansia: era perfettamente sicura di averla chiusa la sera prima, seppure entrambi fossero presi dal momento, ma in quel momento iniziarono a venirle i dubbi. Oppure...
Spalancò la porta di scatto, timorosa che il momento di coraggio le venisse a mancare, e quando osservò l'esterno non seppe se sentirsi più tranquilla o ancora più spaventata.
Alessandro era lì.
Seduto per terra, a gambe incrociate, le dava la schiena. I capelli erano arruffati, notò, e a fianco a lui era poggiato un telefono.
Quel momento durò solo un istante, però, perché l'uomo si girò attirato dal rumore della porta che veniva spalancata – e Amelia credette di morire dall'agitazione. Alessandro la fissò per un attimo con un velo di sorpresa che scomparse subito e Amelia cercò di assimilare più informazioni possibili in quel momento di silenzio.
I capelli arruffati gli cadevano leggermente sugli occhi che mostravano un grigio brillante, vivido, ma cerchiato da delle vaghe occhiaie che sottolineavano lo scarso sonno. La bocca era sollevata appena in un'espressione tranquilla e come ultimo dettaglio Amelia registrò il maglione azzurro perla, cercando di capire da dove potesse averlo presa – ma fu un qualcosa che venne dimenticato in fretta quando il viso di lui si distese in un sorriso pacato.
«Buongiorno.»
Riprese a respirare in quel momento, e non si era nemmeno accorta di aver trattenuto il respiro fino a quell'istante. Ma dopo quella singola parola lui la guardava in attesa, e Amelia avrebbe tanto voluto dire "buongiorno" con la stessa tranquillità, ma l'ansia la costrinse a parlare – e forse anche il velo di pazzia.
«Non ti ho trovato, su in camera.»
La frase risuonò più secca di quanto avesse voluto e subito spalancò gli occhi preoccupata.
«Cioè, io...»
«Mi sono svegliato mezzora fa e dormivi così profondamente che non ho voluto chiamarti.» la risposta arrivò rapida, interrompendo quelle che sembravano scuse, e Amelia si ritrovò ad arrossire mentre lui continuava a mantenere quell'espressione serena – e, dovette ammettere, che quell'aria stropicciata e così tranquilla le stava facendo tremare le gambe.
«Oh.» finì per dire, incerta.
Altri secondi di silenzio passarono e la mora si ritrovò indecisa su cosa fare: doveva sedersi lì con lui? O magari era meglio entrare e fare finta di nulla?
«Ti siedi qui con me?»
La domanda sciolse i suoi dubbi e con un'espressione imbarazzata annuì, sedendosi di fianco all'uomo che, notò solo in quel momento, reggeva una tazza di caffè annacquato.
«Caffè americano? Seriamente?» le sfuggì con una smorfia – non si rese nemmeno conto di essersi comportata normalmente.
Alessandro sbuffò una risata.
«Chissà perché, ma sapevo che mi avresti rimproverato.» fece ironico alzando gli occhi al cielo. Amelia arrossì nuovamente.
«Sì, beh, bevi quella schifezza...»
«A me piace.»
«Rimane il fatto che è una schifezza.»
«Non puoi lasciarmelo bere senza commentare?»
«Lo farei, ma hai così pessimi gusti che-»
Non finì la frase che Alessandro si sporse verso di lei, scoccandole un bacio a stampo sulle labbra.
Amelia ammutolì, rimase incantata a fissarlo mentre il cervello andava in cortocircuito.
«Che cosa...» soffiò appena.
Alessandro scoppiò a ridere a quell'espressione buffa, per poi assumere subito un'espressione sarcastica.
«Pare che questo sia l'unico metodo per zittirti.»
Per l'ennesima volta in quei pochi minuti, la ragazza arrossì.
«Quindi mi hai baciato solo per zittirmi?» frecciò irritata – meglio mostrarsi infastidita che imbarazzata.
«Ovvio, per cosa altro dovrei?» fu la pronta risposta.
Amelia non ebbe bisogno di altre frasi: si alzò con aria seccata.
«Allora tolgo il disturbo.» borbottò sdegnata.
Durò tutto molto poco: prima che potesse fare un solo passo, sentì la sua mano afferrarla per la manica e tirarla giù; perse l'equilibrio e cadde all'indietro, ma le mani di Alessandro evitarono un brusco atterraggio facendola poggiare sulle gambe. Senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò semi distesa, con la testa poggiata sulle sue gambe incrociate, il volto a poca distanza sfumato in un'espressione divertita.
«Diciamo che ti ho baciata anche per quello. Ma soprattutto perché volevo farlo.» precisò a poca distanza da lei – Amelia sentì il profumo di caffè e le venne voglia di assaggiarlo.
«Allora fallo e basta, no?» sussurrò.
Vide gli occhi grigi dell'altro assottigliarsi pericolosamente mentre il sorriso si faceva più lieve. Poi non vide più nulla, perché chiuse gli occhi e lasciò che le labbra morbide dell'altro si schiudessero su di lei in un bacio comunque lieve.
Durò solo pochi secondi – la posizione era alquanto scomoda, d'altronde, ma fu sufficiente ad Amelia per riportare a galla i vividi ricordi della notte prima.
Si perse un attimo a osservarlo a quella distanza ravvicinata – le sagoma perfetta delle sopracciglia, la bocca umida dischiusa in un sottile ghigno soddisfatto, la vaga fossetta sulla guancia – poi, si sollevò e si mise in ginocchio; la mano però finì appoggiata sulla gamba dell'altro, come se non volesse perdere quel contatto, come per assicurarsi di non avere le allucinazioni.
«Hai il trucco completamente sbavato.»
No, non aveva le allucinazioni, assolutamente. Nella sua immaginazione, Alessandro di certo non le avrebbe detto una frase del genere.
«Fottiti.»
«Ehi, è così che si risponde a un professore?» disse con tono canzonatorio.
La frase voleva essere una battuta, ma il peso dell'ultima parola cadde su di loro come la lama di una ghigliottina e anche l'uomo parve pentirsi delle proprie parole per come subito dopo strinse le labbra in una smorfia.
«Non dovrei nemmeno andare a letto, con un professore.» replicò amara Amelia.
L'atmosfera apparentemente tranquilla che c'era fino a un secondo prima era svanita.
Il silenzio si fece pesante e assordante per entrambi – Amelia lo vedeva, vedeva che anche Alessandro era teso.
Nessuno dei due sembrava sapere cosa dire.
«Ale...»
«Ho fatto una stronzata.»
L'uomo la interruppe brutalmente e per la ragazza fu come ricevere uno schiaffo.
«Cosa?»
La singola parola le uscì strozzata e ferita – ma non poteva né aveva intenzione di nasconderlo. Era effettivamente ferita, perché evitare di mostrarlo, soprattutto dopo quello che era successo?
Alessandro la guardò e i suoi occhi erano indecifrabili per la mora, che li fissava alla ricerca di una risposta.
«Ho fatto una stronzata.» ripeté l'uomo, ma poi sospirò arreso «Non posso definirla in altro modo, Amelia. Sono il tuo professore e sono venuto a letto con te, non credo sia deontologicamente corretto.» terminò con un lieve tono sarcastico.
Ma Amelia continuava a tacere.
«Se qualcuno lo scoprisse saremmo nella merda più totale entrambi, lo sai. Tu verresti additata come chissà cosa, io verrei licenziato in tronco – giustamente, aggiungerei.» puntualizzò.
A quel punto però, Amelia non riuscì a frenare la lingua.
«Quindi mi stai dicendo che d'ora in avanti dovrò fare finta di nulla? Dovrò fingere di non averti baciato, dovrei fingere di non essere andata a letto con te, dovrei fingere di non essere innamorata di te?» sibilò sferzante.
Sentì gli occhi inumidirsi prima anche solo di poterselo impedire – ma, alla fine, che poteva fare se non piangere e sentire il proprio cuore farsi a pezzi?
Non sapeva spiegarsi il perché, ma si sentiva in qualche modo tradita. Non nel senso comune del termine, bensì più in un senso emotivo, come se Alessandro avesse costruito per lei un castello di vetro per poi buttarlo giù senza troppi problemi.
Ecco, come se l'avesse illusa.
«Amelia, aspetta...»
«Aspetta?» sibilò infuriata – fu perfettamente consapevole della lacrima che le solcò la guancia e la pulì con un gesto frettoloso e ruvido.
Alessandro si sporse e le afferrò il braccio con cui sfregava sul viso; fu una presa dura, per impedirle chiaramente il movimento, e i suoi occhi grigi per un attimo parvero di nuovo piombo.
«Sì. Aspetta.» ripeté freddo. Ma, di nuovo, fu solo un attimo: poi il suo sguardo si sciolse di nuovo e l'espressione cambiò.
«Per quanto abbia fatto una stronzata, per quanto possa essere tremendamente pericoloso, ecco...» fece una pausa seguita da una smorfia «Nonostante questo, non posso né tantomeno voglio fare finta di nulla.» scandì lentamente, facendo attenzione all'espressione di Amelia.
Se alla ragazza pareva di star annegando, quella frase bastò come salvagente.
«Quello che provo per te non è...» altra pausa – sembrava che non sapesse come esprimersi «...non è solo attrazione fisica, o semplice voglia di divertirmi con una studentessa avvantaggiandomi della mia posizione. Mi piaci. Mi piaci più di quanto voglia ammettere e per quanto abbia cercato un sacco di volte ad allontanarti – come quella volta, a Parigi – mi sono reso conto che averti vicina come mia semplice allieva non va bene. Non voglio farlo andare bene, voglio qualcosa di più.»
Tacque, come se quelle parole gli avessero tolto tutta l'energia di cui disponeva.
«Ma hai detto tu che questa situazione è un casino.»
Amelia parlò e quella frase le costò più di quanto volesse – perché, per quanto il suo cuore si era gonfiato di speranza, sapeva perfettamente che l'uomo aveva ragione. Per questo, prima che i propri sentimenti si facessero ingestibili, aveva cercato di soffocarli o quantomeno ignorarli.
Lo osservò sospirare e passarsi una mano tra i capelli, arruffandoli ancora di più.
«Sì, non posso negarlo e nemmeno tu puoi.» borbottò l'uomo «Ma, come mi ha detto qualcuno, mancano pochi mesi prima che tu finisca la scuola, no?» suggerì e Amelia vide chiaramente l'aria imbarazzata che lo avvolgeva.
Per un momento il pensiero di quel "qualcuno" le suggerì di chiedere di chi parlasse effettivamente, poi però una domanda più importante si fece strada in lei.
«E nel frattempo?»
Nel frattempo, vuoi far finta di nulla? Mi stai dicendo questo?
Si rese conto di avere una paura tremenda della risposta quando essa arrivò.
«Nel frattempo, possiamo...» Alessandro tacque e Amelia vide il conflitto interiore che affliggeva l'altro «...possiamo tenerlo nascosto.»
Il messaggio arrivò chiaro e forte, ma Amelia sentì il bisogno di chiedere conferma.
«Intendi una relazione segreta?» quasi sibilò quell'ultima parola, sconvolta – non dall'idea in sé, ma dal fatto che lui l'avesse proposta.
Alessandro mugugnò qualcosa che sembrò un sì e la ragazza lo fissò con gli occhi sgranati.
«...Chi sei tu? Che ne hai fatto del coscienzioso Alessandro Angelis?» finì per chiedere sarcastica – l'unico modo per scrollarsi di dosso quella sensazione di stupore, ansia e altro che non riusciva a identificare.
L'uomo, che aveva distolto lo sguardo con imbarazzo, a sentire quelle parole si volse verso di lei.
Fu un attimo: la bocca assunse il suo solito sorriso canzonatorio e ironico, quello che le aveva fatto tremare le gambe fin troppe volte, che la faceva sentire una ragazzina ma nel modo che le piaceva.
«Ha lasciato il passo allo stronzo egoista, suppongo.» disse «O, almeno, "stronzo" è come mi ha definito qualcuno una volta.» frecciò.
Amelia non si imbarazzò nemmeno: scoppiò a ridere e in un attimo venne tirata verso il petto dell'uomo che, dopo averle messo una mano sui fianchi e una tra i ricci disordinati, le si avvicinò così tanto che la mora poté osservare una a una le screziature delle varie tonalità di grigio negli occhi dell'uomo.
La risata si spense così com'era arrivata, e il bacio successivo fu alquanto ovvio.
Ovvio quasi quanto i passi all'interno del cottage, che furono percepiti con qualche secondo di ritardo tra i due e la voce successiva fu ciò che fece quasi saltare in aria la ragazza.
«Amelia?»
Si potrebbe dire che la mora sfiorò la velocità della luce nel modo in cui si allontanò di scatto da Alessandro, riuscendo fortunatamente a non perdere l'equilibrio mentre si sollevava in piedi fingendo assoluta nonchalance.
Un secondo dopo e Nicole apparve sull'uscio di casa – pigiama verde, capelli stranamente ordinati, sguardo un poco assonnato.
Lo stesso sopracitato sguardo, a vedere la scena, si dipinse di stupore e infine sospetto e fastidio.
«Quando si suole dire "il buongiorno si vede dal mattino", eh?» frecciò caustica mentre i suoi occhi lampeggiavano d'odio in direzione di Alessandro.
Amelia, istintivamente, si volse verso l'amica a lanciarle un'occhiataccia – solo dopo si accorse che Nicole, essendo all'oscuro di tutto quello che era successo, era "autorizzata" a comportarsi in quel modo.
«Sotterra l'ascia di guerra, non sono in vena.» rispose sarcastico Alessandro, non rispondendo alla provocazione.
Nicole gonfiò le guance come una bambina, infastidita per essere stata considerata poco; evidentemente però nemmeno lei aveva voglia di continuare, perché si volto verso l'amica ignorando l'uomo.
«Sei sveglia da molto?» chiese.
Amelia arrossì senza nemmeno sapere il perché – o forse lo sapeva, ma preferiva ignorarlo.
«Mh.» borbottò solo, senza rispondere «Tommaso?» chiese poi, per cercare di distogliere l'attenzione dalla situazione.
«È ancora a letto, ma è sveglio. Fra poco ha detto che scende.» spiegò scrollando le spalle la castana; poi azzardò un passo verso l'interno «Vieni?» le domandò.
Amelia si affrettò ad annuire e, dopo averla lasciata entrare per prima, si voltò un attimo verso Alessandro. Lui era sempre lì, seduto, e la fissava con un mezzo sorriso che la fece arrossire per l'ennesima volta; la reazione dovette divertire l'uomo perché sbuffò una mezza risata, e non volendo dargli altre soddisfazioni corse appresso all'amica.
All'interno seguì Nicole che si dirigeva in cucina, evidentemente affamata.
«Oh, c'è del caffè.» notò allegra la castana, già dimentica del fastidio precedente. Amelia osservò il barattolo di caffè poggiato sul piano di lavoro e ricollegò quello alla tazza di Alessandro.
«Ci sarà una caffettiera grande, da qualche parte?» continuò imperterrita la castana, ignorando quella piccola ancora sul fornello.
Amelia non rispose, lasciandola frugare per i mobili e mordendosi le labbra indecisa.
Glielo dico ora? O è meglio aspettare?
La risposta venne da sé quando, subito dopo, entrarono Anna e Sofia in cucina.
«Abbiamo sentito le vostre voci.» spiegò Sofia dopo il consueto "buongiorno".
«Oh, eccola!» esclamò Nicole che, dopo essersi arrampicata su un mobile per frugare, era uscita vittoriosa con una caffettiera dalle dimensioni davvero esagerate.
«Gli altri?» chiese poi Amelia, rivolgendosi alle altre due ragazze e riferendosi ovviamente a Daniele e Stefano.
«Ho sentito le loro voci dalla stanza, immagino siano svegli.» rispose Anna.
Subito dopo, ad aggiungersi al piccolo gruppo, arrivò Tommaso.
«Buongiorno!» esclamò sprizzante di allegria – l'occhiata che ricevette da Amelia diceva chiaramente "ma che hai da essere così allegro a quest'ora?". Il ragazzo però non la colse, concentrandosi invece sulla propria ragazza che trafficava per preparare la caffettiera.
