22. Son desta

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– Beatrice!

Mi ritirai su alla ricerca di ossigeno, urtando qualcosa con la fronte.

Sentii Filippo imprecare.

Non me ne potè fregare di meno.

Ero così meravigliosamente viva, appurai, spalancando gli occhi e guardandomi attorno. Mi chiesi se Rancore potesse vantare lo stesso.

– Wo! – sbottai, inspirando ancora aria e stupendomi della sua sottovalutata importanza.

– Che diavolo di incubo – aggiunsi, dimentica della presenza di Filippo.

Mi voltai verso di lui, quando dalle sue labbra sfuggì l'ennesimo lamento.
Era inginocchiato per terra, dovevo essere caduta, e si tastava la testa infastidito.

– La dovrei smettere di svegliarti in questo modo. Ci prendiamo un infarto a turno.

Un po' mi dispiacque di averlo involontariamente colpito, ma d'altra parte anche io avevo incassato una capocciata, eppure non stavo facendo tutte quelle storie.

– Sarebbe potuta andare peggio.

Quella nebbia nera mi avrebbe potuta ammazzare sul serio, mi dissi mentalmente.

Quando ebbe finito di lamentarsi, con gli occhi sempre socchiusi per il mal di testa, si alzò e si diede qualche colpetto alle ginocchia, sulle quali si erano create alcune macchie di polvere. Poi mi porse la mano, per aiutarmi a fare lo stesso.

Le mie guance avvamparono appena.

– Stai dormendo più del solito.

Il commento mi rese improvvisamente scontrosa.

– Non puoi saperlo. Non ci vediamo così spesso.

Non scalfii minimamente la sua corazza.

– Ma abbastanza perché possa rendermi conto di un cambiamento del genere – i suoi occhi sembravano volermi strappare l'anima.

Fui colta da un pensiero orrendo e sfuggente: le pillole che avevo usato per addormentarmi forzatamente, dov'erano finite?

Cercai di non lasciar trapelare cambiamenti sul mio volto, ma quel dannato conosceva le mie espressioni a memoria e dovevo averne fatta una non esattamente familiare.

– Che succede? – le sue sopracciglia si sollevarono.

– Niente – la voce strozzata non mi aiutò a sembrare credibile.

Dove le avevo messe?

Mi sforzai di non lasciar vagabondare il mio sguardo più del necessario. Dovevo individuarle e trovare un modo per nasconderle, a costo di schiacciarle sedendomici sopra.

– Vuoi... – balbettai, indicandogli la credenza – un bicchiere d'acqua?

– Sì, grazie.

– Liscia o frizzante?

Sapevo già la risposta, ma dovevo depistarlo.

Andai a recuperare un bicchiere, incapace di trattenere il batticuore.

– Liscia.

Ovviamente. Liscia, come la sua vita maledetta.

Mentre mi fingevo indaffarata, feci scattare per un secondo solo le mie pupille verso il mobiletto del salotto. Le pillole erano lì, aperte, con il foglietto illustrativo sventrato proprio a fianco.

Mi voltai di scatto verso Filippo, per controllare che fosse distratto da altro, magari dal cellulare, ma mi resi conto che il suo sguardo era concentrato proprio sullo stesso mobiletto del salotto.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora