Capitolo 14

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Tentai di calmarmi, provai a respirare in modo regolare, dovevo tornare stabile altrimenti sarei venuta sul prato.

In più ho una paura tremenda di commettere lo stesso errore, di non poter proteggere quella meravigliosa creatura che sta crescendo in me.

Inizio ad avere una fame incredibile e quando tocco il letto crollo, non c'è niente che mi svegli o mi aiuti a restare almeno dieci minuti sveglia.

Jeremiah ride molto su questa cosa, dato che io mi infastidisco.

"Torna indietro!"
Mai era stato così furioso, mai i miei occhi avevano visto tanta rabbia ardere in lui.

Colui che era stato l'unico raggio di sole fino a poco tempo fa.

Non lo ascoltai, proseguì per la mia strada, cosa che avrei sempre fatto.

"Fermati!
Non puoi farmi un torto come questo"
Gridava e se qualcuno ci avesse scoperti, non si sarebbe conclusa bene la serata e forse neanche la nostra vita avrebbe avuto una degna fine.

"Smettila Luca!
Ci sentiranno"
Gridai a mia volta, colpita dalla paura di essere sentita, così iniziai a sussurrare sempre più.

Mi fermai, per poterlo guardare e magari se l'avessi assecondato si sarebbe calmato.

E così fu.

Vidi poco a poco il suo animo rasserenarsi, lo vidi ritornare in se stesso e prendere il controllo.

"È vero?"
Finsi di non capire, non ricordavo nulla, sebbene significhi annullare l'esistenza di lui per qualche secondo, temo che la verità sia troppo forte per Luca.

"Cosa?
Non capisco"
Balbettai, l'ansia fece accelerare il mio battito e il mio petto si alzava e abbassava ad un ritmo mai visto.

Da lì a poco i miei polmoni avrebbero preso fuoco, li sentivo irrigare i sempre più, ad ogni respiro.

"Ho visto, la sua mano sulla tua pancia ancora piatta, come vi guardavate, con quanta alchimia adesso vi parlate e collegando gli elementi di quando e come mi hai lasciato... beh non sono di certo scemo"
Aveva capito, è così intelligente, era strano se non avesse intuito niente.

Sospirai, mentirgli ancora sarebbe stato inutile.

Dovevamo accettarlo.

Luca doveva accettare la verità ed io trovare il coraggio di parlare, alla fine io non mi vergognavo di niente.

"Si, è così"
Abbassai il viso.

Non aprì bocca.
Non un minuto dopo.
Non due minuti dopo.

Tre minuti dopo, tra sbuffi, scatti di rabbia, parlò.

"Devi essere contenta no?
In questo genere di situazioni dovrei farti gli auguri, no?"
Annuì.

Con un semplice gesto, non capì se era arrabbiato o meno, se fingeva o no.

Allargò di poco le braccia ed io mi ci fiondai.

Vivere senza di lui non era la stessa cosa.



Il Segreto Dell'illegalità 2.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora