18. Victoria

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La cosa bella dei rapporti è che dimentichi come sono iniziati.

Lo devo aver sentito da qualche parte, forse in una di quelle serie su Netflix che Nica consuma ogni notte impedendomi di dormire. Non ho mai ascoltato davvero quello che davano sullo schermo del suo portatile, specie quando la ventola di raffreddamento girava a duemila e faceva un casino enorme, ma questa frase doveva aver avuto la benedizione da qualcuno. Perchè è solo ora, che non so a cos'altro pensare, che continua a suonarmi in testa senza smettere di fermarsi.

Guardo Damiano e ci penso: non ricordo come ci siamo conosciuti. La band, sì, e poi gli amici in comune, e ancora quella stupida volta in cui ci aveva provato con me, ma se mi concentro, non riesco a rivivere il momento in cui aveva allungato la mano e scandito il suo nome come solo lui sa fare. Forse non ci eravamo nemmeno stretti la mano.

"Vuole entrare?"

L'agente posa una mano sulla mia schiena con gli occhi che mi compatiscono. Deve avere l'etá di mio padre, dal momento che ho promesso a sua figlia visite nei camerini e concerti gratis a vita per far rilasciare Damiano senza che si sparga la voce, ma ne dimostra almeno dieci di più. Io non gli rivolgo lo sguardo, continuando a bucare il vetro che ci separa mentre le parole del poliziotto martellano precise: è la seconda volta di quest'anno, deve essere una testa calda.
"Prego."

Quando entro nella stanza, Damiano non si muove, ma tiene la testa bassa e i palmi incollati al tavolo impedendomi di vedere il suo volto. Mentre mi siedo di fronte a lui, non riesco a non notare come sono ridotte le sue mani. Tagli ovunque, alcuni sanguinano ancora.

"Cos'è successo, Dem?"

Non risponde, non si muove, non reagisce, sembra non respirare nemmeno.

"Eri andato pe' riprenderla e adesso sei qui." -continuo, cercando d'essere più dura- "Cosa cazzo è successo."

Damiano si lecca il labbro superiore ricoperto di sangue, poi alza la testa e sorride come il diavolo.

"Incidente de percorso, Reginè. Ce siamo solo divertiti un po'."

Osservandolo in silenzio, mentre ride impazzito con la faccia marchiata, un sopracciglio aperto che cola sangue, un occhio gonfio, le mani maculate e rigide, ma soprattutto, sopra ogni cosa, gli occhi assenti, assisto al punto più basso in cui Damiano avrebbe mai potuto ridursi.

Penso al nostro primo bacio, alla prima volta in cui avevamo fatto l'amore, a quando mi aveva confessato d'essere l'uomo più insicuro dell'universo, che per proteggersi si vestiva a festa su un palco fingendo di avere in pugno il mondo. Mi aveva detto che sulla sua testa pesava una maledizione, che lo rendeva incapace di amare, e io, solo per togliergli quel muso lungo, gli avevo risposto che non era ancora scritto niente, che sarebbe bastata la persona giusta per salvarlo. Allora non ci credevo, specie quando la nostra pseudo storia non sembrava destinata a decollare, ma vederlo con Beatrice, dopo aver superato l'invidia, mi aveva fatto ricredere. E io non ero più disposta a tornare indietro.

"N'è più na semplice delusione d'amore, lo capisci?" -lui non risponde, ma so che tende le orecchie- "Tutto quello ch'hai guadagnato, la fama, 'r nome, 'r successo, i premi, e, e.. E le serate, i soldi, 'r sogno tuo, la felicitá. La felicitá, Damiá. Senza de lei, niente varrá un centesimo de quello che valeva prima. E tu sei pronto a buttá via tutto pe' na scazzottata?"

"Era con Samuele."

La sua voce graffia, proprio come i segni sul viso e sulle braccia, ma pare quella meccanica di un pezzo di ferro che non prova più niente.

"C-cosa?"

"Sono andato a casa sua, come m'avevi chiesto. Ed era 'n dolce compagnia."

Le luci della stanza mi accecano quando provo a chiedere perchè a Dio e lo stesso fanno gli occhi di Damiano, che dentro tante macerie sembrano lasciar scappare una richiesta di aiuto.

un bacio al tabacco 2. | MåneskinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora