Capitolo ventitré

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8 dicembre.

Finalmente siamo vicini al mio periodo preferito dell'anno: le feste natalizie.

Amo qualsiasi cosa che sappia di Natale. La neve che imbianca la città, gli alberi addobbati e tutte le luci fuori dalle case. L'odore dei biscotti di pan di zenzero e della torta di zucca che solo mia madre sa fare. La cannella, che è la cosa più buona che esista.

Mi alzo sulle punte dei piedi e metto la stella di Natale sulla punta dell'albero.

Mi allontano facendo due passi indietro e guardo che tutto sia al proprio posto. Sono sempre stata fissata con gli addobbi. Ne troppi a sinistra ne troppi a destra. Due argentati a destra e due argentati a sinistra e via così.

L'albero è più alto di me di almeno quindici centimetri, sopra il piedistallo anche di più.

Mia madre mi avvolge le spalle con il braccio e mi stringe.

"Se non avessi la mia bambina non so cosa farei" - mi dice dandomi un bacio in testa

"Di certo non faresti l'albero" - dico prendendola in giro

Mia madre mi diceva sempre che da quando ero cresciuta e non credevo più in Babbo Natale, lei non credeva più molto nel Natale. Preparava sempre il pranzo, più abbondante del solito, solo per far contenta me.

Mi scompiglia i capelli e poi mi ordina di andare a prepararmi per uscire.

Tutti gli anni all'otto di dicembre andavamo sempre in ospedale , nel reparto pediatrico per passare un po' di tempo con i bambini che non sono stati molto fortunati se si parla di salute.

Era una cosa che mi piaceva fare, perché amo i bambini e mi piace pensare di riuscire a fare qualcosa per loro in un periodo così bello.

Salgo di corsa le scale cercando il mio vestito da piccolo Elfo. Anni prima c'era una signora, ex collega di mia madre che faceva questo piccolo lavoro e adesso lo facevano fare a me.

Scesi le scale muovendo la mia gonnellina bianca e rossa tutta luccicante. Carol, la collega di mia madre, l'aveva fatto fare apposta per me e ancora era perfetto.

Feci due treccine veloci e indossai il cappellino prima di prendere il giaccone ed uscire di casa seguita da mia madre.

L'ospedale della città non era molto distante da casa, circa dieci minuti di viaggio ed eravamo li. Faceva un freddo cane fuori, ed io indossavo solo quella misera gonna e un paio di calze che mi coprivano le gambe fino alle ginocchia.

"Sei ridicola" - mi prese in giro mia madre

Salì velocemente i gradini e la porta di vetro si aprì lasciando uscire l'aria calda chiusa all'interno dell'edificio.

"Invece è bellissima" - disse qualcuno alle mie spalle

Mi voltai subito verso mia madre facendole la lingua mentre abbracciai il dottor Jankins, pediatra dell'ospedale.
Era giovane, e quando ero più piccola dicevo sempre a mia madre che lui era il mio medico preferito.

"Concordo" - il dottor Centineo si aggiunse alla conversazione

"Greg" - lo salutai imbarazzata

Lui e mia madre si scambiarono uno sguardo complice ed un semplice saluto.
Li ignorai completamente e camminai attraversando i corridoi. Le stanze erano quasi del tutto vuote perché la maggior parte dei bambini erano già tutti nella sala giochi.

Non era davvero una sala giochi, però i bambini la chiamavano così. C'erano tappeti colorati, giochi sparsi qua e la che i figli dei medici dell'ospedale non usavano più e avevano lasciato li per gli altri.

Al di la di te -Noah Centineo- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora