Capitolo ventisei - Paragone

4.5K 147 15
                                    

Capitolo ventisei - Paragone


Nikole camminava lentamente lungo il marciapiede, tra i radi passanti distratti dai loro problemi: sbirciava le vetrine con poco interesse, smorzato dai propri pensieri e dalle parole di Emma, al suo fianco.

«Tu cosa?» Sbottò all'improvviso, voltandosi nella sua direzione e sbattendo le palpebre, come indignata da ciò che aveva appena udito.

Emma indietreggiò appena, stupita da quell'inaspettata ed animata partecipazione al discorso. «Io... me ne sono andata» ripeté, riacquistando sicurezza.

«Perché?» Domandò l'altra corrugando la fronte: aveva smesso di camminare, troppo impegnata a rimproverarla con quello sguardo plumbeo. Non attese una risposta. «Emma, cara,» continuò infatti, rivolgendole un sorriso nervoso e posando le mani sulle sue spalle, «ogni tanto mi fai proprio cadere le braccia».

«Cosa avrei dovuto fare, scusa?» Si lamentò lei, sbuffando e divincolandosi da quel contatto. Si imbronciò, vagamente confusa.

Nikole sospirò e scosse il capo. «Restare lì? Continuare a parlare? Baciarlo? Non so, fartelo in qualche modo?»

Emma le scoccò un'occhiata minacciosa, alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto. «Grandiosa strategia, non c'è che dire» borbottò.

«Sempre meglio che andarsene in quel modo» precisò l'amica, osservandola come in attesa di un cenno di assenso.

Emma aveva appena finito di raccontarle l'accaduto con Harry, risalente ormai a due giorni prima, in cerca di un velato conforto e magari anche di un consiglio. Era convinta che lui stesse aspettando una sua mossa, un suo riavvicinamento, e che non avrebbe ceduto molto facilmente, ma se da una parte lei credeva fermamente che quel diritto non gli spettasse, dall'altra covava un muto sospetto riguardo l'adeguatezza dei propri pensieri: qualcosa continuava a tormentarla, come un tarlo ancora troppo piccolo per essere scovato, ma comunque in grado di apportare fastidiosi danni.

Nikole le aveva appena fornito un indizio per individuarlo.

«Secondo me hai reagito in modo esagerato» continuò, stringendosi nelle spalle ed acquisendo un'aria affettuosa, per quanto accusatoria.

Emma si morse l'interno di una guancia, con una pungente sensazione all'altezza del petto. «È stato istintivo» disse flebilmente, come per giustificarsi a se stessa. La verità era che, da quando era scesa dall'auto di Harry, il dubbio di aver agito con correttezza o meno l'aveva assediata: tutto il suo corpo le aveva urlato di allontanarsi e mettersi al riparo, ma la sua testa si era mostrata caparbia nel volerla costringere a riflettere sulle proprie azioni. Aveva fatto bene a lasciarlo in quel modo? Ad interrompere quel confronto senza nemmeno darsi un'altra possibilità?

«Istintivo non è sinonimo di giusto» le ricordò Nikole, ammorbidendo la sua espressione. Continuò subito dopo, forse notando qualcosa incrinarsi nella sua amica. «Emma, capisco che per te certe cose non siano facili, ma non puoi...» Sospirò. «Harry si è scusato, a modo suo. È stato sincero, ha ammesso di non averti detto di Lea per paura di ferirti... Cosa vorresti di più? È vero, non è stato onesto sin da subito, ma l'ha fatto per te e tu dovresti apprezzarlo, invece di tenere in considerazione solo quello che ti spaventa di più.»

Cosa vorresti di più?

Emma si incupì appena, intenta a rielaborare quelle parole: non le erano nuove, o almeno non lo erano per il suo inconscio. Avrebbe voluto che non fossero così vere, avrebbe voluto non sentirsi in colpa per un errore dettato ancora una volta dai suoi timori, ma non poteva fuggire ancora a lungo da quella consapevolezza.

High hopesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora