Capitolo quindici - Tutto quello che vuoi

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Capitolo quindici - Tutto quello che vuoi


Contraddittoria.

Nella sua testa non avrebbe potuto scovare un aggettivo più appropriato da affibbiarsi, anche con una punta di intimo disgusto. Nessuna definizione le sarebbe calzata così a pennello, descrivendo perfettamente l'insita lotta che la stava dilaniando.

Era contraddittoria ed era solo colpa di Harry.

Gli aveva chiesto di lasciarle del tempo, dello spazio, qualsiasi altra dimensione avesse potuto nominare, e l'aveva fatto numerose volte, come un disco rotto incapace di procedere oltre. Eppure erano passati due giorni, Harry era svanito nel nulla e lei era infastidita.

La stizza le irrigidiva i pugni chiusi improvvisamente, durante la giornata, e lei si intestardiva nel disprezzare quella sua incoerenza: perché, se poteva dirsi finalmente libera di godersi la solitudine tanto ricercata e l'opportunità di recuperare una certa dignitosa integrità, si sentiva anche irrimediabilmente irritata dal fatto che Harry l'avesse presa in parola e avesse cessato ogni tentativo di contatto.

Non perché necessitasse delle sue attenzioni, ovviamente, ma semplicemente perché la sua vanità – ormai fedele compagna quando si trattava di ergere delle giustificazioni - le reclamava, troppo a lungo stuzzicata dalla loro presenza ed infine abbandonata all'improvviso. Non poteva neanche metterla su un piano personale: in fondo i suoi sentimenti non erano mutati, anzi, non erano nemmeno sentimenti. Continuava a ripetersi che fosse naturale sentirsi nostalgici nei confronti di piccole e sfrontate accortezze, soprattutto in un momento di tale fragilità: chi non avrebbe rimpianto i modi provocanti di Harry?

E no, non voleva davvero un riavvicinamento, l'ennesima violazione del suo spazio vitale, ma sarebbe stato più giusto sostenere che non le sarebbe affatto dispiaciuto, se lui si fosse mostrato sfacciato ancora una volta: l'avrebbe subito rimproverato e magari avrebbero di nuovo litigato, ma almeno il suo ego avrebbe avuto delle briciole delle quali saziarsi, dopo aver assaggiato dimostrazioni ben più sostanziose.

Terribilmente contraddittoria.

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La febbre che l'aveva praticamente allettata nei giorni precedenti si era rivelata effimera e di breve, ma intensa durata. Emma, dopo quarantotto ore di riposo, si poteva definire in forma e solo vagamente raffreddata: unico rimasuglio della fronte bollente era la sua voce ancora un po' nasale.

Quel giovedì era tornata di nuovo all'università, nonostante avrebbe preferito darsi ancora per malata: aveva delle lezioni importanti ed i suoi genitori, che proprio non riuscivano ad accettare la sua quasi totale indipendenza, non avrebbero taciuto riguardo la sua uscita pomeridiana con Melanie. "Se sei malata per non andare all'università, allora lo sei anche per lo shopping" le avrebbero detto.

Melanie era passata a prenderla alla fine delle lezioni, nel primo pomeriggio: avevano vagato per la città per qualche ora, affrontando argomenti leggeri e comprando sciocchezze che in realtà non servivano, ma che funzionavano comunque da distrazione. Emma conosceva lo sguardo cauto della sorella, quello con il quale le voleva far capire di sapere, ma di non osare chiedere: per questo era determinata ad ignorarlo, almeno ancora per un po'.

«Entriamo qui?» Propose invece, indicando con il capo una gioielleria intima, ma ben rifornita.

Melanie alzò un sopracciglio ed annuì senza fare domande, troppo ingenua e di buone intenzioni per poter sospettare di essere caduta in qualcosa di simile ad un piano.

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