24.

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La mia camera sembrava una discarica, c'erano vestiti dappertutto. Non riuscivo a spiegarmi come fossi riuscita a mettere tutta quella roba nelle mie valigie, solo qualche mese prima. Sbuffai e mi misi seduta per terra, fissai le pareti accorgendomi solo adesso quanto fossero bianche e, soprattutto quanto mi avessero fatto compagnia in quei giorni.

Poi passai in rassegna alle finestre di legno, dalle quali pendevano due tendine azzurre. Il parquet lucidato dalla nonna, e quella scrivania che mi sarebbe mancata. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ed il cuore ebbe una scossa. Così mi alzai e cominciai a piegare tutto con cura, aprii una delle valigie ed inizia a mettere la biancheria in una delle tasche, quando mi accorsi di quella busta gialla.

La stessa che quel cinque di giugno avevo odiato con tutte le mie forze e, che ora avrei conservato gelosamente in una piccola porzione del mio cuore. La presi tra le mani e la portai al petto, potevo ancora sentirne l'odore del profumo che indossavo. Potevo sentirne la rabbia e la frustrazione. Ma poi tutto spariva quando davanti agli occhi, mi si presentavano i suoi.

Christopher.

"Posso?"

Mi voltai verso la porta, era lì poggiato allo stipite nei suoi pantaloni stravaganti. Le mani alle tasche ed i capelli aggiustate perfettamente su di un lato della fronte. Gli sorrisi ed annuii.

"Che ne dici di fare una pausa?" Chiese scostandomi un ciuffo dal collo.

Sbuffai e mi misi a sedere sul letto.

"Non posso Chris, hai visto in che casino sono?" Esclamai puntando il dito sulla roba sparsa per il pavimento.

Lo vidi mordersi un labbro e mettersi accanto a me, mi poggiò una mano sulla mia e mi diede un bacio su di una tempia.

"Mi manchi già" disse abbassando lo sguardo.

Avrei voluto portarmelo dietro, metterlo in valigia e tenerlo con me.

"Abbiamo ancora qualche giorno" esclamai "Sai cosa? Usciamo, non mi importa di tutti questi vestiti" i suoi occhi si illuminarono e mi fecero sentire meglio.

***
Avevamo le mani intrecciate, non gliel'avrei lasciata per nessun motivo al mondo. Lui stava bevendo un frappé al cioccolato ed io, invece, ne avevo scelto una alla frutta. Il parco giochi era pieno di bambini, gli stand attiravano tanta gente ed io e lui camminavamo come se stessimo da soli.

Ogni tanto lo guardavo di nascosto, i suoi orecchini lo facevano sembrare un bambino. Quando si accorgeva dei miei occhi, sorrideva e scuoteva la testa, forse non ci era ancora abituato, o si sentiva in imbarazzo. Sta di fatto che lo avrei guardato sempre, per memorizzarne tutti i particolari.

Come la vena sul collo, o le rughe intorno agli occhi. La bocca a cuore, che quando si increspava diventava più rosa, o il naso che scendeva all'ingiù. Quei piccoli accorgimenti li avrei portati con me.

"Smettila di fissarmi come se fossi una pervertita" esclamò d'un tratto.

Risi e mi fermai, facendo fermare anche lui.

"Il fatto è che sei troppo bello, ed i miei occhi non resistono al tuo fascino" recitai facendo una smorfia.

Amavo farlo ridere, forse era la cosa che mi riusciva meglio. Nonostante fossimo così diversi, ci completavamo a vicenda. Poggiò la bocca sulla mia e mi baciò dolcemente.

Poi continuammo a camminare. C'erano diversi negozi di piccole dimensioni, cosa molto rara a Los Angeles. Stavo imparando ad apprezzarli, ma d'un tratto mi fermai di nuovo. C'era un'insegna nera, dai led rossi con su scritto "tattoos" la fissai a lungo, prima di voltare lo sguardo verso Christopher.

Dejame ser tu luz // Christopher Velez Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora