Episodio 3.3

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– E dimmi...Hipatia, – bloccandosi in una pausa eterna e continuando a fissare la neve – sei arrivata da sola fin qui? – domandò Hawick.

Ancora a terra e singhiozzante la donna rispose: – Krix mi ha accompagnato con la sua nave. Sono pochissime le persone che lavorano sul canale di radiofari tra questa galassia e la nostra. Ha detto che mi avrebbe coperto se la Confraternita avesse scoperto qualcosa.

– E come mai lui non è qui? – incalzò Hawick, voltandosi ora e mutando espressione. Gli occhi gli erano ritornati rossi, come nei tempi di "gloria" in cui combatteva per la libertà.

– Non voleva cacciarsi in ulteriori guai, gli avevo già chiesto troppo. E' subito tornato indietro. Capiscilo, Haw... – rispose con tono piatto.

– E ha lasciato te da sola? – stavolta fu Hawick ad alzare il tono di voce.

– Sì. Non aveva scelta. E poi non credi che avessimo già rischiato abbastanza per te?

– Nessuno sarebbe dovuto arrivare fin qui. Credevate davvero che una nave che fa un viaggio di andata e ritorno da una galassia potesse non destare sospetti? – urlò Hawick chiudendo con violenza la porta del bar.

– Vi siete portati la Confraternita dietro. E non ve ne siete nemmeno accorti!

Dalla porta aprì un terminale nascosto a scorrimento e iniziò a digitare qualcosa. La voce meccanica del sistema di sicurezza annunciò:

– Sequenza DEFCON 1 attivata, sistemi d'armamento pronti.

Hawick era preparato. Era un buon barista, ma lo spirito guerriero non lo aveva perduto; in caso di attacco aveva attrezzato tutti i suoi macchinari e robot delle pulizie con delle armi a frequenza modulabile, proprio quelle in uso nelle guerriglie di assalto.

Tutti i robot e gli automi iniziarono a compiere una serie di operazioni per caricare le armi con minuziosità, dopodiché si diressero proprio davanti alla porta d'ingresso, puntando le armi e pronti a far fuoco a qualsiasi cosa avesse varcato quella soglia. Poi Hawick indossò un piccolissimo casco che a stento entrava sulla testa. Un caschetto ridicolo, ma funzionale. Prese per mano Hipatia e disse:

– Forse se usciamo dal retro possiamo ancora farcela...

– Ma si può sapere che ti prende? Non c'è nessuno fuori! – gridò di rabbia Hipatia.

– Ho visto un drone. È sopra le nubi, proprio qui sul bar! – rispose Hawck con un tono piuttosto agitato.

– Ah, il drone... – replicò la donna, trasformando improvvisamente la propria espressione e mostrando un'apatia del tutto innaturale, – immagino che allora la messinscena non sia più necessaria a questo punto.

Non appena Hipatia ebbe finito di pronunciare quelle parole iniziò a brillare di una strana e abbagliante luce bianca, mentre il soffitto fu improvvisamente soverchiato da una scarica di raggi caloriferi che iniziarono a dar fuoco a tutto il bar. L'intonaco iniziò a crollare sui tavolini, piattini, imbocchi e bicchieri; era tutto distrutto. Forse solo un terremoto sarebbe riuscito a creare un effetto tanto catastrofico in così poco tempo. Ecco che il drone si palesò proprio sopra il soffitto e iniziò a volare più in basso, emanando un fascio di fotoni ad alta frequenza, rivelando l'angosciante verità: Hipatia era un ologramma.

Hawick si voltò, accecato dal forte bagliore e non appena volse nuovamente il capo notò che Hipatia non c'era più. Hipatia non c'era mai stata.

Al suo posto apparve un'altra figura femminile dagli occhi vitrei e glaciali. Sul volto aveva disegnata un'espressione impassibile, vuota. I capelli verdi che portava a caschetto le scendevano fino all'altezza delle spalle, tanto da coprirle interamente le orecchie. Indossava una mantellina color indaco, in tessuto sintetico con diversi ricami floreali, fatti sicuramente da un'intelligenza artificiale, e un tailleur totalmente bianco che copriva senza però deformare le sue generose curve. Sulla fronte aveva un controller sottocutaneo che mostrava il simbolo della Confraternita.

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