Lo guardo, incapace di dire qualsiasi cosa.
Lui invece prende l'iniziativa e, senza tante cerimonie, afferra il mio polso.
«C'è un posto appartato?» chiede.
Annuisco e gli indico il "mio" albero. Ammiro da lontano i suoi rami e la sua chioma che in questo momento tende al marrone, l'autunno non risparmia il mio amico.Mentre Eric mi trascina non proprio dolcemente lancio un'occhiata dietro di me. I bambini non ci degnano della minima attenzione, i miei amici invece ci stanno guardando.
«Stai attirando un po' l'attenzione» dico faticando a stargli dietro.
«La tua combriccola deve imparare a farsi gli affari suoi» risponde mentre raggiungiamo il largo tronco.«Oppure tu potresti almeno fingere di essere dolce» ribatto proprio quando spariamo dalla vista degli altri.
Sulla sua bocca si dipinge una smorfia e le sue sopracciglia inarcate sottolineano l'assurdità delle mie parole.
«Ok, non proprio dolce. Ma leggerm...».
Vedo il suo sguardo e mi blocco «Vabbè, ho capito. O così o niente. Comunque non ti farebbe male essere un po' più...» inizio a dire, piegando la testa.Lui chiude gli occhi e li riapre, inchiodandomi. E allo stesso tempo si fa avanti spingendomi contro la corteccia tiepida e mi prende il viso tra le mani.
Vorrei dire qualcosa ma non mi lascia il tempo di farlo. Mi bacia. Con un'irruenza che non mi aspettavo.«Guardati, ti lascio sola un paio di giorni e torni a vestirti di giallo, a farti le trecce e a suonare il banjo...».
Lo interrompo «È una chitarra».
Lui mi ignora, e si sporge a sfiorarmi l'orecchio con le labbra. Un brivido mi attraversa il corpo, correndo lungo la spina dorsale.
«Non importa cos'è. Non sei più una Pacifica». Il suo tono mi fa sentire inquieta.«Vuoi litigare, Eric?» chiedo alzando un sopracciglio.
«Voglio riportarti al luogo a cui appartieni» risponde secco.
«Che sarebbe cosa, il tuo appartamento?» chiedo brusca.
I suoi occhi si accendono mentre si avvicina al mio orecchio e sussurra «Principalmente il mio letto».Gli do una spinta mentre spero con tutto il cuore che non si veda il rossore sulle mie guance.
«Che romantico!» esclamo.«Ne sono consapevole. Cosa sa Johanna della faccenda?».
«Tutto, o quasi» rispondo sospirando.
Lui annuisce «Ce ne andiamo all'alba».Tra noi cala il silenzio. Lui si guarda intorno, io guardo lui.
«Eric» mormoro piano.
I suoi occhi scattano di nuovo verso i miei.
«Io... Mi aiuteresti a salire qui sopra?».
Lui mi guarda interrogativo.
«Ero solita vedere il tramonto da qui. Potresti aiutarmi a salire?».Lui mi scruta «Pacifica, non hai bisogno del mio aiuto».
Aggrotto le sopracciglia «Non ti è arrivata voce?».
«Di cosa?» chiede osservandomi.
Afferro la maglietta e la alzo, scoprendo le bende «Ho voluto provare l'emozione di prendermi una pallottola».
La sua bocca si contrae in una linea dura «Stai bene?».
Annuisco.Lui non aggiunge niente, ma si avvicina e fa per alzarmi.
Lo fermo prima che possa farlo e faccio quello che avrei voluto fare da subito. Lo abbraccio, tenendolo stretto a me.«So che non ti piacciono gli abbracci, ma ne ho bisogno. Avevo paura ti fosse successo qualcosa, io...».
Lui mi stringe.
«Non sono uno di cui ci si libera facilmente, Pacifica. E comunque tu puoi schiacciarti su di me quanto vuoi».Rido e lo spingo via «Dai, fammi salire».
Lui obbedisce e mi alza senza fatica, permettendomi di aggrapparmi ad un ramo non molto alto sopra di me.
«Grazie» ansimo mentre con tanta forza di volontà mi tiro su e mi sistemo in equilibrio.
Lui mi raggiunge subito, tenendosi a debita distanza.
«I bambini Pacifici possono salire sugli alberi?» chiede per prima cosa.
STAI LEGGENDO
Una scelta per sempre
Fiksi PenggemarChicago è suddivisa in cinque fazioni, ognuna delle quali fondata su un valore: la sapienza per gli Eruditi, l'onestà per i Candidi, l'amicizia per i Pacifici, l'altruismo per gli Abneganti e il coraggio per gli Intrepidi. Aimeen è una ragazza Pacif...