16. Tempesta

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«Non credo che siano affari tuoi, Coso» gracidai, forzandomi di ricacciare indietro le lacrime che continuavano a premere con forza per uscire.

Perfetto, Logan aveva assistito ad un mio attacco di panico e ora ad una mia crisi di pianto isterico.

Lui accostò la sua auto ai margini della stradina deserta e mi raggiunse con passo svelto, per poi sedersi scompostamente accanto a me, incrociando le gambe. La sua inconfondibile giacchetta di jeans gli ricopriva le spalle.

«Com'è che ultimamente ogni volta che ti incontro sei sempre ridotta male? Che ti succede ora?»

Ritentò di capire la causa del mio malumore, ma io non volevo parlarne con lui. Era maledettamente irritante quel ragazzo, non faceva altro che farmi arrabbiare ulteriormente. Come se avessi bisogno di altre seccature in quel momento.

Io abbassai lo sguardo e cercai di ignorarlo, anche se era difficile. La sua presenza stava iniziando a diventare quasi rassicurante quando eravamo soltanto lui ed io.

Logan mi prese il viso tra le dita, costringendomi ad incastrare il mio sguardo sconvolto nel suo, così fottutamente sicuro di sè. Allungò l'altra mano e passò l'indice sotto il mio occhio, eliminando l'ultima lacrima che i miei occhi avevano prodotto.

Volevo oppormi con tutta me stessa a quei contatti fisici e visivi, perché odiavo come mi faceva sentire. Eppure, non mi spostai neanche di un millimetro. Restai lì, imbambolata, incastrata nei suoi occhi chiari ma lievemente accerchiati da un'oscurità quasi familiare.

«Te lo richiedo, ragazza di città, cosa ti è capitato? Chi ti ha fatto del male?» mi domandò lui in un sussurro.

I nostri volti erano maledettamente vicini. Respiravamo l'uno il respiro dell'altra, come se lo facessimo assieme, come se i nostri polmoni avessero deciso all'unisono di seguire il medesimo ritmo.

«Niente... Mi è morto il gatto» biascicai, consapevole che non ci avrebbe mai creduto.

«Mi sembra di averti già detto che ho un sesto senso molto sviluppato per via di captare le cazzate che mi rifilano le persone. Dovresti impegnarti di più, almeno. Forza, dimmi cos'è successo, lo so che qualcuno ti ha fatto qualcosa... Si vede chiaramente dai tuoi occhi, sono in tempesta.»

Logan, finalmente, liberò il mio viso dalla sua lieve presa. La piccola porzione di pelle che aveva sfiorato bruciava avidamente, come se pretendesse che le sue mani tornassero esattamente lì dov'erano.

«Non sapevo che fossi così bravo a leggere gli occhi delle persone, Coso. La tua stronzaggine deve aver oscurato questa tua abilità» commentai, cercando di tenere a bada il turbinio di emozioni che mi stringeva con insistenza lo stomaco, facendomi venire una gran voglia di urlare a squarciagola.

«Oh, non ci provare ragazza di città! Questo metodo scaccia-persone l'ho inventato io, non può funzionare con me. Andiamo, di cos'hai paura? Che parlare con me ti possa piacere, esattamente come ti è piaciuto l'altra notte?» ribattè lui, con l'intenzione di provocarmi.

Odiavo quando mi stuzzicava in quel modo. Sia lui che io sapevamo perfettamente che avrei finito per cedere, e questa consapevolezza mi spingeva ad odiarlo ancora di più.

«Sei uno stronzo» gracchiai fredda.

«Lo so. E tu hai bisogno di sfogarti, quindi smetti di opporti all'inevitabile e parla con me come abbiamo fatto l'altra sera.»

Abbassai lo sguardo, fissandolo sull'asfalto consumato della strada deserta in cui ero capitata.

«Stamattina ho litigato con Brian e gli ho detto quello che pensavo, come mi hanno fatto sentire quando lui e mia madre hanno divorziato. Un fottuto danno collaterale, di cui nessuno voleva assumersi la responsabilità per averlo generato. Loro vogliono correggermi, come se fossi un fastidioso errore ortografico. Non hanno mai provato a capirmi, nemmeno una volta...»

Logan stava ricercando il mio sguardo con insistenza, non per verificare che quanto dicessi fosse veritiero, ma per darmi sostegno, per farmi sapere che sapeva perfettamente come mi sentissi in quel momento. Io, però, continuavo a negarglielo. Sapevo che approfondire quello strano e sottile legame che ci univa mi avrebbe resa ancora più vulnerabile, ed io non ero minimamente preparata a gestirlo.

«Maya, tu non sei un danno collaterale. Purtroppo, hai dovuto subire le conseguenze del divorzio dei tuoi genitori. Queste cicatrici non se ne andranno con il tempo e non possono nemmeno essere corrette o eliminate. Continueranno a far parte di te, ti renderanno più forte, ti faranno crescere, e ti faranno capire che questo non è il modo migliore di affrontare le tue emozioni. Non puoi mettere la museruola a quello che senti» ribattè lui con una voce profonda, quasi estranea alla solita voce irritante del Logan Wyatt che avevo conosciuto.

Per la millesima volta da quando ero arrivata a casa di Brian, mi ero ritrovata a vivere un momento del tutto inaspettato, che mi aveva colto alla sprovvista. Mi stavo aprendo con qualcuno, stavo esternando il mio dolore, ne stavo prendendo consapevolezza e gli stavo pian piano togliendo il potere di continuare a soffocarmi, facendomi del male.

Se me lo avessero detto qualche giorno prima, sicuramente non ci avrei creduto. Se mi avessero detto anche che tutto questo mi sarebbe accaduto in presenza e (forse) per merito di Logan Wyatt, mi sarei fatta una grossa risata.

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