Il Divo

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L'ascensore si fermò e le porte si aprirono. Davanti a loro si parò un corridoio stretto e poco illuminato, alla cui fine si trovava una porta.
Era una vecchia porta di quelle in cui devi inserire un codice per poterle aprire. Tony tirò prontamente fuori un foglietto dalla tasca posteriore dei pantaloni e digitò le quattro cifre. Entrarono in silenzio, la stanza era completamente immersa nell'oscurità. Lena, però, riusciva ad avvertire i movimenti scoordinati di Tony che cercava un interruttore.
Non ci volle molto prima che lo trovasse. Le lampadine iniziarono ad accendersi una a una, illuminando mano a mano ogni parte del piccolo archivio di Howard Stark. "Piccolo" si fa per dire: non era certo grande come quello del conservatorio, ma, considerando che si trattava di un solo artista, non era niente male. Era un'ampia sala le cui pareti erano interamente coperte di dischi in vinile e pellicole, al centro si trovava un divano il cui retro era occupato da un proiettore e di fianco aveva un vecchio giradischi. Era a tutti gli effetti una sala hobby, una gigantesca sala hobby.

Lena si sentiva come un bambino in un negozio di caramelle.
Corse subito a osservare i dischi sul muro a lei più vicino, erano disposti in ordine alfabetico-cronologico, proprio come piacevano a lei.

«Non ci posso credere!» esclamò entusiasta. «Ci sono tutti! Anche il Macbeth del 1967!»

Tirò fuori un paio di vinili, facendo la massima attenzione a non rovinarli.
Tony invece sembrava molto più attratto dai video. Ne prese uno e lo montò sul proiettore.

«Non preferiresti ascoltarlo?» gli chiese lei, quasi offesa.

«Preferirei inquadrarlo come persona prima» rispose lui, spegnendo la luce e stravaccandosi sul divanetto.
Lena gli si sedette a fianco riluttante, stringendosi i dischi al petto, quasi temendo che potesse perderli nel breve tragitto.
Il video partì.

Era un video palesemente amatoriale, girato su una di quelle piccole cineprese che andavano molto negli anni Settanta.
La prima inquadratura mostrava un camerino disordinato: vestiti e costumi di scena erano buttati un po' dappertutto e una gigantesca pila di essi compariva nel centro della stanza.

«Cosa stai riprendendo?» fece una voce fuori campo. Era una voce maschile, profonda e delicata allo stesso tempo. La cinepresa si voltò di scatto a inquadrare un uomo alto dai capelli rossi con un sorriso sardonico dipinto sul volto, Reinholdt ovviamente.
Tony si accorse subito che quello che aveva scambiato per un neo sotto l'occhio sinistro era in realtà una vistosa voglia rossa.

«Il disordine!» rispose una voce femminile: "il regista" del video. «Guarda che disastro! È per lasciarlo alle generazioni future! Reinholdt Zola: l'uomo più disordinato al mondo!»

Lena la riconobbe subito e quasi non saltò giù dal divano: era Maria Callas.
Reinholdt scoppiò a ridere e si diresse verso l'ammasso di vestiti, per mettersi perfettamente davanti a esso. L'inquadratura lo seguì.

«Lasciamolo ai posteri, allora» disse, allargando le braccia, sempre sorridendo. «Anno del signore 1973! L'Opera di New York non è capace di preparare un costume di scena per il suo primo tenore, il quale si ritrova costretto a rovistare negli avanzi degli anni precedenti» concluse, lanciando verso Maria un indumento raccolto dalla pila.

Lena trasalì.
«Oddio! È il porpora-gate!»

«Il che?-» Tony non fece in tempo a finire la domanda che l'inquadratura era di nuovo cambiata. Adesso il tenore era circondato da uno stormo di sarte, che cercavano di mettere insieme un indumento civile. Reinholdt aveva un'espressione scocciata stampata sul volto.

«Per l'amor di Dio!» esclamò, girando gli occhi al cielo, prima di rivolgersi alla donna che si stava occupando della manica destra. «Non vedi che è di un altro colore rispetto all'altra?»

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