Differenze Inconciliabili

60 6 59
                                    


Con il senno di poi, Nick Fury si rese conto che gli indizi sulla vera natura di Reinholdt Zola erano stati molti e, alle volte, fin troppo evidenti.
La sua misteriosa capacità di bere senza mai ubriacarsi, l'apparente indistruttibilità, la sua bizzarra tendenza a scomparire per giorni e il fatto che sembrava conoscere molte persone di potere, persone dal passato più o meno torbido che si giostravano su quella sottile linea che divide l'illegalità da ciò che avviene alla luce del sole, non avevano fatto scattare nulla nella mente ancora acerba del Maggiore. D'altronde quelli erano altri tempi, tempi in cui parole come "supereroe" e "inumano" esistevano solo nelle pagine di fumetti e non erano ancora un fatto assodato nella vita quotidiana di miliardi di persone.
Reinholdt era un uomo ambiguo, ma, nel giugno del 1977, Fury non conosceva abbastanza le macchinazioni interne del mondo al di fuori dei rigidi schemi dell'esercito per capire cosa stesse succedendo. In seguito però avrebbe di buon grado chiuso un occhio, ignorando le trasgressioni di Zola, cullato dai sentimenti che lo legavano al collega e dalla convinzione che egli non avrebbe mai fatto nulla che potesse ferire lui o lo S.H.I.E.L.D.
Il giovane Nick si sbagliava ovviamente, e avrebbe dovuto capire che le cose non quadravano quando i "rinforzi" comparvero, quel pomeriggio d'estate, davanti al magazzino abbandonato nel Bronx.

Due Mercedes nere scivolarono silenziosamente lungo la strada che conduceva al vecchio edificio Roxon. Due uomini in giacca e cravatta scesero all'unisono dalle vetture. Indossavano entrambi un paio di occhiali da sole dalla montatura pesante e, appena notarono la macchina di Zola, uno dei due fece cenno di saluto nella loro direzione. Nick fece per rispondere, ma Reinholdt gli afferrò il polso e l'abbassò con una forza tale da far pensare al Maggiore che volesse romperglielo.

«Resta qui, non fiatare, non muoverti!» gli intimò il partner, prima che Fury potesse lamentarsi. «Torno subito.»

Detto questo scese dalla macchina e si avviò verso i due sconosciuti, dopo avergli scoccato per l'ennesima volta un'occhiata accusatoria.
Nick osservò, attraverso il parabrezza, il collega avvicinarsi ai due uomini e stringere la mano a uno di loro, per poi piegarsi leggeremente in avanti a sussurrargli qualcosa all'orecchio. Erano troppo distanti perché potesse sentire cosa stessero dicendo e, anche provando a leggere le labbra, era impossibile capire di cosa trattasse lo scambio tra i tre agenti.
In una decina di minuti la discussione era terminata. Reinholdt tornò alla macchina  con un'espressione indecifrabile dipinta sul volto. Le sopracciglia scure erano corrucciate a creare una netta ruga verticale fra le due, le labbra talmente strette da essere scolorite e gli occhi fissi che non sembravano nemmeno vedere la macchina di fronte a lui. Camminava, come d'abitudine, con lunghe falcate che avevano ora qualcosa di insistente e frettoloso. Aprì la portiera con uno strattone violento e, dopo essersi seduto al posto di guida, la richiuse con altrettanta veemenza.
Nick aprì la bocca per domandargli cosa fosse appena successo, ma Zola lo interruppe ancora prima che iniziasse a parlare.

«Fa' silenzio!» sussurrò a denti stretti il tenore, senza degnare l'uomo accanto a lui di uno sguardo. «Se qualcuno te lo chiede, noi non siamo mai stati qui. Dopo aver parlato con Odafin sei tornato al tuo appartamento per farti passare la sbornia di ieri sera, e io ti ho riaccompagnato a casa prima di andare dalla mia fidanzata. È chiaro?»

Fury, con la bocca ancora spalancata, si limitò ad annuire preoccupato. Aveva la stessa intensità di quando lo aveva minacciato il giorno prima. Sapeva perfettamente che ci sarebbero state conseguenze se non si fosse attenuto a quell'alibi.

«Bene» concluse l'altro, prima di accendere il motore e superare a tutta velocità i due uomini che si trovavano accanto all'entrata principale dell'edificio.

Reinholdt continuò a guidare senza parlare per una buona mezz'ora. La radio era spenta e l'unico rumore che si poteva avvertire nell'abitacolo era il suono attutito della città che si snodava di fronte a loro. L'agente si fermava a ogni semaforo e si manteneva nei limiti di velocità.
Nick aveva paura di proferire anche solo una parola, si limitava quindi a guardare la strada e a lanciare ogni tanto qualche occhiata furtiva al collega.
L'ennesimo semaforo rosso divenne verde, ma la macchina non ripartì. Le altre auto incolonnate dietro di loro iniziarono a superarli, suonando il clason e lanciando insulti verso Zola, che continuava a fissare un punto imprecisato davanti a sé. Teneva la mascella serrata a tal punto, che Nick temeva si sarebbe spezzata.

Miracle WorkerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora