La morte

10K 392 16
                                    

Nel dizionario sotto la lettera P giaceva il significato di promessa, vista come una dichiarazione con cui ci si impegna a compiere un dato atto o a tenere un dato comportamento, quindi ad attenersi alla promessa data.

Ma in quella casa della periferia di Londra, restava una parola come un'altra, priva di fondamento o forse dinanzi alla vita e alla libertà, anche una promessa perdeva valore.

Faceva freddo, di quel freddo che ti entrava nelle ossa e nonostante il riscaldamento accesso, si forma comunque la nuvoletta bianca quando respiri.

Faceva ancora più freddo perché era Natale e Jack non c'era, al suo posto il solito foglietto, che di norma non portava nulla di buono.

Sbuffai rumorosamente come le locomotive e presi quel dannato pezzo di carta.

"Buon Natale amore mio, non avere paura perché non sono scappato, sono semplicemente andato a comprarti il regalo.

Lo so, sono l'unico al mondo che si riduce all'ultimo.

Abbi pazienza!

Ti amo, a dopo"

Sospirai di sollievo, avevo già pensato al peggio visto i nostri precedenti e la collezione di biglietti d'abbandono che giocavano nel fondo del cassetto.

Non potevo immaginare una vita senza Jack, senza di lui perdevo consistenza anch'io.

Non ora che ero dipendente da lui.

Mi alzai fischiettando, riacquistando il buon umore, infondo era pur sempre il 25 Dicembre.

Così mi adoperai per preparare il pranzo, cominciando dall'impasto per i plumcake al cioccolato, peró mentre versavo il cacao in polvere, il telefono di casa cominció a squillare insistentemente.

Non riuscii ad arrivare in tempo nel soggiorno e così partii la segreteria telefonica.

Senza senso i battiti del mio cuore triplicarono.

"Buon natale principessa, sono Philip cioè tuo padre, te lo ricordo nel caso lo avessi dimenticato.

Mi manchi Elis, vorrei poter rimediare o almeno parlare davanti ad un caffè, sono a Londra per un paio di giorni.

Spero che tu sia felice, ho capito troppo tardi che non volevo altro che la tua felicità.

Un bacio e ancora auguri"

Quando la lucina rossa smise di lampeggiare, venni scossa da una miriade di brividi, come se lame taglienti mi trapassassero la pelle.

Dopo cinque anni quell'uomo, che all'anagrafe risultava mio padre, si era ricordato di me.

Questa consapevolezza mi fece gelare dentro, potevo sentire la neve scendere sulla milza, sui polmoni e infine sul cuore.

Mi accasciai al suolo, rannicchiandomi in posizione fetale, erano tornati i ricordi e le sensazioni orribili.

Tutto quello che avevo seppellito, era riemerso, portandomi indietro nel tempo, a quell'adolescenza mancata.

Fino a sei anni ero stata la solita bambina felice, anche abbastanza viziata essendo figlia unica.

Ricordo che mio padre mi abbracciava sempre, facendo volteggiare me e mia madre per l'intera sala da pranzo.

Ci definiva i suoi gioielli, quello che aveva di più caro.

Avevo nove anni quando le cose cominciarono a cambiare, Philip faceva tardi la sera e Delia, mia madre, lo aspettava ansiosa sul divano.

Comició persino a mangiarsi le unghie e ad avere i capelli in disordine, proprio lei che amava farsi bella.

Salvami, Salvami TuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora