Episodio 1.0

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C'era una volta un uccellino, uno dei più belli della sua specie, dotato di un piumaggio dorato ed eccezionalmente brillante, di occhi vividi e lucidi, con iridescenze di tutte le tonalità che venivano riflesse ogni volta che delle goccioline d'acqua si posavano sul suo corpicino. Era un piccolo esemplare di rara e delicata bellezza.

Nonostante il suo splendore, era rinchiuso in una gabbia. Lo era sempre stato, fin dalla nascita. Non aveva mai imparato a volare e nemmeno a dispiegare le ali che, seppur piccole, gli avrebbero concesso il dono di librarsi nel cielo. Il contadino che ogni giorno gli dava del cibo e dell'acqua lo aveva rinchiuso perché non desiderava che fuggisse, per poterlo così ammirare ad ogni ora del giorno.

Uno sventurato dì una tempesta si abbatté sul capanno del contadino, il tetto venne soverchiato da un'improvvisa burrasca, un vento sferzante e gelido invase l'intera valle e una pioggia torrenziale continuò perennemente ad abbattersi per diversi giorni, rovinando del tutto il lavoro del povero fattore che rimase inerme all'interno pagliaio dove si era rifugiato per trovare riparo. Lì poteva bearsi solo della compagnia di quattro piccoli agnellini e dell'uccello rinchiuso nella gabbia; anche lui osservava quello che stava succedendo, credendo di essere al riparo all'interno della propria gabbietta.

Ma il contadino, in preda allo sconforto e ad un senso incontenibile di rabbia decise di scagliare contro se stesso e contro il povero uccellino la colpa della disgrazia che gli era appena accaduta, facendo un mea culpa della propria cupidigia. Iniziò a pensare che se avesse liberato l'uccellino tutti i suoi guai sarebbero finiti. Nonostante il buonsenso gli suggerisse di lasciarlo libero decise, al contrario, di tenerlo rinchiuso in un angolo buio del pagliaio, non dandogli più cibo né acqua e aspettando che la Morte fosse sopraggiunta.

L'uccellino, ignaro completamente di tutto, si ritrovò non solo ancora imprigionato, ma nemmeno senza alcun modo per poter sopravvivere e soprattutto senza luce.

Stava morendo. Lentamente.

Dopo pochi giorni, in un caldo pomeriggio estivo, per ironia della sorte, la Morte fece visita al fattore prima che all'uccellino, portandolo con sé a causa di un malessere che aveva perdurato per giorni dopo la terribile burrasca. In punta di piedi la Morte bussò anche alla gabbietta dell'uccellino che, nonostante il buio, riuscì a distinguere la mera figura e capì che era giunta la sua ora.

Ma la Morte, invece di portarlo con sé gli parlò:

Hai vissuto una vita ingiusta, non ti è stata concessa possibilità di salvezza, amico mio. La colpa di quanto è accaduto al povero contadino è ricaduta su di te e io sono costretta a trascinarti giù, all'inferno per l'eternità. Non sono venuta per portarti via però, almeno non ora, ma è mio desiderio concederti un'ultima possibilità di vedere il mondo, di provare a scoprire cosa c'è là fuori in serbo per te, visto che nessuno te ne ha mai concessa l'occasione.

L'uccellino, stremato delle sue forze si rialzò sulle zampette al sentire il racconto della Morte e, chiudendo più volte le palpebre, fece come per ringraziarla e si pose proprio davanti all'entrata della sua gabbietta, in attesa che la Morte l'aprisse.

La Morte, tenendo la gabbietta in alto e portandola fuori dal fienile la adagiò per terra, sul soffice prato che lambiva la staccionata del terreno del contadino. Non appena la luce del sole si posò sugli occhi del povero uccellino, che faticava a tenerli aperti, si presentò davanti a lui un panorama magnifico che su questa Terra solo un sole estivo e l'aria fiorita possono offrire. Vaste pianure, campi coltivati, papaveri, libellule che svolazzavano in basso, in cerca di un po' d'acqua, mandrie di cavalli, capre e pecore con a seguito i pastori e i loro fidati segugi, pioppi e mandorli in fiore che splendevano di una beltà unica tutti vicini, come a voler dare un caldo benvenuto allo sventurato uccellino.

Ma il lieto fine non appartiene a questa storia.

A questa vista inebriante e meravigliosa l'entusiasmo iniziale dell'uccellino lasciò sempre più spazio ad un'angosciosa sensazione di soffocamento, quello che c'era lì fuori, ora alla sua portata tutto ad un tratto stava diventando sempre più incredibilmente spaventoso e troppo grande per delle alucce come le sue; troppo grande da controllare, troppo grande da immaginare. Iniziò a capire in cuor suo che qualsiasi cosa avesse fatto avrebbe potuto causare solo altro male se avesse messo solo una zampina fuori da quella gabbia.

Non avrebbe valicato quella soglia e decise di richiudere con il becco la porta della gabbietta, rifugiandosi in un angolo e sfruttando la poca ombra che la Morte proiettava su di lui.

Comprendendo che questa era la sua ultima volontà, la Morte ripose la gabbia nel fienile, esattamente dove l'aveva lasciata e se ne andò, in attesa di ritornare a breve, per far sì che il destino dell'uccellino si compisse, facendolo sprofondare all'inferno per delle colpe delle quali si era addossato e che non aveva commesso.

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