24. Il presente

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Nota: penso questo sia stato l'unico capitolo di Beatrice che ho scritto con una canzone di sottofondo. Ve l'ho lasciata qui sopra "al posto dell'immagine di copertina", nel caso voleste provare questa esperienza """mistica""".

 Ve l'ho lasciata qui sopra "al posto dell'immagine di copertina", nel caso voleste provare questa esperienza """mistica"""

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Fissai le mie mani per dieci lunghi secondi, scandendo il tempo con il mio respiro e i battiti del mio cuore.

Erano sporche di terra e sangue, sangue di cui non conoscevo l'appartenenza.

Avevo appena fatto il mio ingresso nel sogno di Rimpianto, dove il resto delle emozioni lo tenevano imprigionato.

Terrorizzata, mi guardai attorno per cercare di orientarmi. Non mi trovavo nella radura, quindi neanche lontanamente vicina alla sua gabbia. Ma era evidente che stava accadendo qualcosa: il sogno era pulsante di elettricità. La potenza dell'incubo vibrava nell'aria, le fronde degli alberi erano scosse da un vento fortissimo e il terreno sembrava sussultare a ogni rintocco di un orologio fittizio.

In lontananza sentii alzarsi un ululato straziato e gracchiante, che riempì il cielo gonfio di nuvole temporalesche.

Era Paura.

Invece di scappare come avevo sempre fatto, quella volta mi diressi nella sua stessa direzione, correndo. Ero convinta che mi avrebbe portata da Rimpianto, ma mi sbagliavo. Perché più cercavo di raggiungere quelle grida, più quelle sembravano spostarsi rapidamente. Era sempre alle mie spalle, non contava quanto provassi ad affrontarlo frontalmente, continuavo a sentirlo piantato sulla nuca, pronto ad affondare i suoi artigli nella mia schiena, spezzandomi la spina dorsale.

Era così subdolo. Era un cacciatore e io la sua preda. Decisi di proseguire di testa mia, allora, provando a depistarlo e raggiungere Rimpianto senza farmi ammazzare prima del tempo.

L'avrei liberato, a costo di perdere tutto: se lo meritava.

Indossavo l'ormai familiare camicetta gialla, alla quale feci i risvolti alle maniche. Feci dietrofront e cominciai a correre a perdi fiato, lottando contro il tempo e il sogno stesso che sembrava stare per implodere.

Eravamo arrivati alla fine della nostra avventura. Il mio amore per Filippo era destinato a collassare e con esso tutto quel castello mentale fatto di emozioni e metafore che il mio subconscio aveva creato per aiutarmi a elaborare il dramma.

Non mi importava sapere quanto fosse reale, non mi interessava sapere se quel terreno vischioso che stavo calpestando era solo frutto della mia immaginazione, dovevo concludere quella storia ridando la libertà a Rimpianto. Perché glielo dovevo, perché lo meritava. Perché lo meritavamo entrambi, in fondo, di essere liberi da Paura per sempre.

Perché noi non avevamo fatto niente di male.

Iniziò a piovere e la terra divenne fango, nel quale iniziai a impantanarmi, correndo con pesantezza. Inciampai su qualcosa, riprendendomi giusto in tempo per non finire affogata nella melma: mi ero impigliata su un ramo. Mi voltai a sedere per guardarlo: era appuntito, somigliava in maniera impressionante a una lancia rudimentale.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora