14. Il rimpianto

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Mi trovavo nella radura ed era già notte. Eppure tutto taceva e tutto sembrava tranquillo.

Non senza qualche sforzo, mi sollevai dal terreno, tremando. Mi girava la testa ed ero davvero stanca di essere sballottata come un bambolotto tra quei due sogni.

Poco distante da me c'era la gabbia che conteneva Rimpianto. L'oscurità mi impediva di identificarlo, ma sapevo che doveva essere sempre lì, come sempre.

Avanzai di qualche metro e uggiolai quando urtai qualcosa. Abbassai lo sguardo senza sorpresa negli occhi, prevedendo già cosa avrei trovato. La chiave di metallo nero era semplicemente lì, come se fosse rimasta ad aspettarmi.

L'afferrai e andai oltre senza dedicarle troppe attenzioni. Avevo fretta.

Con lunghe falcate, in pochi secondi raggiunsi le sbarre orizzontali della prigione. Le colpii con la chiave, facendo in modo che il suono altisonante e metallico risuonasse nel silenzio della radura addormentata.

– Ehi, tu! Esci fuori!

Studiai lo spazio cubitale rapidamente, alla ricerca dei suoi occhi argentati. Li trovai, socchiusi e splendenti proprio nell'angolo più lontano e oscuro della gabbia.

– Che c'è?

– Io e te dobbiamo parlare.

– Hai intenzione di darmi la chiave?

– No.

– Allora non abbiamo niente da dirci.

Per tutta risposta, lo vidi raggomitolarsi con maggiore impeto e ruotare su se stesso, voltandomi le spalle.

Era come un gatto nero nell'oscurità.

Era infantile. E diedi ragione a chiunque l'avesse chiuso lì dentro. A chiunque l'avesse imprigionato solo perché aveva provato a essere qualcun altro, a fare del bene, contro la sua naturale essenza negativa. Aveva usato la forza del suo rimpianto per far riconciliare le persone, per donare sorrisi invece che mugolii strappati nel sonno. Ed era infantile, quindi forse se lo era meritato.

Aveva provato a far riuscire un fiore da un terreno troppo debole per partorirne ancora. Aveva dato una seconda chance a chi neanche aveva immaginato di poterla avere. Aveva raccontato una storia che nessuno voleva ascoltare, una storia di serie B, di quelle che vengono dopo il lieto fine e che nessuno mostra mai. La storia mia e di Filippo, che ci eravamo amati tanto e che ci eravamo quasi promessi eterno amore, ma che avevamo fallito ugualmente, come spesso accade e come nessuno racconta.

La mia anima tremò e vibrò, il richiamo delle lacrime si fece vicino.

Perché quel ragazzo aveva meritato una simile punizione?

– Quale è stata la tua colpa? La tua vera colpa. Perché non posso credere che ti abbiano messo in una gabbia per conigli solo per aver provato a fare del bene.

Non si voltò. Non sembrava neanche star respirando.

Insistetti: – Voglio darti questa chiave. Lo voglio davvero, perché altrimenti non avrebbe alcun senso la mia presenza qui. Sono i miei sogni... tutto questo deve pur significare qualcosa.

Avevo attirato la sua attenzione, perché si voltò appena, lanciandomi un'occhiata lucente da dietro la sua spalla scura.

– Ma devo sapere perché sei stato messo qui. Io non ti conosco e non so cosa pensare di tutta questa faccenda. Quindi girati, per favore, e parliamo.

Indeciso, sembrò volermi dare ascolto.

Carponi, senza la voglia o la forza di alzarsi, si accostò a me, fino a raggiungere le sbarre.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora