Capitolo dieci - Time out
«Anche io voglio andare a giocare!» Protestò Camille, imbronciando il suo viso tondo e facendo oscillare le sue gambe magre dalla sedia troppo alta. Portava i fini capelli biondi in due trecce ordinate, che quasi contrastavano con la ribellione nei suoi occhi bruni e determinati.
Emma si sedette al suo fianco, gettando una veloce occhiata a Susan, nell'altra stanza, che aveva iniziato a giocare con le sue bambole. «Potrai farlo anche tu, quando avrai finito i compiti» rispose con pazienza, indicando con un cenno del capo il quaderno che la bambina aveva di fronte a sé, sul tavolo della cucina.
«Ma i miei sono più difficili!» Insistette Camille, torturandosi le labbra della bocca piccola e rosea.
«Non si dicono le bugie» esclamò Emma, sospirando stancamente. «Pensi che mi sia dimenticata che andate in classe insieme?»
«Non è giusto» borbottò lei, smorzando la decisione nella sua voce.
«Dovresti fare come tua sorella» le consigliò Emma. «Se al posto di lamentarti ogni cinque minuti ti fossi concentrata, a quest'ora avresti già finito tutto.»
La bambina non ribatté, ma sbuffò impugnando malamente la penna cancellabile ed iniziando a leggere ad alta voce l'esercizio di matematica. La voce spensierata di Susan a disturbare il silenzio della casa.
Erano appena le sei del pomeriggio ed il turno di lavoro di Emma sarebbe durato ancora per tre ore: paradossalmente quella dei compiti scolastici era la parte più rilassante, se paragonata ai capricci per la cena e a quelli caratteristici del momento di spegnere le luci e andare a letto.
Si passò una mano sul volto e sbadigliò, abbandonandosi contro lo schienale della sedia: sul tavolo in legno scuro lo schermo del suo cellulare si illuminò senza far rumore, segnalando l'arrivo di un SMS.
Un nuovo messaggio: ore 18.03
Da: Pete!Calciatore mancato
"Kent, tra una settimana mi tolgono il gesso: mi accompagni? Ah, ti saluta Dallas"
Emma fissò quelle poche parole con astio, alzando gli occhi al cielo.
«Camille: cinque più tredici non fa diciassette» disse nel mentre, seguendo distrattamente i calcoli della bambina pronunciati ad alta voce.
Messaggio inviato: ore 18.05
A: Pete!Calciatore mancato
"Primo: sì, ti accompagno. Secondo: PIANTALA di chiamarmi Kent. Terzo... Il deficiente è tornato in città?"
Non capiva con quale faccia tosta Dallas potesse inviarle i suoi saluti e sperava che Bradford non fosse interessata da un altro ritorno inaspettato.
Si era trasferito a Manchester nemmeno dieci mesi prima, per continuare la convivenza con Ruth nella sua città natale: non che fosse stato quello il motivo del loro allontanamento, dato che il loro rapporto si era logorato nemmeno un anno dopo la maturità. Emma non aveva mai pensato che lui potesse essere il tipo di ragazzo che è disposto a rovinare un'amicizia pur di non compromettere la propria relazione, soprattutto perché non aveva mai creduto che la loro amicizia avrebbe mai potuto compromettere qualcosa.
Eppure, quando Dallas si era innamorato della sua nuova vicina di casa, Ruth Deily, e quando lei aveva iniziato a temere la presenza di Emma, lui aveva cambiato comportamento: sicuro che, quella che avrebbe dovuto essere la sua migliore amica, non l'avrebbe mai abbandonato per alcune difficoltà, si era preso la libertà di allontanarla sempre di più, arrivando persino a fingere che tra di loro si fosse interrotto qualsiasi rapporto. E se Emma da una parte non se ne capacitava, trovando assolutamente ingiusto il suo comportamento sia nei propri confronti sia in quelli di Ruth, dall'altra aveva cercato di accettare quella nuova situazione, mettendo al primo posto la felicità di Dallas. Presto o tardi, però, gli incontri segreti ed il proprio numero salvato in rubrica sotto falso nome avevano iniziato a starle stretti.
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High hopes
RomanceSequel della storia "Little girl". Estratto: "«Respiri, quando sei con lui?» Lo ami? «Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per...