25. Il futuro

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– Prego, entri pure – mi feci da parte e l'uomo entrò titubante in casa.

Si portò una mano sulla fronte, come se avesse un cappello invisibile da sollevare.

– Permesso – mormorò, fortemente intimorito dal mio arredamento.

Mi dispiacque, non avrei voluto metterlo a disagio. Lanciai automaticamente un'occhiata all'enorme orologio a pendolo di quercia che avevo sempre amato, ma che improvvisamente mi sembrava un'ostentazione esagerata. In quel momento quell'uomo era il mio unico vero alleato, l'avrei voluto accogliere meglio.

Appesa a un braccio portava una cassetta molto voluminosa e dall'aria pesante. Silenziosamente, gli feci segno di seguirmi e lo condussi lungo il corridoio.

– Mi scuso ancora per non averle potuto dare prima un appuntamento, signorina.

– Non si preoccupi. – sospirai – L'importante è che mia madre non sappia nulla.

Mi voltai appena per controllare la sua espressione e accertarmi che fosse sincero.

– No, assolutamente. – era leggermente impallidito – Un po' di segreto professionale non guasta mai.

Gli concessi un sorriso ed entrambi ci rilassammo di conseguenza, più distesi, più tranquilli. Era fatta, ero a un passo dal farcela.

Mi fermai e gli indicai la porta blindata della cucina.

– Vorrei che mi liberasse di questa.

Il fabbro avanzò verso di me, oltrepassandomi e studiando la serratura con attenzione.

– È chiusa a chiave?

Incrociai le braccia al petto: – Sì, ma non voglio che si limiti ad aprirla, voglio che la sradichi via dal muro, voglio che la strappi via di lì. Deve sparire. La voglio mettere sotto al letto e dormirci sopra.

Lo stavo confondendo con il mio tono seccato e con la nota di pazzia nelle mie parole, ma sembrò cogliere l'antifona e mugolò in segno di assenso, passando a osservare i cardini.

– Mi servirà qualche attrezzo un po' più ingombrante. Le dispiace se li vado a prendere dal furgone?

– Certo che no, non si preoccupi. Vada pure, anzi, le dico di più, ha carta libera su qualsiasi manovra pensa di dover adottare per spaccare in due questa porta. – mi incastrai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, osservando le sue iridi grigiastre seguire il mio movimento – Non voglio disturbarla più del necessario, quindi penso che resterò in camera per tutto il tempo necessario. Faccia come fosse a casa sua, nella madia del salone ci sono degli snack e il bollitore per il tè, in caso le venisse fame. Nel mini frigo trova l'acqua, le bibite e due birre.

– Grazie – balbettò.

Come se non avessi sottolineato meglio il concetto, aggiunsi: – Può ubriacarsi, addormentarsi sul divano e ruttare. Faccia quello che vuole, basta che entro stasera questa cosa sia sparita dalla mia vista.

Doveva essere abituato a mia madre, molto più autoritaria e intransigente di me, sempre con un occhio cinico puntato sui suoi sottoposti, perché non batté ciglio, al contrario, sembrò quasi prenderla a ridere.

Riconoscevo l'ilarità delle mie stesse parole e continuai a sorridergli in risposta, stemperando il mio sguardo gelido.

Senza dilungarmi oltre, gli voltai le spalle per chiudermi in camera. Una volta da sola e seduta sul letto, non riuscii né ad aprire un libro, né a guardare la televisione, men che meno a dormire. Fissavo semplicemente il vuoto, seguendo il filo molle dei miei pensieri pigri, un lento pascolare in una distesa ombreggiata.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora