12. Un gioco pericoloso

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Logan's point of view

Mi alzai di scatto e precedetti Maya, facendole strada dato che immaginavo fosse lievemente disorientata. Per fortuna ero riuscito a sgraffignare una bottiglia di vodka a quell'ubriacone di mio padre. Conoscendolo, sicuramente non ci avrebbe fatto caso.

«Deduco che stare qui non ti piaccia proprio» le dissi, stuzzicandola. Mi piaceva stuzzicarla. Lei era diversa dalle altre ragazze che avevo conosciuto, sapeva starci al gioco. Per non parlare del fatto che adoravo quando rispondeva, quando tirava fuori gli artigli e si difendeva con grinta.

Lei calciò un sassolino, alzando lievi sbuffate di polvere attorno a noi. «Oh, che geniale deduzione! Da cosa lo avresti capito, sentiamo?» disse ironicamente.

«In realtà era un modo per chiederti perché odi tanto stare qui. Insomma, se non ti piace torna in città in mezzo ai tuoi amici viziati.»

Okay, forse stavo un pochino esagerando. Però ero curioso di sapere perché Maya fosse finita da suo padre se lo odiava così tanto. Doveva essere successo qualcosa.

«Ecco di nuovo i tuoi fottuti pregiudizi... Sai cosa? Forse i miei amici saranno viziati, ma perlomeno non sono superficiali come te.»

«Ehi, stavo scherzando! Non serve aggredire in questo modo... Volevo soltanto sapere perché non puoi tornare a casa tua se stare qui non ti piace» risposi sulla difensiva.

«Semplicemente, mia madre vuole che passi del tempo con lui.»

Stava nascondendo qualcosa, lo sapevo. Sapevo riconoscere le bugie quando qualcuno cercava di rifilarmele. Probabilmente devo ringraziare mio padre per aver sviluppato questa insolita abilità.

«Tutto qui? Davvero credi che me la beva? Tu stai nascondendo qualcosa di grosso ed io lo scoprirò sicuramente prima o poi... Quindi, a questo punto, ti conviene dirmelo direttamente.»

Cercai di nuovo di stuzzicarla. Non che avessi mentito. Sono una di quelle persone che ottiene praticamente sempre quello che vuole.

Maya doveva aver riconosciuto la stradina che stavamo percorrendo. Aumentò il passo fino a sorpassarmi e iniziò a ridere di gusto.

«Sei davvero patetico, Coso.» 

Roteai gli occhi. Era un osso duro quella ragazza ma sarei riuscito a scoprire i suoi segreti.

Ci sedemmo accanto alla riva del lago, scarsamente illuminato da qualche lampione sparpagliato nei dintorni che si rifletteva sulla superficie dell'acqua.

Infilai la mano nello zaino ed estrassi la bottiglia di vodka che avevo sgraffignato a mio padre. La svitai e la passai prima a Maya. Lei non si stupì del mio gesto, anzi, accettò l'offerta senza neppure preoccuparsi di che cosa contenesse la bottiglia.

«Ehi, vacci piano piccoletta... Non vorrei mai che stessi di nuovo male» le dissi d'istinto, senza mascherare la mia nascente preoccupazione.

Maya fece un paio di lunghe sorsate di vodka per poi contorcere il viso in un'espressione di disgusto. «Oh, finiscila di fare la mamma. Sei insopportabile.» 

«Ti va di giocare al gioco delle venti domande? Così possiamo conoscerci meglio» le proposi.

Lei ridacchiò. «Questa sarebbe la tua infallibile tecnica per estorcermi la verità?»

Mi avvicinai a lei, riducendo la distanza che ci separava. Eravamo fronte contro fronte e ci stavamo fissando negli occhi con estrema intensità. Sentivo il suo respiro che si infrangeva con irregolarità contro di me.

«Cosa c'è, ragazza di città? Hai per caso paura di giocare con me?» la stuzzicai, consapevole che avrebbe finito per accettare la mia proposta.

Maya arretrò di qualche centimetro senza smettere però di guardarmi. «Tu non mi susciti alcuna emozione, Coso. Forza, inizia tu ma te ne concedo solo dieci.»

Io sorrisi compiaciuto. L'avevo detto che ottengo sempre quello che voglio.

«Ti ripropongo la domanda di poco fa. Perché sei finita qui se odi così tanto tuo padre? E vedi di essere sincera, ho un infallibile sesto senso per riconoscere le bugie» le risposi per poi agguantare la bottiglia di vodka e buttarne giù un sorso abbondante.

Maya distese le gambe sulla ghiaia della riva e mi sorrise di rimando. «Vedo che non ti arrendi, eh. Diciamo che non sono propriamente una brava ragazza... Mia madre sostiene di non riuscire più a gestirmi e ha deciso di spedirmi qui per l'estate, convinta che avvicinarmi a Brian mi potrebbe far tornare sulla retta via. Una montagna di cazzate.»

«Capisco... Forse tu ed io siamo più simili di quanto pensassi. Tocca a te» la esortai.

Maya si riappropriò della vodka per berne un'altra lunga sorsata. «Perché hai detto che le famiglie fanno schifo? Che cosa ti ha fatto di così tragico la tua?» domandò lei senza smettere di osservarmi, come se potesse cogliere risposte a quella domanda anche scrutando attentamente i movimenti dei miei occhi.

Odiavo parlare della mia famiglia. Era un argomento tabù per me, i miei amici lo sapevano bene. «Mio padre è un fottuto alcolizzato che ha fatto scappare mia madre con la mia sorellina. Ma io sono rimasto qui con lui, lei mi ha lasciato qui.»

L'espressione di Maya mutò all'improvviso. Odiavo quando le persone provavano pietà nei miei confronti per colpa della mia famiglia. Non volevo pietà e compassione.

Notai che Maya stava per aprire bocca ma la precedetti. Non volevo sentire inutili parole su quanto le dispiacesse per la mia situazione. Non me ne fregava niente di quello che pensava. «Perché non ti sei definita una brava ragazza? Che cosa hai combinato?»

Lei abbassò lo sguardo, interrompendo il nostro contatto visivo, per concentrarsi di nuovo sulla vodka. «Solite cose, immagino... Alcol, canne, feste, ragazzi e rubavo. Non che non potessi permettermi le cose che ho rubato, è solo che non voglio fingere che il divorzio dei miei genitori non mi abbia cambiata. Brian mi ha rovinato la vita» confessò lei, continuando a negarmi il suo sguardo.

Okay, una confessione che mi aveva sorpreso. Non avrei mai immaginato che lei facesse quel genere di cose. Sembrava soltanto una ragazzina incompresa che cercava attenzioni. Invece, avevo scorto del dolore nel suo sguardo per quello che aveva passato. Un dolore simile al mio, per certi versi.

«Perché non godi di una bella reputazione da queste parti?» domandò lei all'improvviso, interrompendo i miei pensieri.

Io mi accesi una sigaretta e tornai ad osservarla, nonostante lei continuasse a guardare la bottiglia di vodka schivando di proposito il mio sguardo.

«Non è ovvio? Famiglia disastrata, carattere difficile, il fatto che usi le persone... Come potrei godere di una buona reputazione? Chiariamoci, non che la cosa mi possa minimamente pesare. Non me ne frega niente di quello che pensano gli altri.»

Perché era così facile parlare con lei di queste cose? Non doveva essere facile. Anche lei sarebbe stata una persona che avrei usato per i miei comodi, esattamente come tutti gli altri facevano con me. La mia vita era diventata un usare ed essere usato.

Il mio cellulare squillò, attirando la mia attenzione. Lo sbloccai e lessi il messaggio che avevo ricevuto da Spencer.

Come sta andando, amico?

Digitai sulla tastiera del mio iphone e gli risposi.

Prepara i soldi, vincerò sicuramente la scommessa.

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