Capitolo undici - Sesso e solitudine

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Capitolo undici - Sesso e solitudine


L'appartamento di Louis era piccolo ed arredato con gusti discutibili: la vecchia signora che lo possedeva non permetteva a nessuno di apportare alcuna modifica, ma lui era disposto ad accettarlo, approfittando della scarsa somma da pagare.

Emma era sdraiata sul suo letto, matrimoniale e con alcun molle che non rispettavano il loro dovere: lo osservava distrattamente nella sua ricerca di qualcosa da indossare, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno alle dita.

«Aaron?» Domandò soltanto, sperando di comprendere meglio la situazione: era in sua compagnia da più di mezz'ora e nessuno aveva toccato l'argomento. Louis sembrava possedere la solita esuberanza e la solita spensieratezza, ma era risaputo che avrebbe indossato quella protezione anche nella peggiore delle situazioni.

«Formula una reale domanda, hun» rispose lui, schioccando la lingua contro il palato ed afferrando una t-shirt solo per poi scartarla: continuava a darle le spalle, senza scomporsi in alcuna reazione.

Emma sbuffò e si mise a sedere, incrociando le gambe sul lenzuolo color crema. «Avete chiarito?»

Louis si voltò lentamente nella sua direzione, guardandola con marcata malizia mentre inclinava un angolo della bocca per abbozzare un sorriso. «Abbiamo fatto sesso» esclamò, tornando ad occuparsi del suo armadio.

«Questa non è una risposta» protestò lei, sospettosa. Nelle loro dinamiche di coppia il sesso non era propriamente qualcosa su cui basare un chiarimento, o almeno non per entrambi.

«Oh, sì che lo è» la contraddisse con la voce acuta. Scelse un maglioncino in cotone leggero, di un azzurro molto simile ai suoi occhi, lo indossò e si passò una mano tra i capelli, piegandosi per recuperare le sue Vans rovinate da sotto il letto ed indossarle.

«Louis...» lo rimproverò Emma.

Lui si sedette sul bordo del letto e la osservò. «Emma, hun» le fece eco, beffardo. «Non capisco dove tu voglia arrivare.»

Era difficile arrivare da qualsiasi parte con lui, perché non era mai propenso ad aprirsi realmente e perché certe cose nemmeno solleticavano la sua criticità, come se fossero giuste al di fuori di ciò che tutto il resto del mondo pensava.

«Fare sesso non vuol dire discutere e risolvere i problemi» spiegò lei allora, sperando di metterlo di fronte alla realtà. «E tu sai benissimo che Aaron è arrivato al limite: solo perché ti ama abbastanza da cedere ogni volta che ti avvicini, non vuol dire che gli stia bene e non vuol dire che continuerà a farlo. Quindi cerca una soluzione, o presto potrai dire addio al tuo caro Aaron.»

Louis indurì lo sguardo, senza però rinunciare alla sfumatura che sembrava urlare di avere tutto sotto controllo, una sicurezza ostentata. «Non mi piacciono le minacce» la ammonì, accompagnato da un sorriso falso.

«Non è una minaccia, è la verità. E non sei così stupido da non accorgertene.»

«Hun» sospirò, inumidendosi le labbra. «Non vuoi davvero immischiarti negli affari di due omosessuali che fanno questo da anni.»

«Hai dimenticato di contare tutti gli altri omosessuali che ti sei portato a letto mentre facevi questo» rispose piccata. Non riusciva a comprendere come Louis potesse essere così sicuro delle proprie azioni: certo, aveva una propria visione della vita, dell'amore e della libertà, ma si trattava di rispetto.

Per un breve istante, fu in grado di notare la mascella di Louis che si serrava ed il suo corpo che si irrigidiva appena. «Lui sa che gli altri non contano» ribatté.

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