10. Fragility

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Guardai intensamente la mia immagine riflessa nello specchio della stanza. Ero sempre la solita Maya, con i capelli biondi sciolti, gli occhi chiari truccati, le ciglia ricoperte di mascara, le labbra carnose lievemente velate di rossetto... Eppure c'era qualcosa di diverso in me. Qualcosa era cambiato da quando avevo parlato con Chelsey. Le sue parole mi avevano fatto riflettere, non soltanto su Logan e Shawn, ma anche su me stessa e sul modo in cui stavo affrontando la mia vita.

Ad interrompere il fluire dei miei pensieri ci pensò Brian, che aprì all'improvviso la porta della camera facendomi sobbalzare dallo spavento.

«Ma ti hanno mai insegnato a bussare?!» gracchiai furiosa.

Lui si limitò a ridacchiare, come se pensasse che io fossi in vena di fare sarcasmo.

«Scusa Maya, non volevo spaventarti... Stai uscendo?» mi domandò lui con dolcezza.

Mi limitai a distogliere lo sguardo da lui per concludere il make up. «Non che siano affari tuoi, ma sì, sto uscendo. Quindi non aspettarmi sveglio, non so quando torno.»

Brian si avvicinò a me e mi costrinse a posare il rossetto per iniziare un pericoloso contatto visivo.

«Mi farebbe piacere se passassimo del tempo assieme domani, sai come facevamo una volta...»

«Davvero, Brian? Beh, a me per niente. Quindi non se ne fa nulla, non puoi costringermi» risposi acida.

Lui intensificò lo sguardo e si sistemò i capelli brizzolati, ormai diventati troppo lunghi. «Maya, credo davvero che dovresti smettere di respingermi. Le mie intenzioni sono buone, non voglio farti del male. Vorrei cercare di recuperare il nostro rapporto, essere più presente per te e farti capire che sei importante per me, che sei la cosa migliore che mi sia capitata e che sono stato un perfetto idiota a trattarti come ho fatto. Non continuare a chiudermi fuori dalla tua vita, io voglio solo aiutarti.»

Fui io ad interrompere il contatto visivo. Non riuscivo più a sostenere il suo sguardo, perché stava riportando a galla tutto il male che Brian mi aveva inflitto in passato ed io non sarei stata capace di fronteggiarlo di nuovo.

«Devi smetterla! Non mi interessa quello che vuoi o che ti aspetti da me, non otterrai nulla. Tu mi hai rovinato la vita e hai rovinato anche quella della mamma, tu e la tua fottuta infedeltà! Spero che ne sia valsa la pena, almeno!»

Troppo tardi, come avevo immaginato. Brian e i suoi inutili tentativi di riavvicinarsi a me avevano risvegliato emozioni e sensazioni che avevo seppellito da parecchio tempo, nella vana speranza che svanissero misteriosamente. L'odio che nutrivo nei suoi confronti stava aumentando a dismisura e non riuscivo a padroneggiare la rabbia che si stava appropriando di me, come un fiume in piena.

Mi alzai di scatto e recuperai la mia pochette nera per poi dirigermi verso la porta di casa. Dovevo allontanarmi da lui, dovevo proteggermi ad ogni costo. Non gli avrei permesso di farmi male, non di nuovo.

Le persone non cambiano. Fingono di essere cambiate, fingono di tenerci, fingono di essere coinvolte nei rapporti. Le persone non cambiano, semplicemente non smettono di fingere.

«Maya! Aspetta, non te ne andare! Ti prego, aspetta» urlò Brian alle mie spalle, mentre scendeva velocemente le scale.

Per fortuna io ero notevolmente più agile di lui, infatti raggiunsi la porta di casa in meno tempo e la sbattei rumorosamente dietro di me. Una volta uscita da quella maledetta casa, iniziai a correre senza sosta. Non sapevo neppure dove mi stessi dirigendo, dato che il mio senso dell'orientamento era del tutto inesistente e neppure conoscevo quelle zone.

Continuai a correre finché non sentii i polmoni e la milza pulsare con violenza per lo sforzo. Così mi fermai di scatto e appoggiai una mano sulla pancia per riprendere fiato. Facevo fatica a respirare e avevo il fiato corto.

Tutto attorno a me stava iniziando a girare pericolosamente, facendomi tremare le ginocchia. Cosa mi stava succedendo? Un attacco di panico, forse?

Mi accasciai contro un albero, nella speranza di recuperare il controllo di me stessa il prima possibile. Non avevo la minima idea di che cosa mi stesse accadendo e avevo paura.

Il mio respiro non voleva saperne di riacquistare una normale regolarità, le mie ginocchia continuavano a tremare nonostante mi fossi seduta e i miei polmoni continuavano a pulsare con forza.

Appoggiai le mani sulle tempie e iniziai a fare dei respiri sempre più forzati e meno regolari.

«Maya? Che ci fai lì? Ti... ti senti bene?»

Non avevo la forza di alzare il viso per vedere chi mi stesse chiamando. Tutto ciò che mi circondava era sfocato, poco nitido e si muoveva pericolosamente.

Pochi istanti dopo, sentii la presenza di qualcuno accanto a me.

«Ehi, che ti è successo? Non preoccuparti, andrà tutto bene ci sono io con te...» mi sussurrò all'orecchio l'inconfondibile voce di Logan, il cui alito sapeva di sigaretta e menta.

In quel momento lui era sicuramente una delle ultime persone che avrei voluto avere vicino, eppure non riuscivo a cacciarlo. Ero in preda al panico, non riuscivo a respirare e avevo paura di restare sola.

Logan accorciò le distanze che ci separavano. Mi gettò sulle spalle la sua inconfondibile giacca di jeans, dato che avevo iniziato a tremare senza sosta, e iniziò ad accarezzarmi con delicatezza il viso, nel tentativo di calmarmi.

Ed io lo lasciai fare, nonostante continuassi a considerarlo un cavernicolo e detestassi Brian. Odiavo sentirmi così maledettamente vulnerabile, fragile, come fossi fatta di porcellana. Sarebbe bastata una semplice caduta per rompermi in tanti piccoli pezzettini, che difficilmente si sarebbero poi riassemblati tra loro.

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