I tramonti al mare di agosto erano sempre stati i preferiti di Amelia.
Forse perché avevano il sapore degli ultimi, e quindi la nostalgia la attanagliava in una morsa che aveva il sapore di salsedine e crema solare, o forse perché i colori le apparivano più intensi del solito.
Non era sicura, comunque, e a quel punto preferiva lasciar correre i pensieri mentre si godeva gli ultimi raggi del sole distesa nel lettino azzurro che faceva pandan con il suo costume turchese.
I vari bagnanti erano quasi tutti andati via, solo dei giovani si attardavano sulla spiaggia – un gruppo che aveva messo musica su una cassa da un po', ma che per fortuna non la infastidiva, e che faceva girare delle bottiglie di birra accuratamente messe in un sacchetto di plastica una volta finite. Si stavano preparando per una serata sfrenata, evidentemente.
Ma Amelia, al pensiero di una nottata del genere, si sentiva ancora più pesante.
Si era fatta la sua dose di divertimento in quelle settimane e quei giorni alla casa al mare di famiglia aveva intenzione di passarli in totale relax, godendosi il mare tutto il giorno, passando il tempo a fare il bagno, abbronzarsi, leggere e mangiare fino a scoppiare. Le sembrava giusto, soprattutto in previsione di quello che l'aspettava con l'arrivo dell'università.
Ah, l'università.
I dubbi che l'attanagliavano erano tanti, in primis l'ansia di andare per la prima volta via di casa.
Come sarebbe stato vivere totalmente da sola?
Certo, aveva già provato alcune esperienze del genere, già altre volte i suoi avevano deciso di fare un viaggetto di coppia lasciandola a casa in solitaria – "Tu hai scuola, tesoro, non puoi fare assenze!" – e non aveva mai avuto problemi. Era una persona autonoma, non aveva problemi a farsi da mangiare, lavarsi i vestiti o cose del genere. C'era però da dire che i suoi le lasciavano sempre cibo a sufficienza, e le poche volte che andava a fare la spesa con i suoi finiva per chiedere snack e cioccolatini come una bambina di dieci anni.
E quando sarebbe stata male?
Quando aveva l'influenza, sua madre mostrava la mamma chioccia che era dentro di lei: non poteva alzarsi, muovere un muscolo, doveva riposarsi, mangiare un brodino caldo e fare attenzione alle correnti, stando attenta però a far cambiare l'aria nella stanza. E poi le medicine: doveva prenderle in maniera corretta, ma se le fossero finite e fosse stata ancora male, come avrebbe fatto a comprarle?
Un'altra domanda importante che la premeva era: come sarebbero state le sue coinquiline?
Si riteneva una persona tranquilla, pulita e rispettosa degli altri, ma sapeva bene che non tutti fossero come lei. E se invece, più semplicemente, non fosse andata a genio agli inquilini con cui avrebbe coabitato?
Tutto questo la spaventava e le faceva chiedere se sarebbe stata in grado di vivere da sola, veramente in autonomia.
Sospirò e cercò di scacciare via quei pensieri.
Non ha senso tormentarmi ora. Inoltre, se ce l'hanno fatta gli altri, perché io non dovrei esserne in grado?
Con quell'idea in testa si alzò da lettino, scosse il telo da eventuali granelli di sabbia per poi riporlo dentro la spaziosa borsa colorata da mare e chiuse il lettino, decisa a dirigersi verso casa – erano già le otto passate, i suoi genitori di sicuro avevano iniziato a preparare la cena.
Con il lettino in una mano e la borsa nell'altra, si diresse verso casa; era fortunata, non era molto lontano, e in pochi minuti a piedi raggiunse la graziosa casetta al mare. La luce del tramonto rendeva il giallo chiaro dell'edificio più dorato e le sue sfumature venivano rese più accese dai colori dei teli da mare e dei costumi appesi al filo per il bucato.
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La fisica dell'attrazione
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