Il profumo delle uova e lo sfrigolio dell'olio era una delle cose che più mi era mancata della vita vera. Gli odori e i rumori mi entravano nelle narici e nelle orecchie provocandomi una sovrapproduzione di saliva. Mi godevo l'attimo, assaporavo la mia fame, mi lasciavo cullare dallo strepitio.
Dubitavo che il palato raffinato dei miei genitori avrebbe apprezzato le uova all'occhio di bue che stavo preparando, ma era la cosa più semplice e spontanea che il mio stomaco aveva preteso nell'esatto momento in cui avevo deciso di cucinare.
Confidavo nel vino rosso che avrebbe portato papà, ero certa che avrebbe allietato ulteriormente la serata, accompagnandoci in un lento ritorno verso una pseudo normalità.
Chissà se un bicchiere o due non mi avrebbe sciolta, non mi avrebbe spinta a raccontare loro quello che era successo, chissà se non mi avrebbe invogliata a porgere loro le mie scuse per tutto il dolore che avevo creato.
Infilai le dita nel barattolo del sale rosa e, con delicatezza, ne lasciai cadere un velo sul tuorlo lucido. Lo osservai sciogliersi e creare una patina lattiginosa sulla superficie arancione.
Già mi sembrava di averle sotto ai denti, nello stomaco: il sapore di quelle uova doveva somigliare a quello della libertà.
Dietro a quei tre cerchietti gialli su fondo bianco si nascondeva tutta un'altra travagliata storia, che forse solo io e Rimpianto saremmo stati in grado di raccontare. Mi chiesi se qualcosa non sarebbe arrivato ai miei genitori, al momento dell'assaggio, se avrebbero scambiato o meno un granello di sale per una delle tante lacrime che avevo versato prima d'allora.
Mi pulii le dita sul grembiule bianco che avevo indossato per l'occasione, mi stropicciai un occhio con il dorso della mano pulita e dal cassetto afferrai un coltello tra i tanti. La sua lama affilata scivolò sulle altre, provocando un suono tagliente e metallico che mi fece accapponare la pelle.
Iniziai a fare a fettine sottili le carote e i cetrioli, cercando di non pensarci.
Non credevo che Rimpianto fosse davvero morto, non per sempre almeno; in me, sicuramente, non si sarebbe fatto sentire né vedere per un po' e la cosa – lo ammettevo con un pizzico di vergogna – non mi dispiaceva affatto.
Non sapevo cosa avesse cercato di dirmi con i suoi occhi sgranati, quando Paura lo aveva sgozzato proprio sotto al mio guardo, ma se mi sforzavo riuscivo a immaginarlo.
Lo scalpitio regolare del coltello sul tagliere ricreava una melodia ipnotica e rilassante.
Mi sfuggì uno sbadiglio, che tentai inutilmente di trattenere coprendomi con l'interno del polso. Ne approfittai per osservai il mio riflesso sulla lama di acciaio. Sembravo felice, i miei occhi lo erano. Era meraviglioso vedermi così.
Se Rimpianto avesse avuto qualche minuto in più, se non avesse avuto la gola squartata e le corde vocali distrutte, probabilmente mi avrebbe detto di stare tranquilla. Era morto, era vero, ma era morto da emozione libera, libera di essere qualunque cosa volesse, di essere negativa o positiva, senza gabbie a trattenerlo, né carcerieri a controllarlo.
Per poco – ma non abbastanza – era stato libero: non c'era nient'altro per cui valesse la pena crucciarsi. Forse mi avrebbe detto questo, se solo avesse potuto farlo.
Mi voltai per controllare le uova, un po' troppo velocemente, perché la testa mi girò per un mezzo secondo. Cercando un punto saldo al quale aggrapparmi, trovai la manopola del forno. Respirai lentamente cercando di recuperare l'equilibrio. Inalai quanto più ossigeno fui in grado di incamerare, espirando con regolarità, riacquistando lentamente energia, mentre i miei occhi continuavo a ingarbugliarsi.
Ci impiegai qualche secondo più del normale, ma alla fine ritrovai la calma e l'equilibrio, scostandomi dal forno.Sorrisi all'aria, scuotendo le spalle e afferrando la spatola di metallo scintillante. Scossi leggermente le uova, staccando dalla padella la crosticina beige dell'albume.
L'olio era rovente e rilasciava sottili fili di fumo imbizzarriti, che roteavano e lottavano per non farsi aspirare dalla cappa.
Mancava un minuto scarso, occhio e croce.
Decisi di trascurare per un attimo le verdure, per monitorare i fornelli e accertarmi che nulla si bruciasse.
Avevo così tante domande alle quali mi sarebbe piaciuto ricevere risposta. Domande da fare a Rimpianto, domande da fare a Coraggio e Rancore, ma dubitavo sarei mai tornata nel mondo di quegli incubi: le risposte erano dentro di me, da qualche parte, col tempo sarebbero uscite fuori.
Per il resto, la mia avventura era finita lì, si era fatta da parte per lasciarmi abbastanza spazio di manovra: avrei ripreso la mia vita da dove l'avevo lasciata. Avrei ricominciato da quel giorno in cui il mio cuore era caduto su una navata ricoperta di fiori azzurri. Col tempo l'avrei ritrovato, come avrei ritrovato la forza di ricominciare tutto da capo.
Il fantasma di Filippo avrebbe abbandonato il mio letto. La coltellata di Silvia avrebbe smesso di bruciare intensa e ingombrante in mezzo alla mia schiena. Mi sarei innamorata di nuovo, avrei imparato a cucinare, avrei badato a me stessa come avevo sempre fatto.
Lo sapevo, ne ero certa: il futuro mi sembrava estremamente florido e tanto tanto vicino.
Sarei stata fiera di me.
Ero pronta a togliere le uova dal fuoco, l'olio si stava bruciando, mi ero distratta dieci secondi di troppo. Afferrai la paletta e l'accostai alla padella, quando improvvisamente notai un piccolo dettaglio: riuscivo a sentire il ticchettio dell'orologio a pendolo persino da lì. Il rumore dei suoi grassi ingranaggi claudicanti si confondeva allo sfrigolio delle uova, al pompare lento del mio cuore.
Al concerto si unì il mio respiro, sempre più affaticato e irregolare. La stretta attorno alla paletta si fece più salda, come se fosse qualcosa di stabile al quale aggrapparmi, inconsapevole che se fossi caduta lei sarebbe venuta con me.
Quel dondolio sonoro mi cullava lentamente verso il basso.
I miei occhi si chiusero di colpo, ancor prima che fossi in grado di capacitarmene, ancor prima che potessi urlare aiuto al vuoto del mio appartamento.
Semplicemente mi addormentai, e allora caddi, forse in avanti, forse all'indietro, forse su un fianco. E forse mi sarei salvata, se solo la sorte avesse soffiato su di me quel tanto per non farmi atterrare con il viso sui fornelli accesi. Ma di tutto questo non potevo averne idea. Lo avrei scoperto dopo: se non mi fossi risvegliata, sarebbe stato come ricevere ugualmente una risposta.
L'unica cosa certa al momento era che Morfeo mi aveva presa per la gola e mi aveva baciata, togliendomi il fiato. Come sempre aveva fatto, come sempre avrebbe fatto.
Dopotutto me lo ero promesso: mi sarei innamorata di nuovo.
Non avevo specificato di chi, o di cosa.
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La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]
ParanormalBeatrice è preda della narcolessia da quando ne ha memoria. Il sonno la reclama e chiama a sé ogni giorno, ogni notte, costringendola a chiudere le palpebre e a perdere i sensi, per addentrarsi nel mondo onirico. Quel che sogna una volta addormenta...