Capitolo quattordici - Violazione di domicilio
Il materasso si modellò sotto il peso di un'altra persona ed Emma aprì con difficoltà gli occhi, confusa. Si portò una mano alla fronte e se la massaggiò, prendendo nota del dolore alle tempie e della pigrizia di tutti i suoi muscoli.
«Bella addormentata, è ora di svegliarsi» annunciò una voce.
Emma si voltò a pancia in su e vide Pete completamente sdraiato alla sua sinistra, con un braccio piegato dietro la testa: gli occhi cerulei sullo schermo del proprio cellulare ed i capelli tagliati da poco.
«Cosa vuoi?» Borbottò lei, abbandonando di nuovo il capo sul cuscino.
«Sono venuto ad accertarmi che fossi ancora viva, dato che non ti sei fatta vedere per accompagnarmi in ospedale» spiegò Pete con voce piccata. «E a proposito, grazie per avermi dato buca.»
Si era completamente dimenticata di quell'impegno.
«Credo di avere la febbre» si giustificò soltanto, tirandosi le coperte sopra il volto.
«Ed io credevo di avere un'amica» protestò lui svogliatamente, facendola sorridere di nascosto.
«Mi dispiace davvero» si scusò, tornando a guardarlo.
«Non è vero» la contraddisse, spostando su di lei gli occhi saccenti. «In realtà ti è piaciuto riposare il culo nel tuo bel lettino.»
Emma sbuffò e si passò una mano sul viso: non sapeva nemmeno che ore fossero, né come avesse fatto ad essere così egoista da tralasciare la promessa fatta a Pete. Alzò il capo quanto bastava per controllare se il suo amico avesse rimosso il gesso e sorrise quando notò la sua gamba ormai libera da qualsiasi impedimento.
«Da chi ti sei fatto accompagnare?» Indagò voltandosi su un fianco.
«Ho chiamato mio padre» rispose Pete, stringendosi nelle spalle e sistemandosi meglio.
«Perché non hai chiamato me, per buttarmi giù dal letto?» Domandò, allungandosi oltre il suo corpo per recuperare il proprio cellulare dal comodino. Quando sbloccò lo schermo, si accorse di numerose chiamate perse e di diversi messaggi non letti: la suoneria era disattivata.
«Credi davvero che non l'abbia fatto?»
Sospirò di nuovo.
Scorrendo tra le varie minacce di torture fisiche e morti atroci, gentilmente inviate dal suo amico in attesa, scorse un messaggio che non proveniva dal suo numero di cellulare.
Mi manchi adesso.
«Cazzo» disse soltanto, chiudendo gli occhi.
«Che c'è?» Chiese subito Pete, rubandole il telefono dalle mani e spiando la causa di quella sua reazione. Subito dopo, inclinando le labbra sottili in un sorriso sornione, si lasciò scappare un respiro più profondo ed eloquente. «Si chiama karma, mia cara.»
Emma afferrò il cuscino e glielo lanciò sul viso.
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Dire che una persona ti manca non è una cosa da niente. Ha un significato, ha delle conseguenze e soprattutto dei vincoli: non puoi ammetterlo e poi scappare, né puoi contraddirti o rimangiarti quelle poche parole. Perché in fondo le parole non contano come i fatti, ma a volte contano molto di più: hanno un peso, un peso insistente che può rappresentare una condanna ed un sollievo, un peso che non puoi scrollarti di dosso perché ti schiaccia e tu non hai abbastanza forze per liberartene.
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High hopes
RomanceSequel della storia "Little girl". Estratto: "«Respiri, quando sei con lui?» Lo ami? «Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per...