Amelia sospirò e, solo in quel momento, si accorse del casino che invadeva il tavolo della cucina: piatti, recipienti vuoti, altre bottiglie e tovaglioli spiegazzati le ricordavano che doveva tutto essere messo a posto.
«Ragazze, mi aiutate a fare un po' di ordine mentre Nicole prepara il caffè?» mugolò triste – non aveva per niente voglia di mettere a posto, ma le toccava.
«Certo.»
«Nessun problema.»
Entrambe risposero prontamente facendo tirare un sospiro di sollievo alla mora, e mentre Nicole tirava fuori tazzine e cercava dello zucchero, tampinata dal ragazzo che le sussurrava chissà cosa, le tre giovani iniziarono a smistare la spazzatura e chiudere tutto in sacchi separati per fare la differenziata. In quel trambusto, dopo poco scesero anche Stefano e Daniele, entrambi con vistose occhiaie e con un'aria stropicciata.
Per Amelia fu inevitabile lanciare un'occhiata scettica entrambi, ma mentre Daniele la ignorò come sua abitudine in certe situazioni, Stefano finì per arrossire e voltare la faccia con aria colpevole.
Spero solo che non abbiano sporcato niente, commentò ilare.
I successivi minuti passarono mentre Amelia, Anna e Sofia mettevano in ordine, aiutate da Stefano e Daniele che si occupavano del salotto mentre Nicole preparava il caffè, recuperava dei dolci avanzati dalla sera prima per poter fare una colazione decente e Tommaso la assisteva facendo più o meno niente se non stare in mezzo – e guadagnandosi così le occhiatacce della fidanzata e di Amelia, già stanca dopo quel movimento.
«Il prof?»
La domanda improvvisa di Stefano fece sussultare Amelia che si alzò di colpo dopo essersi chinata a raccogliere dei tovaglioli; inevitabilmente sbatté la testa sullo spigolo del tavolo.
«Cazzo!» sibilò dolorante, tenendosi la testa sul punto colpito.
«Tutto bene?» accorse subito Anna preoccupata – lei non sembrava essersi accorta di nulla, ma la mora notò chiaramente le occhiate parecchio scettiche di Daniele e di Nicole, che si erano perfettamente accorti della sua reazione alla parola "prof".
«Sì, sì.» borbottò frettolosa Amelia, facendo un vago cenno con la mano «Era fuori fino a poco fa, vado a chiedergli se vuole mangiare qualcosa.» disse poi rapida, e prima che qualcuno potesse dire anche solo una parola si precipitò fuori dalla cucina, attraversando il corridoio di volata e finendo sul porticato.
Alessandro era sempre lì, ma ora era in piedi e trafficava con il telefono. Doveva essere parecchio assorto, dato che quando la ragazza parlò parve sussultare.
«Vuoi fare colazione con noi?»
L'uomo si girò di scatto e, nel suo volto, alla mora sembrò proprio di cogliere un'espressione colpevole.
«Eh?»
Oddio, le situazioni si sono rovesciate?, pensò stranita Amelia – di solito era lei che sembrava fuori dal mondo.
«La colazione.» ripeté la mora. Alessandro si affrettò a porre il blocco schermo sul telefono e riporlo in tasca, tutto sotto gli occhi confusi della giovane.
«Ho già bevuto il caffè.» rispose solo.
Amelia però sembrava essersi dimenticata della propria domanda, perché i suoi occhi erano concentrati sulla tasca in cui il cellulare era stato riposto.
«Che facevi?» chiese accusatoria – non sapeva se ne avesse il diritto, ma quella faccia non le faceva presupporre nulla di buono.
«Niente.» rispose con studiata nonchalance Alessandro, la faccia indifferente e tranquilla – e Amelia ci sarebbe cascata con tutte le scarpe se non lo avesse conosciuto da abbastanza tempo per sapere che era davvero parecchio abile a nascondere le proprie emozioni.
«Bugiardo.» affermò secca.
A quel punto l'uomo fece un mezzo sorriso divertito e si avvicinò a lei; inconsciamente, fece un passo indietro e un altro ancora, fino a quando non trovò la parete della casa dietro di lei a bloccarle la via di fuga.
Alessandro si avvicinò ancora di più fino a trovarsi solo a pochi centimetri da lei. Amelia lo fissava dal basso, un poco in soggezione dall'altezza dell'altro, ma si impose di ostentare tranquillità.
«Quanto sei curiosa...» sussurrò l'uomo mentre si chinava verso di lei – erano a un soffio, alla ragazza bastava sporgersi un po' di più per baciarlo. Ma, allo stesso tempo, erano così vicini da rendere inequivocabile la situazione e si affrettò a respingerlo con una mano.
«Gli altri sono dentro.» spiegò solo mentre l'altro sbuffava infastidito.
«Allora?» chiese ancora, non dimentica della precedente domanda. Alessandro scrollò le spalle.
«Cosa credi, che solo tu abbia degli amici a cui raccontare le cose?» chiese, senza rispondere davvero – ma ebbe almeno la decenza di imbarazzarsi a quella frase, conscio del significato sottinteso, e Amelia comprese al volo.
«Oh.» disse solo, arrossendo.
Chissà a chi lo ha raccontato... Oddio, che vergogna!
I suoi pensieri erano già partiti per la tangente, ma a distrarla fu proprio Alessandro che, rapido, si chinò verso di lei per un bacio a stampo.
«Dicevi, della colazione?» chiese con aria innocente – stonava terribilmente su di lui, notò Amelia.
La mora decise di lasciar perdere e scrollò le spalle.
«Hai preso il caffè ma non hai mangiato nulla. Vieni con noi?» chiese.
Alessandro sembrò soppesare la proposta per qualche secondo – va bene Amelia, che era un caso a parte, ma con gli altri suoi studenti non sarebbe stato strano?
Evidentemente dovette pensare che non gliene importasse granché, quindi annuì.
«Va bene.»
Amelia si rese conto solo in quel momento che in qualche modo avrebbe preferito che l'altro rifiutasse – non per lui, bensì perché non sapeva se sarebbe riuscita a far finta di nulla. Già il solo fatto di essere di fianco a lui la rendeva elettrica, se qualcuno se ne fosse accorto che avrebbe dovuto fare?
Merda.
Il tragitto dal porticato alla cucina fu tremendamente breve e non ebbe il tempo di prepararsi psicologicamente – nemmeno gli altri, però, dovevano averlo avuto, perché quando Stefano, Anna e Sofia la videro entrare con il professore si irrigidirono a disagio.
«Buongiorno.» fece serafico Alessandro – come cazzo faceva a essere così indifferente alla situazione? Amelia lo odiava.
Il borbottio che seguì quel "buongiorno" suonò deprimente alle orecchie della mora, ma per fortuna Nicole corse in sua salvezza informando che il caffè era pronto e iniziando a servirlo a tutti, mentre gli altri si affaccendavano sul cibo.
La colazione, nonostante l'ansia di Amelia, fu piuttosto tranquilla: dopo un primo momento di gelo tutti fecero finta di nulla e anche Alessandro in qualche modo partecipò, sbocconcellando la torta con scarsa voglia, in piedi e di fianco ad Amelia che continuava a girare il cucchiaino nella tazzina in maniera quasi ossessiva.
«Credo che lo zucchero si sia già sciolto da un pezzo.» le sussurrò l'uomo con un'occhiata divertita e Amelia dovette fare appello a tutta la propria forza di volontà per ignorare il gomito dell'uomo che le sfiorava il fianco – era solo un contatto involontario, no? Non c'era nulla di sospettoso.
La mora si limitò a mugugnare qualcosa di indefinito mentre in un solo sorso beveva tutto il caffè – forse sperava che la caffeina le svegliasse i neuroni andati in letargo, cosa che però parve non funzionare.
«L'abbiamo disturbata stanotte, prof? Abbiamo cercato di fare meno casino possibile.»
La domanda di Stefano, piuttosto imbarazzata, attirò l'attenzione di quasi tutti e Alessandro alzò il viso dalla propria torta per fissare il giovane. Dopo un secondo di silenzio, il suo viso si distese in un sorriso mellifluo.
