Capitolo ventitré ~ Di semi-normalità e problemi in vista

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Mai Amelia avrebbe pensato di provare un sentimento così ambivalente nei confronti della scuola.
Generalmente, non adorava andarci – non che ci sia la necessità di una spiegazione per questo, difficilmente uno studente è elettrizzato all'idea di rinchiudersi in quel covo di matti – ma non era neanche così schifata all'idea di ritrovarsi lì. Insomma, aveva l'idea tipica di qualsiasi studente, bene o male.
Da circa un paio di settimane però – anzi, per essere più precisi da quel giorno – essere a scuola era allo stesso tempo terribile croce e fantastica delizia per lei.
Anche in questo caso non c'è bisogno di spiegazioni, ma ovviamente tutto era a causa del caro professor Angelis.
Averlo così vicino, poterlo vedere praticamente tutti i giorni la faceva sospirare in un modo tale che si sentiva parecchio patetica, ma il non poterlo toccare, scherzare con lui e baciarlo, beh... Quello era un serio tormento.
E mentre in quel momento entrava nell'aula, la borsa di pelle in una mano e la giacca nell'altra, era inevitabile perdersi a fissarlo con aria adorante.
«Ti cola la bava.»
Eccolo, il caro Daniele, sempre pronto a risvegliarla dai propri sogni ad occhi aperti.
Si girò seccata verso di lui e lo trovò che la fissava canzonatorio, un sorrisetto divertito dipinto sul volto e le braccia incrociate.
«Non è vero.» si limitò a rispondere arrossendo – perché sapeva che l'amico aveva ragione, anche se non l'avrebbe mai ammesso, ovviamente.
«Sì che è vero. Lo guardi come se non vedessi l'ora di strappargli i vestiti di dosso.» continuò imperterrito il riccio, per poi sorridere beffardo e chinarsi verso l'amica, evitando così che qualcuno potesse sentire «Anche se so che stai facendo il conto alla rovescia per questo pomeriggio.»
Inutile dire che la mora saltò sulla sedia come un petardo, facendo strisciare la sedia e attirando le occhiate di qualche compagno di classe che correva a posto.
«Idiota! Qualcuno potrebbe sentirti!» sibilò immediatamente, rossa come il fuoco. Daniele se la rideva alla grande, nel frattempo, perfettamente conscio di non aver alzato la voce ma godendosi l'ansia dell'amica – il solito bastardo, insomma.
La mora si affrettò poi a riprendere una posizione composta, il volto ancora arrossato e l'ansia che pian piano la abbandonava – e in quel momento osò azzardare uno sguardo verso Alessandro.
Era lì, alla cattedra, ancora in piedi ma con la borsa poggiata sul piano, e la guardava – uno sguardo leggermente perplesso dalla scenetta che aveva di sicuro visto senza cogliere il significato. O forse quello era stato compreso, dato che la mora lo vide alzare leggermente gli occhi al cielo con una finta aria esasperata, per poi trattenere un sorriso e finire per sedersi.
«Buongiorno ragazzi.»
La voce del prof si sollevò tra gli studenti in maniera pacata – un tono su cui gli studenti si adagiavano da un po' di tempo senza comprendere il motivo di quella strana calma del professore, di solito più duro, ma non che importasse davvero a qualcuno.
«Iniziamo la lezione.»
E così dicendo, Amelia si preparò ad ascoltare tutta la lezione sempre in quel dolce tormento che era diventato ormai la forma più piacevole di sofferenza.


Non mi abituerò mai.
Era il solito pensiero che Amelia faceva appena prima di suonare il campanello della casa di Alessandro. Istintivamente arrossì per l'ennesima volta durante quella giornata – in quel periodo prendeva fuoco troppo spesso, cavolo! – e iniziò a torturarsi le dita delle mani tra di loro mentre aspettava.
Stranamente, attese più del solito ma alla fine la porta si aprì, rivelando un Alessandro con un'aria assonnata e in tuta – una visione, in pratica, tanto che Amelia dovette fare appello a tutta la propria sanità mentale per non saltargli addosso. Com'era possibile che fosse così bello anche quando si era palesemente appena svegliato da un pisolino?
«Ehi, non sapevo stessi dormendo.» le venne spontaneo dire.
Alessandro la osservò e sbuffò a metà tra il divertito e l'esasperato.
«Mi sono solo addormentato per sbaglio, ti ho detto io di venire qui a quest'ora.» la riprese bonariamente l'uomo, per poi spostarsi per farla passare.
Amelia entrò con i soliti passi cauti che faceva appena arrivata lì – no, non si sarebbe mai abituata – e subito il caldo la invase facendola quasi sudare. Non capiva il motivo, ma Alessandro aveva la strana abitudine di tenere perennemente il riscaldamento acceso per poter stare a maniche corte, com'era anche in quel momento.
Non che la cosa mi dispiaccia davvero , pensò deliziata Amelia, godendosi la vista dell'uomo che subito si accorse di essere fissato – e, ovviamente, fece un ghigno divertito.
«Così mi consumi.» bofonchiò sarcastico.
«Sei così delicato?» rispose a tono Amelia, senza minimamente negare il fatto che lo stesse fissando.
«Credo che sia tu quella più delicata.» replicò a sua volta l'uomo.
Parole sarcastiche e toni divertiti coincidevano con i passi che facevano l'uno verso l'altro, prima di incontrarsi a metà strada – e a quel punto Amelia, con la porta chiusa e consapevole che nessuno li potesse vedere, si permise di allacciargli le braccia attorno al collo e sporgersi sulle punte.
Mentre Alessandro si chinava su di lei per seguirla nel bacio, sentì le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi ancora fasciati dalla giacca da inizio primavera e, come al solito, finirono fondamentalmente uno addosso all'altro, le mani che vagavano tra capelli, fianchi e altre porzioni di corpo.
Alessandro fu il primo a staccarsi – era sempre lui quello morigerato e che riprendeva il controllo, Amelia a volte si chiedeva se avesse paura di farle del male.
«Non volevamo andare a fare un giro?» soffiò a pochi centimetri dal suo viso, il moro. Amelia sorrise innocente.
«Abbiamo tutto il pomeriggio per uscire. Tanto mia mamma crede che io sia a casa di Nicole.» la risposta della ragazza fu rapida e sempre pronunciata con un tono innocente, ma di certo non si aspettava quell'occhiata di desolazione che vide poi nello sguardo dell'altro.
«Tutto bene?»
«Serena mi ucciderà.» borbottò di risposta il giovane. Amelia lo fissò spiazzata – non era ancora abituata a vederlo con quell'aria preoccupata o depressa - o meglio, non ancora abituata a vederlo con espressioni più umane - ma poi cercò di tranquillizzarlo.
«Dai, non lo scoprirà di certo, siamo stati sempre attenti finora.»
E, in effetti, l'ansia iniziale li aveva resi quasi paranoici, tanto che inizialmente a scuola non si guardavano nemmeno, mentre con il passare di qualche tempo erano diventati più temerari e si permettevano anche un bacio, se erano sicuri che non ci fosse nessuno a vederli.
«Infatti, mi riferisco a quando glielo diremo. Sarà tremendo. I miei mi diserederanno.» continuò depresso, finendo per avvicinarla più a sé e affondare il viso nei riccioli scuri e permise così ad Amelia di accarezzargli a sua volta i capelli – non sembrava minimamente l'Alessandro che aveva conosciuto all'inizio, da quando stavano insieme aveva dato spazio anche ad altri lati del suo carattere: più attento, più dolce, più premuroso e, in certi casi, anche più infantile.
Amelia non riuscì a trattenere del tutto una risata, che finì per essere uno sbuffo mal trattenuto e Alessandro finì per alzarsi a squadrarla con aria offesa.
«Stai ridendo di me?»
«Io? Non potrei mai.»
E mentre Alessandro capiva di star venendo preso in giro alla grande, Amelia capiva invece che era meglio iniziare a correre, perché l'occhiata del moro non presagiva nulla di buono.
Infatti, dopo poco, finirono nudi sul letto a rotolarsi e ad afferrarsi in maniera dapprima giocosa, poi sempre più vorace sino a finire uno tra le braccia dell'altro, sotto le coperte che li riscaldavano.
«Avevamo detto che saremmo usciti.»
La voce divertita di Alessandro fece aprire un occhio all'assopita Amelia, stretta tra il giovane e le coperte mentre la stanchezza la spingeva sempre di più nel sonno.
«Non era urgente, era solo per fare un giro.» borbottò la ragazza «E poi, meno ci facciamo vedere in giro meglio è in teoria, no? Evitiamo il rischio di venire beccati.» aggiunse.
Un sospiro, forse seccato, e poi la ragazza fu costretta a spostarsi mentre sentiva il moro scostare le coperte e dirigersi verso il bagno; lei aprì totalmente gli occhi e si perse a fissare i raggi di sole che filtravano dalle tapparelle non abbassate del tutto.
Inevitabilmente, anche lei finì per sospirare – non era passato nemmeno un mese e tutta quella storia si faceva già stressante. È vero, era il periodo più bello di tutta la sua vita, averlo a fianco era qualcosa che mai credeva si potesse avverare, eppure l'ansia era sempre lì, sopita nella sua testa, facendola preoccupare di ogni singola cosa. L'unico momento in cui essa scompariva era quando si stringeva a lui.
«Sono solo le sei e mezza, possiamo comunque andare a fare un giro.»
Amelia parlò mentre si sollevava sul letto, finendo per osservare dalla porta aperta il giovane che aveva aperto l'acqua per la doccia – non era particolarmente pudico, lui.
O magari no, le venne da pensare mentre i suoi occhi scivolavano sul corpo nudo dell'altro.
Il moro non ci mise molto a notare come veniva osservato – sorrise divertito, a quel punto.
«Prima però potresti venire in doccia con me, no?»
E chi se lo fa ripetere.

La fisica dell'attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora