15. Son desta

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A svegliarmi – o forse a salvarmi – tanto bruscamente fu il citofono che, con un suono acuto e vibrante, trillò pugnalandomi allo stomaco.

Ansimavo, cercando di scrollarmi di dosso quello stato di intenso intorpidimento. Ci stavo mettendo troppo, perché il citofono suonò di nuovo, stavolta colpendomi alle tempie.

Motivata dal fastidio, mi lanciai in piedi di scatto, permettendomi di barcollare quel tanto per arrivare alla porta della camera da letto. Mi sembrava di vederci doppio, se non doppio sicuramente sfocato, e non riuscivo a stabilizzarmi. Incespicai per il corridoio, trascinandomi lungo la parete liscia, guidandomi con il tatto delle mani. Sapevo che il citofono non avrebbe suonato ancora, quindi dovevo darmi una mossa.

Con la nausea che mi attanagliava lo stomaco, mi aggrappai alla cornetta e risposi praticamente urlando: – Chi è?

– Corriere.

– Sì, sì, giusto. – mi bloccai per qualche secondo nel tentativo di concentrarmi – Terzo piano.

– È un pacco un po' ingombrante... – sapevo dove voleva andare a parare.

– C'è l'ascensore.

– Io andrei un po' di fretta.

– C'è il maledetto ascensore. Carica quel pacco e sali.

Lo sentii imprecare a bassa voce e non rispondermi più.

Seppi di averlo convinto. Gli ultimi reclami che avevo inviato all'azienda di spedizione dovevano averlo colpito un po' nel vivo, visto che non mi ero risparmiata nel fare il suo nome e il suo cognome: era sempre lo stesso corriere a recapitare i miei acquisti ed era sempre lui a lamentarsi per le scale o l'ascensore. Non mi interessava quali erano i suoi compiti o meno, io non volevo mettere neanche un alluce oltre la soglia di casa mia.

Spalancai la porta e attesi, impaziente. Il mio pigiama di cotone grigio era impeccabile, quasi ironico, considerando il coniglietto addormentato che avevo disegnato sul petto.Quando l'ascensore tintinnò, mi portai le mani ai fianchi, tanto per rendere più visibile la mia indisponenza.

Fu divertente osservare i goffi movimenti del corriere, che cercava annaspando di far passare il carrellino sposta oggetti attraverso la stretta apertura meccanica.

Lo vidi lanciarmi un'occhiata gelida, alla quale risposi con un sorriso vuoto.

– Portalo pure in soggiorno.

Lo sentii borbottare qualcosa tra i denti, qualcosa che non compresi minimamente, ma che avrei anche potuto immaginare, a volerci provare.

Era un ragazzo giovane, mingherlino, e odiava accontentarmi. Era un anno, ormai, che ci frequentavamo quasi giornalmente, a ogni mio ennesimo acquisto online dettato dalla noia e dalla smania. Probabilmente era la persona che più avevo visto nell'arco di quei dodici mesi ed era avvilente sapere che ci detestavamo entrambi, che vederci ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, era un dispiacere reciproco.

Controllai che non urtasse nulla passando per la porta. Incassai i suoi improperi masticati tra i denti e quando ebbe finito, afferrai il tablet tablet per firmare la ricezione.

Invece di ringraziarlo, arricciando le labbra in una smorfia schifata, gli chiesi: – È stato tanto difficile?

– No. – sibilò lasciando a intendere tutt'altro – Affatto.

Gli riconsegnai la penna elettronica e mi incastrai un ricciolo biondo dietro l'orecchio.

– Ci vediamo domani. Ho ordinato dei cioccolatini alla Guinness – probabilmente lo ammazzai, dicendogli così.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora