Una volta che ebbi ripreso fiato, riuscii a pensare lucidamente a quello che avevo appena sognato.
Non era una novità, per me, rivivere la scoperta della mia malattia, ma mi resi conto che, in quel momento, quei ricordi erano solo in grado di farmi arrabbiare.
Spostai gli occhi verso il corridoio e feci scorrere il mio sguardo fino alla porta blindata della cucina. Quel sogno mi aveva ricordato una cosa, semplice e drammatica, quasi un'ovvietà: io ero sopravvissuta. Io ero sopravvissuto a quella malattia che mi voleva viva solo per metà, difettosa come un orologio scarico.
Sebbene il sonno non avesse fatto altro che prendermi a schiaffi e calci per tutta la mia vita, io ero riuscita a non essere solo quello. Avevo vissuto intensamente, alcune volte anche troppo, senza mandargliela a dire a Morfeo e alla sua maledizione.
Ero stata brava a poggiarmi sugli altri, a sistemare l'imbracatura che mi avrebbe sostenuta nella mia passeggiata sul filo sospeso.
Non ero mai uscita di casa senza compagnia, non avevo idea di come fosse camminare lungo una strada senza qualcuno al mio fianco. Mia madre, qualche amico fidato e affezionato, il fidanzatino di turno, Filippo,... tutti si erano sempre adoperati per seguirmi e salvarmi da me stessa, prendendomi al volo in caso di svenimento, o prestandomi soccorso se necessario.
Avevo vissuto in una casa ricoperta di para spigoli, imbottita a tal punto da permettermi di cadere addormentata più o meno ovunque, senza rischiare un trauma cranico ogni tre per due.
Ero cresciuta, ero sopravvissuta, avevo completato i miei studi da architetto, avevo lottato sui plastici e il computer tra sonno e veglia innumerevoli volte, vincendo, alla fine, perché ero io la più forte tra noi due.
La narcolessia mi aveva voluta apatica, ma io ero stata scintillante. Avevo rinunciato a un miliardo di cose, dalla privacy alla semplice normalità, ma ero riuscita a non farmi schiacciare, a non lasciarmi soggiogare. E, proprio per quel motivo, sentivo come un affronto orrendo la porta blindata della mia cucina.
Era una cosa che avevano voluto mia madre e Filippo, per la mia sicurezza, quando, un anno prima, avevo deciso di buttare nel cesso tutti i miei sforzi e di chiudermi in casa: da allora mi ero rifiutata categoricamente di uscire. Ero consapevole di star distruggendo tutto quello che avevo costruito, ma non avevo potevo fare altrimenti. Fuggire e nascondermi era stata l'unica reazione contemplata.
Il giorno del mio matrimonio avevo avuto paura. Quando ero caduta a pochi passi dall'altare, senza che mio padre fosse riuscito a sostenermi, mi ero spaventata a morte. Era diventato troppo anziano per sorreggermi ed evitare di farmi sfracellare al suolo. Era diventato il riflesso dell'uomo che era solito portarmi a cavalcioni sulle sue spalle agli spettacoli di burattini. Lui era uscito da quella chiesa con un groppone di sensi di colpa ammassato sulla gola, io ne ero uscita in lacrime e con una nuova consapevolezza: sarei rimasta sola.
I miei genitori sarebbero morti, prima o poi, e il loro sostegno da instabile sarebbe diventato addirittura assente. I miei amici avevano già iniziato ad allontanarsi, chi a causa dei figli, chi a causa del lavoro, chi a causa semplicemente della propria vita. E Filippo mi aveva lasciata all'altare.
Non avrei avuto più qualcuno disposto a stare con me, solo per assicurarsi che non mi ammazzassi addormentandomi su delle scale.
Quel giorno avevo capito la reale portata della mia dipendenza dalle persone. L'amore della mia vita era fuggito da me, senza degnarsi di dare spiegazioni a nessuno, probabilmente neanche a se stesso. E io avevo perso l'unica persona che aveva promesso di starmi accanto, per sempre.
E lo avevo capito che non avrei trovato nessun altro.
Però io dovevo proteggermi, lo dovevo a me stessa. Spaventata, confusa e devastata, avevo anticipato le cose e mi ero barricata in casa, rifiutandomi di mettere anche solo un alluce fuori dalla porta. Se il mio destino era quello di rimanere sola, tanto valeva iniziare fin da subito: forse nel frattempo mi sarei abituata alla cosa.
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La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]
ParanormalBeatrice è preda della narcolessia da quando ne ha memoria. Il sonno la reclama e chiama a sé ogni giorno, ogni notte, costringendola a chiudere le palpebre e a perdere i sensi, per addentrarsi nel mondo onirico. Quel che sogna una volta addormenta...