«Oh, tranquilli, ho dormito benissimo.» rispose con un leggero tono angelico. Tempo due secondi e Amelia si strozzò con il pasticcino che aveva appena messo in bocca.
«Ame?» borbottò poco convinto Daniele dandole qualche pacca sulla spalla.
«Va tutto bene.» bofonchiò la mora tra i colpi di tosse – non arrossire, non arrossire!
Se tutti presero quello pseudo soffocamento come una semplice coincidenza – escludendo ovviamente Alessandro – Nicole non fu così scema da far finta di nulla e puntò i suoi occhi verdi sulla sua amica.
«Amelia, ho un problema. Mi accompagni in bagno?»
La castana irruppe con quella frase con assoluta nonchalance e senza aspettare troppo la risposta dell'amica la illuminò con un sorriso falso e la trascinò fuori dalla stanza, questo mentre gli altri si erano già distratti con altro – gli unici che fissarono la scena furono il professore e Daniele, che sorseggiava il proprio caffè con aria assorta.
Amelia era già in panico mentre Nicole la trascinava correndo al piano di sopra, entrando nella camera in cui aveva dormito e chiudendo la porta a chiave.
«Ok, hai due minuti per dirmi che è successo. E anche per calmarti, dato che sembri una bomba a orologeria.»
«L'abbiamo fatto.»
Veloce e indolore, no?
«Cosa cazzo hai detto?»
O meglio, veloce e confuso.
Amelia tirò un sospiro più grande di lei.
«Stanotte, l'abbiamo fatto.» ripeté più lentamente.
La castana la fissava con due occhi che sembravano due palle da golf tanto erano spalancati, e la bocca prese esempio da essi aprendosi lentamente fino a creare una perfetta circonferenza.
«...sei seria?» disse quando parve riacquisire una parvenza di funzioni mentali.
«Sì.» semplice affermazione «Ma, ecco... Cioè, non puoi capire! Mi sono svegliata, ero fuori – ti giuro non stavo facendo nulla di male! – e lui è uscito, si è preso una sigaretta e niente, poi questo e quest'altro, e infine così...» e conseguente complicata spiegazione.
Amelia stava vaneggiando e Nicole se ne accorse subito, ovviamente, notando l'amica iniziare a gesticolare come una posseduta, i ricci che seguivano i movimenti strani della testa e il balbettio che proveniva dalla sua bocca.
«Ame, dio santo. Calmati!» finì per bloccarla Nicole – ma era normale che facesse così?
Amelia si zittì all'improvviso.
«Perché non mi spieghi tutto dall'inizio?»
Amelia avrebbe tanto voluto farlo – anche perché forse quello avrebbe aiutato pure lei – ma come succede sempre in casi del genere qualcuno si attaccò alla porta bussando – e facendo imprecare malamente Nicole.
«Che cazzo vuoi?» sibilò la castana, aprendo la porta e trovando Tommaso che la fissò timoroso.
«...mi hanno mandato ad avvisare che sta arrivando il carroattrezzi, dovremmo sbrigarci a sistemare perché dovrebbe arrivare anche il padre del vostro prof-»
«Del suo prof.»
«-sì, beh, mi hanno detto di dirvi di scendere.» pigolò infine Tommaso – vedersi davanti quelle due, una incazzata nera e l'altra con l'espressione alquanto spiritata, era davvero traumatizzante.
Nicole stava già per mandare a fanculo tutti allegramente, quando Amelia intervenne sfiorandole il braccio.
«Dai, scendiamo. Ti spiegherò per bene in un altro momento.» borbottò la mora, chinando la testa in imbarazzo.
Nicole la fissò. Tommaso la fissò.
«Va bene.»
«Che succede?»
«Niente.» strillarono in contemporanea le due.
«...ok.»
Amelia sospirò, arrendendosi al fatto che prima di poter ragionare per bene su quello che era accaduto avrebbe dovuto aspettare.
Nel frattempo, però, la consapevolezza della portata del fatto l'attanagliava sempre di più.
Ma che cazzo ho fatto...

La fisica dell'attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora