Philip Tresir

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Avevo paura e ribrezzo nel provare a chiamare quell'uomo che all'anagrafe risultava mio padre.

Ma dovevo farlo, non per me, ma per Jack, perché lui si fidava di me, perché ero la sua unica salvezza.

Dopo altri tentennamenti, un urlo e qualche lacrima derivante dal ricordo, afferro con decisione il telefonino e lo chiamo.

Il mio cuore batte al ritmo degli squilli che si susseguono veloci, come una corsa contro il tempo.

"Pronto"la sua voce non era stata scalfita dal tempo.

"Sono Elisabeth"sussurrai talmente piano, che la mia voce risultava appena un flebile mormorio.

"Beth?"chiese con un filo di emozione, come se ormai avesse perso le speranze.

"Si, sono io"deglutii rumorosamente e cominciai a tremare come una foglia ingiallita, in balia del vento.

"Credevo che non ti avrei mai più sentita"sicuramente stava sorridendo.

"Lo credevo anch'io"ammisi.

"Allora? Come va? Gli studi? Ci vogliamo vedere?"domandò a raffica.

L'ultima domanda era quella che più temevo.

"Okay, ma sei in città?"cominciai a camminare avanti e indietro per il salotto.

"No, ma posso venire tranquillamente"disse"Anche domani"continuò poi.

"Okay"mi limitai a dire.

"Sono felice di vederti, mi sei mancata"chiusi gli occhi e deglutii, per poi chiudere in fretta la chiamata.

JACK

"Jackson hai due ore d'aria"disse un poliziotto da dietro le sbarre.

"Due?"chiesi meravigliato.

"Per buona condotta, ora muoviti"estrasse il grosso mazzo di chiavi e mi rese libero.

Per centoventi minuti sarei stato un uomo libero.

Sorrisi.

LIZ

Continuavo a fissare il soffitto, come se Dio potesse mandarmi un segnale divino.

Tra quattro ore dovevo alzarmi, cominciare un nuovo giorno, che sarebbe stato identico a quello dei tre mesi precedenti.

Sarebbe mai finito?

Meritavo davvero tutta questa sofferenza?

Evidentemente nell'altra vita ero stata una gran peccatrice.

Sospirai, accarezzai il cuscino di Jack dove il suo odore ormai era quasi inesistente e poi chiusi gli occhi, lasciandomi inghiottire dal silenzio e dalla notte.

JACK

Era notte e lo potevo notare dal cielo nero come la pece, c'erano poche stelle quella sera.

Non riuscivo a dormire, Luke russava e ogni tanto borbottava delle scuse nel sonno.

Una sera lo sentii piangere sommessamente come un bambino, ma feci finta di nulla, infondo era il suo dolore ed era giusto restarne fuori.

Elisabeth, lei era il mio dolore personale, la spina nel cuore, la luce infondo al tunnel.

Elisabeth, bella come una rosa e forte come roccia.

Elisabeth, le sue mani sul mio corpo, tra le mie gambe.

Elisabeth, la voce sensuale, gli ansimi a fior di labbra.

Elisabeth, con i suoi vestiti a fiori, le gambe nude e la sottana di raso grigio.

Salvami, Salvami TuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora