— Hipatia.
Era da tempo che non sentiva pronunciare quel nome. Non come avrebbe voluto, non quanto avrebbe voluto.
Eppure Hawick ebbe un breve sussulto non appena la voce cigolante del sistema di sicurezza del bar di periferia di Crystania annunciò il nome di chi stava per entrare.
Crystania era una cittadina situata nel quarto di sette pianeti del sistema Horus, uno dei sistemi più vicini al centro della galassia di Andromeda. Per fortuna il sistema Horus non era mai stato di grande interesse per l'Armata (la fazione principale su Andromeda). D'altro canto il centro di una galassia è generalmente una posizione poco strategica per qualsiasi tipo di scambi, relazioni o alleanze. In particolare si era venuta a creare una situazione piuttosto frastagliata su Andromeda: oltre a gran parte dei sistemi che avevano giurato fedeltà all'Armata vi erano pochissime minoranze della Confraternita, sistemi totalmente neutrali e altri assurdi imperi fascistoidi composti da un'unica razza aliena.
Poche erano le culture potenzialmente avanzate in grado di creare problemi. Poche, ma decisamente micidiali, data la capacità che le razze abitanti di Andromeda avevano di adattarsi ai sistemi di armamento in uso presso la Confraternita e la loro capacità di creare guerriglie altamente efficaci. Per questo l'Armata aveva stabilito diverse basi in quella galassia, una vera spina nel fianco per la Confraternita e i suoi alleati.
Hawick era l'unico proprietario di uno dei pochi bar rimasti su Crystania. La gente su quel pianeta difficilmente prediligeva bere qualcosa che avesse potuto stimolare a sufficienza le papille gustative. Erano soliti invece utilizzare un sistema di alimentazione automatizzato, con cannule o pillole; l'obesità non è mai stato un problema per loro. Ostentavano anche un eccessivo attaccamento al lavoro, ragion per cui vi era poco spazio per concedersi del tempo libero.
Ma Hawick non era originario di Horus. Egli era originario del pianeta Xen, situato nella Galassia Nana del Drago. Xen apparteneva allo spazio della Confraternita, nonostante vi fosse un sistema di governo dittatoriale che con tutte le forze Hawick aveva cercato di contrastare. Iniziò a lavorare come interprete, studiando e parlando correttamente migliaia di lingue differenti, cifrando messaggi di propaganda politica e diffondendo tra la popolazione l'idea che il governo sarebbe potuto essere rovesciato.
Ma, si sa, quando entrano in gioco ideali più grandi di noi stessi ci riscopriamo totalmente nudi di fronte alle scelte morali da compiere, sbagliando il più delle volte.
E Hawick non fu da meno. Si ritrovò con le zampe macchiate del sangue di diversi suoi conterranei, trucidati a sangue freddo, sangue di larve, cuccioli e donne. Si era lentamente trasformato da idealista ad agitatore di folle e successivamente in carnefice.
Dopo aver subito un lungo processo da parte della Confraternita trascorse trentadue cicli di prigionia, la massima pena. Dopo la galera si impose di compiere un lungo viaggio dal quale non sarebbe più tornato. Desiderava solo un luogo sicuro dove la Confraternita non avrebbe mai avuto modo di raggiungerlo.
La cosa più logica era intrufolarsi nello spazio del nemico, senza farsi scoprire. Infatti, nei propri domini, l'Armata non seguiva gli stessi schemi della Confraternita, in particolar modo in fatto di libertà personale. Essa era sì improntata sulla difesa e sul rafforzamento delle proprie strutture militari ma, se per la Confraternita era la pace l'unico scopo da conseguire, per l'Armata nulla vi era di più importante della libertà. Incisero quella parola a caratteri cubitali sulla loro bandiera: un rosso a tinta unita, semplice, senza alcun tipo di fronzoli né bizantinismi
In ogni caso Hawick lì si sentiva al sicuro, finché non ascoltò il nome di Hipatia.
Dolcissima, sublime, un corpo perfettamente lucente che rifletteva la fioca luce blu che penetrava nel bar, indossava solo un copricapo quasi a mo' di turbante intorno alla testa, portava anche due bracciali, uno in argento sulla zampa sinistra e l'altro in granito sulla zampa destra. Il sinuoso movimento delle antenne mentre si accingeva all'entrata del bar era lento, come una danza; sembrava che volesse assaporare ogni singolo secondo dell'incontro che stava per avvenire.
Una delizia per gli occhi, almeno agli occhi di uno Xetoriano.
Hawick aveva appena finito di ripulire e disinfettare gli imbocchi nei quali poi preparava le varie bevande richieste dalla sua clientela quando la vide entrare; una parte di lui lo spronava ad andarle incontro, come se tutto il tempo passato in prigione e a combattere contro il governo su Xen fosse stato cancellato per magia. Ma prevalse la sua parte più razionale. Si limitò ad osservare Hipatia entrare e avvicinarsi ad uno sgabello, proprio di fronte a lui. Era ammutolito, pietrificato.
– Ciao Hawick... – salutò per prima Hipatia.
Inizialmente non ebbe risposta; lo Xetoriano non capiva se la cosa era troppo bella per poter essere vera o se non lo era affatto. Con gli occhi lucidi rispose: – Erano anni che sognavo questo giorno...non credevo che ti avrei mai più rivista, come hai fatto a trovarmi? – domandò incredulo.
– Non è stato facile, hai tagliato i ponti con tutti su Xen e con i nostri compagni. Ci hai lasciati soli dopo aver concluso i tuoi cicli di prigionia. Mai una notifica su nessun terminale, mai un tuo messaggio. Nulla.
L'espressione sul volto di Hipatia era seria, la voce si faceva più incalzante, ma proseguì.
– Sai quanti altri hai lasciato morire su Xen per la tua causa? Sai quanti altri ti inneggiano? Se solo ti fossi deciso a ritornare, a mostrare il tuo volto a tutti e non solo a me. E no, Hawick, non è stato facile trovarti, però hai lasciato una traccia mentre volavi nello spazio tra la nostra galassia e questa; mentre eri in stasi la tua navicella ha perduto una parte dello scafo, una sigla: "AXUT".
Hawick ascoltava Hipatia muovendo le proprie antenne in maniera più frenetica ad ogni parola, ora mostrava anche il piumaggio che agitava, segno di eccitamento e ansia allo stesso tempo. Qualcosa lo spingeva a non volerle credere, ma non poteva mettere in dubbio le parole di Hipatia, gli aveva sempre raccontato la verità. E sopratutto l'amava.
Quella era la sigla del suo nome di battaglia. Nessuno conosceva il suo vero nome quando combatteva su Xen, ogni volta parlava, scriveva e si presentava in pubblico come Axut. Non aveva mai rivelato la propria identità, tranne a chi meritasse il suo rispetto e a chi amava.
E lui amava solo lei.
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Hellbird
Science FictionUn enigmatico messaggio dal futuro, intrighi e cospirazioni all'interno di diverse fazioni, una nuova teoria fisica in grado di poter far vivere entità virtuali nel mondo reale, rimpianti che continuano ad emergere da un passato oscuro, continui e v...