Capitolo venticinque - Nessuno così
Piangersi addosso non era mai stata una sua prerogativa, qualcosa di cui andare fiera. Aveva sempre trovato inutile e deleterio il crogiolarsi nei propri problemi in attesa di una soluzione: sempre, anche quando non riusciva a fare altro ed era costretta ad assumere l'atteggiamento che tanto criticava.
Era ora di smetterla.
Harry l'aveva ferita e lei lo aveva allontanato, scappando dal problema e logorando i propri pensieri intorno a mille debolezze: non avrebbe più continuato ad esercitare un ruolo così passivo. In fondo, se disprezzava tanto l'Emma che era diventata, toccava solo a lei fare qualcosa per rinnovarsi e rinforzarsi: nessuno avrebbe potuto farlo al posto suo, nessuno avrebbe potuto smuoverla senza una sua predisposizione al cambiamento.
Per questo motivo, la mattina dopo chiese ad Harry di raggiungerla all'università, una volta terminate le lezioni: non voleva più fuggire dalle proprie ferite, ma affrontarle apertamente ed accettare qualsiasi conseguenza.
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L'auto di Harry era parcheggiata dall'altra parte della strada, in ombra dal sole pallido di ottobre: Emma la raggiunse a passo svelto, stringendo con una mano la cinghia della propria borsa e sistemandosi i capelli vagamente arruffati per l'umidità. Il suo cuore scalciava nella cassa toracica, intimorito dalla sua determinazione: le ordinava di tornare indietro, di proteggersi.
Salì al posto del passeggero sbarazzandosi di un sospiro silenzioso: prima ancora di posare gli occhi su Harry, sentì il suo profumo accoglierla con prepotenza, ricordandole che l'ultima volta che l'aveva percepito erano ancora tra le stesse lenzuola.
Si schiarì la voce e si inumidì le labbra, stringendosi le mani sul proprio grembo: quando si voltò nella sua direzione, con una forzata decisione, lo trovò ad osservarla seriamente. Il cipiglio sulla sua fronte leggermente accentuato e la bocca serrata, forse nel tentativo di non parlare troppo presto. Era ovvio che presagisse qualcosa di strano, di minaccioso, ed era altrettanto ovvio che fosse spazientito dal silenzio di Emma e dal modo in cui l'aveva ignorato per più di dodici ore: non tentò di salutarla, né di avvicinarsi per imitare almeno pallidamente l'intimità che solo un giorno prima avevano condiviso.
Per pochi istanti nessuno parlò, sottolineando una tensione sbilanciata e non compresa da entrambe le parti. Poi Harry girò la chiave nel cruscotto ed il motore si accese placidamente.
«No» lo fermò Emma, prima che lui potesse inserire la marcia. «Restiamo qui» lo informò: non era stato un invito, ma un metterlo al corrente di una decisione irremovibile. Non aveva intenzione di allontanarsi con lui e di litigare chissà dove – perché sarebbe sicuramente successo: preferiva rimanere in quell'esatto punto, dove la sua determinazione non aveva tempo per dissolversi.
Harry corrugò la fronte e mise a tacere la propria auto, con gesti lenti. La scrutava con un'espressione confusa, ma anche irritata dal non capire: era stranamente preoccupato.
Lei inspirò a fondo ed ignorò i brividi sulle braccia. «Perché non mi hai detto di aver fatto sesso con Lea?» Chiese soltanto, senza distogliere lo sguardo dalle sue iridi: nonostante fosse piuttosto doloroso, non voleva perdersi nemmeno una loro sfumatura, nulla che avrebbe potuto aiutarla in quella discussione.
Il viso di Harry si rilassò, come scoperto della sua maschera: schiuse le labbra e per un istante si voltò a guardare fuori dal finestrino. Quando tornò su di lei, si passò una mano tra i capelli. «È stata lei a parlartene?» Ribatté, serrando la mascella per un'irrequietezza improvvisa e fastidiosa. Evidentemente avrebbe preferito che quel particolare scomodo fosse rimasto un segreto.
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High hopes
RomanceSequel della storia "Little girl". Estratto: "«Respiri, quando sei con lui?» Lo ami? «Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per...