20. Son desta

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Mi contorcevo le dita tra le mani. Le tiravo e dinoccolavo con fare spasmodico.

A breve sarebbe arrivato Filippo, a breve avrei dovuto fronteggiare Paura e metterla KO.

Mi ripetevo mentalmente di potercela fare, ma la verità era che sobbalzavo a ogni rumore esterno. Una portiera sbattuta troppo violentemente, o i passi di qualcuno sulle scale, o il trillo dell'ascensore mi facevano perdere un battito.

Avevo il terrore di non riuscire a parlargli chiaramente, come sempre era stato. Quante volte ci avevo provato? E quante il boccone mi era rimasto incastrato tra i denti? Perché sarebbe stato diverso?

Iniziai ad annodarmi i capelli attorno all'indice, cercando un briciolo di conforto e non trovandolo, ovviamente.

Non riuscivo a respirare. Per quanto mi sforzassi di regolarizzare il battito e il fiatone, un enorme peso mi premeva sulla cassa toracica. Ebbi quasi l'istinto di strapparmi di dosso i vestiti, memore di quando, il giorno del mio matrimonio, mi ero scucita via dal petto il corpetto del mio abito.

Apnea, tachicardia,... era tutto come allora. Era tutto disperato e confuso allo stesso modo.

Mi sembrava di impazzire.

La madia del soggiorno fu scossa da una piccola vibrazione: mi era arrivato un messaggio. Andai a recuperare il cellulare e fu difficile afferrarlo e sbloccare la schermata, perché le mani mi tremavano all'impazzata.

Serrai gli occhi, quando lessi il mittente: era Filippo. Rifiutandomi di leggere il messaggio, la paura iniettò nella mia immaginazione tutti i peggiori finali.

Mi stava dicendo addio. Era certo, mi stava dicendo addio per sempre. Non sarebbe mai più venuto a trovarmi, neanche per prestare fede a quell'ambiguo e tacito accordo che avevano stabilito lui e mia madre.

Lo aveva capito, finalmente, che quella non poteva essere la sua vita. Non poteva continuare così, a starmi tanto vicino e così lontano, forse perché era troppo doloroso, forse perché era solo frustrante.

Mi stava dicendo addio, ne ero sicura. Mi stava abbandonando di nuovo.

Aprii gli occhi.

"Sono in ritardo".

Avevo smesso di respirare. Me ne resi conto solo quando i miei neuroni stridettero infastiditi e io mi addormentai.

 Me ne resi conto solo quando i miei neuroni stridettero infastiditi e io mi addormentai

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Nota autrice: Sì, la lunghezza del capitolo è imbarazzante

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Nota autrice: Sì, la lunghezza del capitolo è imbarazzante.

Provo a rimediare intrattenendovi un po' io. Nello scorso capitolo ho dimenticato di raccontarvi cosa avevo sognato, quando ho sognato la storia di Beatrice. Rimediamo ora!

Partiamo dal presupposto che prevedibilmente ero io a vivere il tutto in prima persona. Nel corso del sogno continuavo a ritrovarmi a turni alterni in due sogni diversi. Alcune volte mi trovavo in una casa buia, molto simile a quella della mia nonna paterna, e altre in uno strano mondo simile a una disneyana Isola che non c'è, solo molto più buia e creepy.

Nella casa del vecchio, questo tizio iniziava a raccontarmi una strana storia, che purtroppo non ricordo. Nella stanza c'era una televisione che faceva vedere immagini inquietanti e poco chiare. Alla fine del racconto mi chiede di firmargli qualcosa su un taccuino nel quale era trascritta la storia che stava raccontando. E non so bene per quale motivo, ma con un chiaro richiamo a Death Note, sapevo di aver letteralmente firmato la mia condanna a morte.

Nel sogno del ragazzo, invece, io sento di essere follemente innamorata di questo tizio imprigionato, alla quale fa da guardia una creatura che mi ricordava molto "Pitch" di "Le cinque leggende". Il ragazzo era molto diverso dal nostro Rimpianto, era molto simile a un novello Peter Pan, del quale io da bambina ero stra innamorata. Quindi non mi stupisce affatto la sbandata che avevo preso nel sogno.

Purtroppo non posso raccontarvi molto altro, quindi *chiude il libro delle favole della buonanotte* la finiamo un'altra volta questa storiella.

Voi avete mai sognato qualcosa che vi ha segnato in maniera particolare?

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora