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Papà venne a prendermi a New York, il cielo era plumbeo di nuvoloni che mi misero i brividi. Avevo gli occhi secchi e le mani che si stavano trascinando dietro, quello che rimaneva del Tennessee. Per tutto il viaggio avevo guardato con insistenza le foto che io e Christopher ci eravamo scattati insieme, ed una violenta nostalgia si prese gioco di me.

"Tesoro dai muoviti" urlò papà camminando davanti a me.

L'aeroporto era pieno di gente che correva a destra e a manca, e poi c'ero io. Che avevo lo sguardo spiritato, i vestiti sgualciti ed i capelli in disordine. Probabilmente sembravo una scappata di casa, ma proseguii guardando sempre davanti a me.

Ad aspettarci c'era un'autista che non avevo mai visto prima. Salii in auto ed attesi che papà facesse lo stesso. Ma no. Non lo fece.

"Che c'è? Non vieni?" Dissi abbassando il finestrino.

Si voltò verso di me e si aggiustò la cravatta al collo, forse gli stava troppo stretta. Da quando la mamma non c'era, aveva dovuto addirittura imparare a farsi il nodo da solo.

"No, ho da fare delle commissioni" esclamò indicando i fogli che aveva in mano.

Annuii e senza dirgli niente, alzai il finestrino. Volevo starmene da sola. Anzi, volevo tornare indietro e prendere il primo aereo che mi avrebbe portata da Christopher.

Chissà cosa diavolo stava facendo.

Presi il cellulare dalla tasca e gli mandai un messaggio, poi mi misi comoda e chiusi gli occhi.

***
"Signorina?" Mi sentii scuotere per una spalla, sobbalzai e mi sistemai sul sedile dell'auto.

Guardai fuori e la pioggia battente, mi mise i brividi. In quel posto l'estate sembrava già spazzata via. E a me la cosa non piaceva per niente.

"Siamo arrivati, le ho già portato i bagagli in dormitorio" esclamò l'uomo che avevo davanti.

Avrei voluto urlargli in faccia, dirgli che era uno stronzo per avermi portata lì, ma lui non aveva nessun tipo di colpa. Stava solamente lavorando per mio padre. Gli sorrisi falsamente e con uno scatto aprii la portiera. Non appena misi piede fuori, l'acqua mi bagnò dalla testa ai piedi, rinfrescandomi la mente.

Un lampo mi portò a quella sera, in cui Christopher sotto la pioggia, mi aveva promesso che sarebbe andato tutto bene, che mi avrebbe protetta da Erick, che non gliene importava niente della mia vita a Los Angeles. Mi poggiai alla macchina e mi sfregai gli occhi, quando li riaprii l'uomo che mi aveva portata fin li, mi poggiò addosso tutto il suo sguardo.

"Si sente bene?" Chiese portando l'ombrello sopra la mia testa.

No.

Non mi sentivo bene, non sentivo niente. Tranne quel grande frastuono che erano diventati i miei pensieri. L'erba che avevo intorno era tagliata alla perfezione, le stradine asfaltate conducevano tutte al grande palazzone che avevo davanti. Probabilmente vecchio di qualche secolo. La pesantezza di quel posto mi si poggiò sulle spalle non appena vi entrai.

Dei lunghi corridoi si diramavano di fronte a me. La luce gialla rendeva quel posto più tetro di quanto non lo fosse già. E una marea di studenti, si accalcavano per raggiungere chissà quale posto.

"La sua stanza è la C19" l'autista mi porse le chiavi e con esse un foglietto ripiegato "Per qualsiasi cosa mi chiami a questo numero" esclamò indicandolo.

Io annuii e dopo averlo salutato con noncuranza, mi misi in cerca della mia stanza. Dovunque poggiassi gli occhi, mi sembrava di stare in un film dell'orrore. Le porte erano tutte uguali, le mura bianco sporco, le bacheche non venivano aggiornate da qualche mese e la polvere si era rintanata negli angoli, al di sotto dei battiscopa. Quando C19 scritto a caratteri cubitali si mostrò davanti a me, esitai per qualche minuto prima di aprire la porta.

Questa era immersa nel buio più totale, quindi non appena tracciai con lo sguardo l'interruttore lo alzai. Una luce giallognola mi diede fastidio agli occhi, ma poi fissai i due letti posti uno di fronte all'altro, i due armadi di fronte a questi e due scrivanie. Una era disordinata, mentre l'altra vuota. Entrai trascinandomi dietro i bagagli e mi buttai sul letto. Misi le mani alle tempie, che stavano pulsando come non mai e sbuffai.

La vibrazione del mio telefono però, mi riporto alla realtà. Lo cacciai dalla tasca in tutta fretta e quando lessi il suo nome sullo schermo, il cuore cominciò a pulsare più forte.

-Mi manchi anche tu- 

Diceva.

Mi si formò un nodo in gola, che con fatica cercai di ricacciare indietro. Non risposi e mi alzai, dovevo sistemare le mie cose, se avessi perso del tempo a pensare a Christopher, non ne sarei più uscita. Così aprii le ante dell'armadio e ci ripiegai dentro i vestiti. Ero completamente assorta, quando qualcuno mi pizzicò una spalla.

Sobbalzai e mi voltai bianca cadaverica. Di fronte a me una ragazzina dai capelli blu, stava cercando di catturare la mia attenzione. Poggiai una mano sul cuore e chiusi gli occhi.

"Oh scusami" disse accorgendosi del danno fatto.

Le lanciai un'occhiataccia e la sorpassai.

"Sono Mindy" esclamò porgendomi la mano.

Non avevo la minima voglia di fare conoscenza con nessuno, né tantomeno perdere il mio tempo con queste matricole del cazzo. Volevo il Tennessee.

"Margot" dissi solamente.

Il mio malumore si poteva palpare con le dita, ma non cercavo di nasconderlo. Anzi era meglio che questa Mindy sapesse fin da subito che, doveva starmi alla larga.

"Oh ehm, sono qui da qualche giorno, ho già fatto amicizia e stasera c'è una festa" spiegò "Perché non ci vieni? Così ti faccio conoscere gli altri, visto che dobbiamo condividere la stanza" alzò le spalle e mi regalò un sorriso.

Quei capelli blu mi facevano venire il voltastomaco, e quei vestiti orrendi mi accecavano.

"No" gli gettai quella risposta dritta in faccia.

Si andò a sedere sul suo letto sgualcito, e tenne lo sguardo sulla mia figura per tutto il tempo. Non mi metteva in soggezione, mi stava solo facendo imbestialire.

"Il tuo ragazzo ti ha mollata?" Chiese d'un tratto.

Drizzai la schiena e poggia le mani sulle ginocchia, le scarpe potevano aspettare. Mi voltai verso di lei e le regali un'occhiata truce. Doveva starsene zitta.

"Senti, te lo dirò solo una volta" dissi calma "Non rivolgermi la parola, ne ora né mai" alzai la voce, mentre la porta della stanza con un tonfo venne spalancata da qualcuno.

Girai il capo verso di questi e rimasi in silenzio. La sua camicia bianca era perfettamente stirata, i suoi pantaloni blu notte si fermavano perfettamente là dove la scarpa cominciava ad avvolgergli le caviglie, i suoi capelli castano chiaro gli ricadevano perfettamente su di un lato della faccia, coprendogli gli occhi scuri ed il naso perfetto.

Smisi di respirare.

"Mindy sei pron.." la sua frase venne spezzata a metà, quando i nostri occhi si incrociarono.

"Oh ciao Chris" esclamò la mia compagna di stanza.

A quel nome sobbalzai e mi scostai i capelli dalla fronte, dovevo ancora sembrare una disperata, visto che non mi ero nemmeno degnata di farmi una doccia.

"Lei è Margot" il ragazzo che avevo di fronte fece alcuni passi, mi porse la mano e quando gliela strinsi un brivido mi percorse la schiena.

"Ciao Margot, io sono Christian" esclamò mostrandomi i denti bianchi.

Sorrisi anch'io, mentre il cellulare sul letto non smetteva di squillare.

Dejame ser tu luz // Christopher Velez Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora