Capitolo tredici - Posso?

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Capitolo tredici - Posso?


Emma e Miles non si vedevano da sei giorni e non si sentivano da tre. Lui aveva continuato a scriverle riguardo le proprie giornate, inizialmente, ma i messaggi erano diminuiti sempre più, fino a scomparire definitivamente: era difficile dire se la mancanza di risposte lo avesse fatto semplicemente innervosire o se avesse deciso di lasciarle ulteriore spazio.

Lei, d'altra parte, non si era risentita per quel particolare variato, anzi, l'aveva apprezzato con un certo sollievo: le parole di Miles erano in grado di distrarla, quindi era meglio non essere costretta ad aspettarle, essere in grado di pensare liberamente e di condurre una vita diversa, anche se solo per poco tempo. I suoi sentimenti si stavano rischiarando sempre più, conducendola verso lo spiraglio di soluzione che aveva da sempre desiderato, nonostante non si sentisse ancora pronta per un ulteriore confronto o per una presa di posizione definitiva.

Per questo motivo, trovare Miles al di fuori della sua università la stupì e quasi la spaventò: non l'aveva avvertita e lei non se lo sarebbe aspettato, ma era lì, appoggiato alla sua auto con le braccia incrociate. Un giaccone verde militare a coprirgli il busto magro e le labbra secche.

Emma rallentò il passo, incontrando subito il suo sguardo attento ed imprescindibile: avrebbe voluto saper definire la sua espressione, ma non riusciva a concentrarsi, perché era sommersa da domande e pulsioni. Nonostante l'istinto di voltarsi e camminare nella direzione opposta fosse insistente, decise di non rendersi ancora più ridicola ai propri occhi e di affrontare i risultati delle proprie azioni.

«Ciao», esclamò debolmente, schiarendosi subito dopo la voce.

Miles si inumidì le labbra e le si avvicinò per avvolgerla con le braccia, in un contatto gentile e forse contenuto: Emma chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle, come per raggomitolarsi in un angolo protetto. Sentiva una differenza nel modo in cui le stava respirando tra i capelli, nel modo in cui le sue mani la stavano tenendo.

«Come stai?» Le chiese, tornando a guardarla negli occhi: non sorrideva, ma la sua espressione non era dura.

«Tu?» Ribatté Emma, lasciando sottintesa la verità: non sapeva nemmeno definire come stesse realmente, tanto più in quel momento.

Miles annuì piano con un sospiro e si passò una mano dietro il collo, evidenziando involontariamente la tensione stridente che li stava unendo. «Possiamo parlare?»


Andarono a casa di Miles, sia perché vicina all'università, sia perché avrebbe garantito loro un livello di intimità e protezione al quale avrebbero dovuto rinunciare in qualunque altro posto.

Emma non sopportava più il silenzio che li stava condannando: era snervante, la preoccupava, ed il fatto di non riuscire a contrastarlo la infastidiva oltre ogni limite. Seduta sul divano, aspettò inquieta che Miles si togliesse la giacca e prendesse posto al suo fianco.

«Non so se tu sia arrivata ad una decisione» esordì lui con la placida sicurezza che l'aveva sempre caratterizzato: la stava osservando con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, reclamando il suo sguardo per poi ottenerlo con riluttanza.

«Non ancora» rispose Emma, determinata a non relegarsi ad un tale livello di passività. «Credo» aggiunse subito dopo. Le iridi nere che aveva di fronte non le lasciavano altra possibilità se non quella di essere sincera.

«Allora forse ti sarò d'aiuto» commentò Miles, sospirando appena.

«Cosa vuoi dire?» Gli chiese, corrugando la fronte ed esponendo il dubbio che la stava torturando da quando l'aveva visto. Cosa voleva dire con quegli occhi? Con quelle mani esitanti? Con quelle labbra tese?

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