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Il cinque Giugno arrivò come uno schiaffo in pieno viso, cogliendomi alla sprovvista. Avevo messo in valigia, qualsiasi cosa avesse potuto ricordarmi Los Angeles. Volevo sentirmi a casa, anche se fossi stata a chilometri di distanza. Mi svegliai con un dolore lancinante alle tempie, che mi costrinse a metterci più del dovuto a scendere dal letto. Non ci badai troppo, anzi avrei preferito perdere il volo piuttosto che passare tre mesi in quel letamaio.

"Margot, ti conviene sbrigarti se non vuoi che ti venga a prendere con la forza" sentii la mamma urlare dal piano di sotto.

Sbuffai sentendomi messa sotto pressione e velocizzai i miei movimenti, pettinai delicatamente i capelli e mi vestiti con accuratezza, nonostante stessi andando in una fattoria. Mi guardai allo specchio prima di decidermi a scendere quelle scale, che mi avrebbero condotta alla gogna.

"Vi prego, fatemi restare qui" cercai di dire sfoderando le mie doti d'attrice, che però non diedero il risultato che desideravo.

Sapevo di aver esagerato e di essermi comportata male, ma sapevo anche che mi stavano spedendo dalla nonna a causa di Jordan. Quello stronzo meschino attoruccio da quattro soldi, era tutta colpa sua. Che possa marcire all'inferno.

"Fila in macchina" esclamò papà dandomi una piccola spinta.

Lo guardai di sbieco e camminai lentamente uscendo di casa. Tom mi stava aspettando in auto e con lui la mia nuova vita in Tennessee. Salii andando a sbattere con la fronte contro il tettuccio ed imprecai mentalmente. Mamma e papà si misero a sedere di fronte a me, nei loro abiti succinti. Non avrei sprecato altro fiato per convincerli, non sarebbe servito a niente.

"Così Jordan sarà il protagonista del tuo prossimo film?" chiesi guardandomi le unghie accuratamente smaltate di bianco.

Vidi papà irrigidirsi e scostarsi il ciuffo dalla fronte, stava indossando i suoi occhiali da sole Givenchy, un chiaro segno che non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Sperai vivamente che fosse a causa dei suoi molteplici sensi di colpa.

"Ah hai saputo" disse spostando lo sguardo fuori dal finestrino.

Io annuii e gli sorrisi falsamente, mentre la mamma con i suoi occhi tirati, spostò lo sguardo da me a lui. Mi ero sempre chiesta come avesse fatto ad innamorarsi di mio padre, era una persona che pensava solo a se stessa, ci metteva sempre in secondo piano, e a casa non c'era mai. Forse era stato il fascino di tutti quei soldi che gli cadevano dalle tasche.

"Dammi le tue carte di credito, porterai con te solo il documento di identità" esclamò la mamma ammiccando in direzione della mia borsetta.

Risi scuotendo la testa, quella situazione era diventata imbarazzante.

"Ma certo, cosa potrei mai comprare in una squallida fattoria? " dissi stizzita.

Recuperai svogliatamente le mie carte di credito e gliele porsi con violenza. Forse avrei dovuto smetterla e mi sarei dovuta rassegnare al fatto che la mia vita sarebbe cambiata nel giro di qualche ora. Quando vidi stagliarsi di fronte a me l'aeroporto, cominciai a sudare. Non ero pronta ad abbandonare la mia vita mondana. Non volevo. Entrammo a grandi passi in quel posto gremito di gente, imbarcammo le valigie ed aspettammo che la voce metallica, annunciasse il mio volo. Quando lo fece, lo stomaco prese insistentemente a vorticare su se stesso.

"Margot, fa attenzione" esclamò la mamma "Verrà a prenderti zia Margaret" spiegò dandomi un abbraccio.

Non ricambiai la sua stretta, perché ne lei ne mio padre meritavano tutta quella importanza. Erano due persone meschine, che mi stavano abbandonando come quando Loren abbandonò il suo chihuahua sul ciglio della strada, per provarci che avrebbe ritrovato da solo la strada di casa. Ma in realtà non tornò più. Io invece, sarei tornata perché non ero fatta per quel posto. Si sarei tornata ne ero sicura.

Dejame ser tu luz // Christopher Velez Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora