Riaprii gli occhi nel sogno della radura. Solo che anche qui, questa volta, c'era qualcosa di diverso. Non c'era la solita tranquillità iniziale e il sole tiepido a battere sulle mie spalle. Non indossavo nessuna camicetta giallo canarino, ma vestiti grigi, stracciati, consunti, sgradevoli.
La luce in tutta la radura era già bassa, era come se fossi arrivata già alla fine del sogno, quando il sole iniziava a tramontare e il tutto si tramutava in incubo.
Immaginavo significasse che avevo poco tempo a disposizione.
Il primo pensiero che ebbi fu istintivo: se anche lì c'era qualcosa di diverso, significava che ci sarebbero state ulteriori novità, e probabilmente non sarei riuscita ad apprezzarle.
Mi alzai dal masso gelido sul quale ero seduta e sbuffando mi incamminai. Cercavo di muovermi a passo veloce, ma non ne avevo granché voglia. Era già stato abbastanza deludente non ritrovarmi al tavolo col vecchio per sentire come sarebbe andata a finire la storia, non avevo voglia di gettarmi a pesce dell'ennesimo stravagante cambiamento dei miei sogni.
Passeggiavo, ma il sole non accennava a voler concludere il suo cerchio. Era come congelato in quel tramonto apparentemente eterno. Avevo la sensazione che si fosse fermato per aspettare me, che facessi qualcosa.
Quando la vegetazione rigogliosa attorno a me iniziò ad appassire progressivamente, mentre le cortecce si facevano più scure e i fiori più slavati, capii che stavo arrivando a destinazione. Gli alberi si aprirono sull'ampia distesa di erba secca e incolore, e i miei occhi viaggiarono in avanti quanto bastava per identificare la gabbia sigillata.
Il sole non si era mosso di un solo millimetro e l'oscurità non era avanzata ulteriormente, lasciandomi in stasi in quella penombra inquietante.
Mi concessi una breve pausa di qualche secondo, come per accertarmi che nessuno mi stesse seguendo e che non stessi in realtà fuggendo da qualcosa come al solito.
Sembrava tutto tranquillo e mi convinsi a procedere, per andare a fondo alla questione.
Improvvisamente, i miei piedi nudi urtarono un oggetto a dir poco gelido. Sobbalzai e cacciai un urlo, retrocedendo di qualche metro con qualche goffo salto impacciato.
Ovviamente, imprecai.
In tilt, ci misi fin troppo per appurare che non si era trattato di un rospo pronto a balzarmi sul petto. Prendendo coraggio, mi riavvicinai per cercare di capire l'origine di quel gelo. Tremando, allungai il collo per guardare meglio: si trattava di una chiave. Era parecchio ingombrante e tirata a lucido. Il metallo era nero e scintillante, la base adornata di inutili ghirigori ridondanti.
Mi chinai e l'afferrai. Era innaturalmente fredda.
E quella ora cosa diamine era?
Alzai lo sguardo verso la gabbia.
Una gabbia, una chiave. Una chiave, una gabbia.
Oh, sembrava così semplice.La nascosi nella manica logora e mi avvicinai circospetta a quella anomala prigione.
Non avevo mai fatto troppo caso alla struttura, troppo impegnata, ogni volta, a cercare di non farmi divorare dalla foresta intera che mi inseguiva, troppo sconvolta dall'incontrare due iridi macchiate di uno sfavillante grigio metallico.
Il prigioniero era molto più interessante della prigione, ma in quel momento, a conti fatti, reputai importante studiarla meglio, per capire se la chiave potesse aprirla.
Era un cubo dalle dimensioni ridotte, fatto di sbarre orizzontali dallo spessore consistente e distanziate tra loro da diversi centimetri: non abbastanza perché un corpo umano ci potesse passare.
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La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]
ParanormalBeatrice è preda della narcolessia da quando ne ha memoria. Il sonno la reclama e chiama a sé ogni giorno, ogni notte, costringendola a chiudere le palpebre e a perdere i sensi, per addentrarsi nel mondo onirico. Quel che sogna una volta addormenta...