Capitolo sei - Di nuovo

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Capitolo sei - Di nuovo


Aveva impiegato due giorni a digitare poche parole sul suo cellulare, un asciutto "Dobbiamo parlare" che le era costato un po' troppo orgoglio: inizialmente aveva categoricamente scartato l'idea di cercare Harry in qualsiasi modo, profondamente convinta che non spettasse a lei ed ancora succube dell'ira che l'aveva animata durante la discussione alla mostra d'arte. Eppure voleva sfoggiare la maturità che aveva conquistato con gli anni, dimostrandogli di avere a che fare con una persona piuttosto diversa e magari stupendolo: Miles aveva ragione, doveva assolutamente liberarsi di quel peso che si trascinava dietro come un continuo promemoria di una vecchia ferita, quindi doveva mettere da parte qualsiasi sua protesta e sforzarsi di raggiungere un chiarimento.

I brevi messaggi che si erano scambiati non contenevano che una manciata di sillabe, persino prive di punteggiatura: erano così poveri e reticenti, da rispecchiare la tensione che imperversava nei mittenti e da far serrare i pugni a chi li riceveva.

Si erano dati appuntamento da Ty per il giorno dopo, verso le cinque del pomeriggio e prima che Emma iniziasse il turno di lavoro al ristorante: la scelta non era stata contestata, perché in qualche modo il Rumpel rappresentava un luogo rassicurante e neutro, nel quale avrebbero potuto muoversi con libertà senza sentirsi troppo osservati. Il proprietario, infatti, li conosceva abbastanza da non stupirsi se avessero alzato la voce.

Emma era arrivata qualche minuto in anticipo senza nemmeno accorgersene, o forse senza volerlo fare: aveva salutato Ty da lontano, temendo domande ed insinuazioni, e si era concentrata sull'agitazione che sentiva. Seduta su una delle sedie attorno al tavolo all'angolo che aveva scelto, non riusciva a stare ferma o a non stringersi nervosamente le mani l'una con l'altra: avrebbe voluto essere a proprio agio ed un po' più spavalda, ma sapeva che era impossibile. Si trattava di ripercorrere una strada chiusa e tortuosa, di immergersi in vecchi ricordi anche se vivi, di litigare per l'ennesima volta, probabilmente, e di arrabbiarsi ancora un po'.

Spinta da queste possibilità, si ripromise di sforzarsi di mantenere la calma e di non infervorarsi.

Harry arrivò puntuale, entrando al Rumpel con una t-shirt grigia ed i pantaloni della tuta neri, abbinati a delle Nike vagamente rovinate: i capelli nuovamente raccolti in una piccola coda disordinata, le iridi coperte da un paio di occhiali da sole e le labbra umide. Rivolse un cenno del capo a Ty e si guardò intorno con attenzione, cercandola tra i pochi clienti di quel pomeriggio.

Emma lo stava già osservando, in attesa che si avvicinasse e cercando di non far trasparire alcuna goccia di tensione: poteva ancora sentire le urla con le quali si erano attaccati pochi giorni prima, il loro effetto inaspettato.

Lui si avvicinò lentamente, togliendosi le lenti ed appendendole distrattamente allo scollo della maglietta: spostò la sedia di fronte alla sua e ci si sedette con tranquillità, tirando su con il naso e strofinando per qualche istante le mani grandi sulle proprie cosce, a tradire una vaga impazienza.

Si guardavano in silenzio, come se volessero capire qualcosa prima di dirne un'altra: Emma appoggiò gli avambracci nudi sul tavolo tiepido e si sporse di poco e meccanicamente in avanti. «Dobbiamo chiarire questa storia» esordì a bassa voce, incrociando le gambe sotto il tavolo.

Harry non si mosse, ancora contro lo schienale della sedia e con il viso pulito a fronteggiarla, e non rispose, nonostante i suoi occhi parlassero per lui.

«E siamo adulti ormai, possiamo farlo anche senza urlarci addosso» continuò lei, con studiata lentezza. Quelle non erano parole spontanee, erano parole che aveva precedentemente deciso di pronunciare per iniziare il discorso: mettere le cose in chiaro sin dall'inizio le sembrava una buona tecnica precauzionale.

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